L’inganno della camera oscura
Il sorriso degli astanti era un artificio
mentre l’obiettivo frugava le anime:
tutti splendevano di una luce incanutita.
Lui invece guardava per terra, inseguendo formiche
e i pensieri mesti di adolescente senza infanzia.
Il fotografo s’appello al “ciis”, alla concordia:
ma la zia fece le corna al marito, con le mani,
e il cugino pizzicò le forme morbide
della mamma della sua fidanzata.
Il nonno statuario sorrideva senza felicità,
mentre la nonna tendeva i muscoli per non scomparire,
per non essere la solita comprimaria.
Lui no: grigio nella giornata colorata,
indossava una cravatta scura e un po’ d’angoscia.
Alla fine il fotografo scattò: l’istante era stato infilzato
e reso immortale nell’afa del pomeriggio agostano.
Malinconia, rancori e senso di frustrazione scomparvero
nell’azzurro mormorare dell’estate del sud
che cancellava ogni velleità d’amore
da quei volti sudati e non più truccati.
Il cielo sembrava di gesso
e dei parenti indaffarati a mostrarsi immobili
rimaneva sulla lastra una striscia chimica.
Nella camera oscura le liti, la tristezza,
l’angoscia, i pizzicotti e la cravatta nera si confusero:
un guazzabuglio di vanità cadde sulla fotografia,
falsificando il ricordo, soffocandolo nella culla.
Primavera 2010
* * * * *
Rammentando una vecchia foto, grigia; una foto che non ho più, ma che ricordo bene e che fu scattata in un’estate del sud di tanti anni fa. In bianco e nero, ovviamente…
