.
dovevo arrampicarmi così in alto da perdere
le gambe le braccia
non solo il fiato e mi ritrovavo comunque spessa
e senza la testa avevo dei vuoti sparsi nel corpo
.
quando venivo
dovevo sprofondarmi così in basso
da oltrepassare i piedi le radici tutte
le cicatrici gli dei e quei monconi abbandonati della vita
.
tu stavi sempre da un’altra parte
e quello che vedevo o toccavo era
una sensazione un taglio un bavaglio
precisa una nitida frattura esposta c’ era sempre qualcosa
di me che avevo perso
da qualche parte nei dintorni
del sogno alla curva della tua spalla
dove ti avevo cercato nell’ultima rincorsa
.
quando venivo
di te non avevo un’ idea non sapevo cosa volesse dire
stare dentro un diluvio
o forse lo volevo quel luogo senza equilibri
nel manubrio della notte
dentro la girandola del corpo che non era più mio
né tuo
.
e mi illudevo ogni volta
ed ogni volta era sempre per così poco
pochissimo tempo
perché anche il tempo è un codardo
ti si infila nella carne e ti sfila fino all’ultimo seme
per paura di perdersi in tanti mercati disfatti
.
ma se abbandono è darsi
e perdersi ogni volta nella perdita
noi ci siamo bruciati così tante volte
che al confronto una strisciata sulla riga tra gli attrezzi di colla e smeriglio
del giorno non sono nemmeno un segno di fumo nel cavo dell’occhio.
.
quando venivo da te dovevo scalare la mia assenza
fare i conti nel quaderno senza eque azioni umane
e avevo voglia di sparire di chiudere per sempre tutte le valvole e
le porte dovevo massacrarmi dovevo accettare lasciando la scure
del corpo per ricordare che oltre
.
il mio e il tuo erano un corpo degli inganni c’era quella piccola
imprescindibile frusta
illusione che in un punto
un punto di dolore comune
avremmo potuto sentire che tu ed io eravamo stati insieme.
.
f.f.- 2009 inedito- cataclismi
Come medicamento, rifugio e annullamento. Come tutto quello che poi ritorna a dire quel che manca e non si trova o viene sostituito da altro ancora d’incompleto.
Potrebbe essere amore o, se non quello, almeno appartenenza.
Mi è piaciuta e perdonami se male l’ho interpretata, ti ho raccontato i miei pensieri leggendoti.
Grazie.
clelia
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è una vertigine in caduta, è bellissima
(dolorosa e cruda)
non riesco ad articolare le parole.
n.
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Capisco. Cruda e vera, verissima…
Un abbraccio
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Fernanda, non sai quanto io riesca a “sentire” questa tua poesia, quanta commozione mi procura… è come se alcuni pensieri miei fossero passati tra i buchi della rete dove c’eri tu, a raccoglierli…
un caro abbraccio.
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Vi ringrazio tutti.Sono sempre di corsa in questi giorni.Non vedo l’ora di avere un po’ di quiete, ne ho proprio bisogno. Ho necessità d’aria.Altro che reclusi!ferni
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