Voliere.
semplicemente per dire che sei
dentro di me tutto il giorno
anche quando non sei dentro
allora c’è sempre un fuori che ricalca
il contorno del tuo viso.
c’è un sorriso di parallasse che è
sempre un sorriso
non un errore di posizionamento
è la prospettiva che crea
illusioni vere.
questa notte il mio tavolo
è anche un letto dove riposano
felici le mie braccia
le dita intrecciano separazioni silenzi
voliere celesti vuote d’uccelli.
*
where have all the squirrels gone?
Con la loro coda argentata,
dove saranno andati tutti
gli scoiattolini?
Consegno alla bassa luna
la domanda di prima, levo dal
tavolo l’ incerta prosecuzione
del giorno in sera notte:
oh, che sollievo!
Finalmente respiro e cammino
nella nebbia nascondo cartoni
per farci una casa, casomai
decidessero di ritornare.
Sotto il noce li aspetto, sotto
la precoce insistente pioggia
piccola e bruna attendo un passaggio
di scivolose zampette ambrate.
Ricordo quand’ero bambino
l’edera rossa che rampicava pensosa
contorta colorava d’attesa la
fiamma, il cerino bruciava le dita,
il mio babbo masticava una gomma
guardavo le sue scarpe
erano grandi e marrone-caffè.
Guardo ancora bollire il latte
stando attento di spegnere il fuoco
prima che travalichi il bordo,
che sia ben caldo, che sia morbido
e che faccia piacere alla gola.
Mi siedo con pensieri legnosi
intravedo un’ombra nell’erba
la metà della vita è passata
pesci nuvola gialli nel cielo.
Un ticchettio all’incontrario
batte il tempo, batte piano,
butta tremulo le ore pensate
alle vacanze del giorno.
***
dove sono finiti gli scoiattolini
che danzavano il mattino arrampicandosi
fin dove l’edera rossa scompare nel prato?
nessuno sotto il noce ne’ sul sentiero dell’acqua
la pioggia nemmeno li ha visti scompare nei fossi
tristi tremenda è l’attesa del cane che fa slalom
nell’erba pur di svanire in un sogno di caccia alla volpe;
sorrido pensando alle mie scarpe marroni al primo
caffè profumato il mattino – sequoia la vita che origlia –
dal presente ostinato rivoglio pennute sequenze di
perfezione veloci pensieri bagnate occasioni.
posso ora tranquillo cominciare la poesia che volevo
scrivere e che non ho ancora pensato.
*
Nero e luna.
ora il paese dorme il mondo è scuro
nero di notte inchiostrate parole
anche la stanza è scura.
un lattiginoso blu occupa
tutto lo spazio fino a che lo spazio
recupera tutto il tempo che nero rimane.
il respiro avrebbe potuto prendere il
posto delle parole come spesso ho sentito
(silenzio e respiro)
pochi suoni di gola trattenuta poesia
di schiena meglio pensare al tremore
unito al saccheggio di ogni pulsante minuto
ogni tempo che cresce angola e inclina
le spalle intuite nel grigio.
conosce a memoria pur avendo frequentato
con ozio le scuole ogni piccolo dettaglio del
suo corpo azzurro -immaginato con il buio
degli occhi – da ogni parte si inizi con umiltà
e tenerezza damascate carezze disegnano
nell’aria la sagoma ritagliano le poche ore
di sonno rimaste quando l’alba tracagnotta
dispettosa scardina tutto il nero e espolde
con il giorno accoccolato sul primo gradino
dell’ombra.
allora è un posto senza lacrime il mondo?
è un posto dove attendere una qualche
vera diramazione di bellezza?
è l’incantevole tremolante stella del mattino?
c’è ancora un po’ di luna la vedo qui
diafana ( presente però )
aspetta il prossimo treno
la prossima avventura nel nero.
*
Un piccolo spazio per le poesie.
Eccomi a meditare un po’ sulla strada del bosco,
uno scheletro o un minuscolo cristallo mi stanno
davanti: il cristallo riflette la luce ( perchè è giorno),
lo scheletro ricorda strati di rocce e terra.
Potrei semplificare al massimo -credo- con parole crude.
Ho ancora il tuo viso tagliato dal giallo, qui,
a pochi centimetri, sfoglio il tuo coriandolato pensiero,
carbonizzo il minuto prigioniero del buio.
Vorrei distrarmi da questo commento, badare al sodo,
scivolare leggero leggero per odori mai visti, scaffali
profumati di librerie -adorabile severa mi guardi- con
poco riguardo per la forma direi, vorrei perdere il metrò
tutte le volte possibili.
Sfollare da un bombardamento sarebbe riempire uno spazio
dove le poesie potrebbero garantirsi un posto sicuro,
farebbero a pugni per la poltrona migliore, per il bicchiere
più buono, il sigaro vecchio, la finestra sul fiume.
Per lo più non baderebbero a noi, non credo proprio
che gliene importerebbe nulla del fatto che stiamo là sotto.
La notte arriverebbe addobbata di demoni, paradisi e viole.
Mi mancherebbe quel viso denso e probabile, mi mancherebbero
le mie piccole fortunate poesie sole. Sul velluto asciutto del
sedile posteriore ci stringiamo per ridere un po’ e mi tieni la mano.
E’ un’isola la nostra memoria e, sfinge distratta, recupera
l’iimmobilità di un tempo.
*
Tempo e serrature.
Ho snellito quanto di troppo la serratura
lasciava filtrare, un troppo di luce, fumo,
erba appassita.
Ho regalato un piccolo aereo di carta
al mio breve sogno svampito, con quello
prendo svogliatamente a cambiare le ore
in minuti.
Perchè sono stanchezza, ozio, fame, perdono.
La chiazza di vita che abbozzo (solitaria vita),
ha il colore della fragola.
Un’orchestra di labbra, spumeggiante ouverture
di mezza stagione, sussurra in pose di gatto
la perfetta, astrale, chiusura del tempo presente.
Tempo e serrature, sposto i contrasti.
Dentro e fuori,
smonto le indecisioni, i dubbi e le apprensioni.
Più o meno.
*
Riserve
Ho personali riserve per quanto riguarda l’amare,
nel senso che ho quantità d’amore nascoste.
Rifletto discretamente appagato dal tuo dire solo
se c’è un posto nel mondo dove poterti incontrare.
Non ho bisogno di traversate montane con scale
picozze , ramponi e tutto il resto, no. Bastano
scarpe buone, ne ho di nuove sai?
Ho personali , ricche, disposizioni proteiformi
dell’anima. Non continuare a chiedermi dove, quando,
oppure in che maniera soccorrere l’ombrosa quiete.
Sarà con sorriso d’alpe che avvicinerà
il pomeriggio, fra il faggio e il lillà ,in un maestrale
piovoso di parole che bloccherà la poesia in un
ovale di labbra.
Ho personali dimore, restrizioni, passaggi segreti
dove perdersi è possibile , traffico a scorrimento lento.
Non indirizzare lettere in posti consueti,
non ne varrà proprio la pena sai? Quando alzerai
gli occhi dall’abbraccio – così a lungo desiderato –
accarezzerai il legno del tavolo dove si è posata
la mano e il calore sentito sarà quello che resta.
*

5 risposte a “Piccole poesie per l’autunno. |Daniele Gennaro (inediti 2010)”
Scopro dei talenti, e poi dicono che il web sia un posto solo per orchi. Mi incanto. Grazie..
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grazie, sei molto gentile.
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Queste poesie scaldano nella giusta misura giorni in cui io, trasparente ogni volta, mi annullo ascoltando l’autunno. Riconosco il legno, il bosco e un tavolo che mi sia punto fermo d’arrivo e partenza.
Grazie
c.
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I tuoi versi e ciò che li muove sanno di riparo per l’inverno, di strada e occhi.
Di un bell’andare. Grazie.
fra
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ringrazio ancora per i commenti.
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