UNA RESA A CINQUE STELLE
Julio Monteiro Martins
Ecco la domanda inevitabile, la più scomoda di questi tempi, per i produttori di arte e cultura italiani: Può uno scrittore impegnato, con una visione progressista del suo paese e del futuro, pubblicare i suoi libri da una casa editrice che appartiene ed è diretta dai Berlusconi, come è il caso della Mondadori e delle sue “sorelle”?
La mia esperienza riguardo a questi “rapporti pericolosi” mi fa credere di no, che non è possibile. E qualsiasi ragionamento che voglia giustificarli è cercare forzatamente la quadratura del cerchio. Riuscite a concepire Pablo Neruda che pubblica da una casa editrice diretta da Pinochet? O Che Guevara che pubblica i suoi saggi politici sponsorizzato dalla CIA? O Pasolini che chiede a Licio Gelli un anticipo per finanziare la produzione di un suo film? Difficile da immaginare. Invece nella grande confusione e nel conflitto tra coerenza ideologica (nel caso assente) e interesse di avere grande visibilità editoriale e mediatica, tanti scrittori e registi che oggi si presentano pubblicamente come “di sinistra”, accettano il patto col diavolo. E cioè di essere finanziati e distribuiti dalla Medusa Film, o da Mediaset, entrambe dei Berlusconi, o pubblicati dopo il suo “Visto, si stampi” nelle imprese editoriali delle quali possiede il controllo azionario, il potere patrimoniale che è il marchio del suo regime, quel potere alla fine decisivo nel sistema in cui ci siamo impantanati, oggi ancor più incancrenito dai nuovi modelli di commistioni spurie tra cultura, politica e affari.
Questa nuova servitù intellettuale ha poi la sfacciataggine di cercare furbescamente di fare bella figura con tutti, con i loro vecchi ammiratori e con il “capo” che è l’oppressore degli stessi ammiratori (forse sarebbe il caso di ricordare loro la saggezza popolare italiana, quando dice che “non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca”).
È grottesca anche la semplice discussione pubblica di una tesi così stramba, quella di allearsi al nemico per meglio combatterlo. E “a ridaie” con la vecchia metafora del cavallo di Troia, che non ha mai convinto nessuno. Nella pancia del cavallo troverete un buffet con champagne francese e simpatici, si fa per dire, gadget sotto il tovagliolo, accanto all’argenteria. E da quella pancia poi non se ne esce più. Dopo il banchetto, chi si ricorda più cosa si era andati a fare lì? A quel punto uno si sentirà, magari inconsciamente, già parte di quelle “beautiful people” che il berlusconismo promuove oggi a classe dirigente.
Chi ha esperienza delle cose politiche e culturali si ricorderà quante volte, per non perdere i privilegi della “discreta combutta” che si vuole avere con la destra, scrittori detti “di sinistra” hanno cercato di fare appello alla favola del “cavallo di Troia”, del “sabotaggio da dentro”. Ma chi ci crede più? Gli interessi sono evidenti. Qualcuno sta cercando di nascondere i raggi del sole con un settaccio a maglie larghe. Cercano di imbrogliare i loro lettori, di raggirare la gente che ancora si fida della loro coerenza smarrita e che non vuole dover inghiottire una così grande e così triste delusione politica.
Altrettanto ridicolo è l’argomento della “disideologizzazione” di un lavoro così assolutamente ideologico, sempre e comunque, come fare film o scrivere romanzi. Rileggete le idee di Pasolini a riguardo, imparate qualcosa da Gramsci o da Bertold Brecht sulla coerenza richiesta dal poeta, dall’intellettuale, e sugli stratagemmi “astuti” per provare a raggirarla. Non c’è niente di più patetico che uno scrittore di sinistra tentato dai privilegi e dai valori della destra che cerca di goderli senza perdere il rispetto dei suoi lettori. Li perderà di sicuro, non c’è niente da fare. E merita di perderli, perché commette un tradimento grave e cerca di farla franca.
Ogni periodo storico ha la sua Gestapo e la sua Krupp. A volte viene utilizzata la violenza diretta, brutale, come a Genova nel 2001, e a volte si tenta di cooptare e di comprare gli intellettuali (e non di rado ci si riesce, facendo leva sulle loro difficoltà economiche, ma più spesso ancora sulla loro vanità. È il narcisismo che li frega quando cominciano a credere, per autogiustificarsi, di essere al di sopra del bene e del male e di poter prendere assegni impunemente dalle ditte che fanno capo ai Berlusconi).
Argomenti ridicoli infatti non mancano agli scrittori venali. C’è anche quello che dice che “non si può lasciare case editrici così tradizionali, con un nome storico e rispettato, nelle sole mani di quelli della destra, perché sarebbe una sorta di resa, quindi bisogna fare il ‘sacrificio’ di non mollare e continuare a pubblicare da loro”. Ma, domando io, non te ne accorgi che a questo punto sei diventato anche tu uno di “loro”? Che dietro questa fragile ipocrisia stai soltanto cercando di preservare il tuo posto di lavoro ben remunerato e la nutrita visibilità nei media, proprio come quei “loro” che fai finta di condannare? E poi, non c’è logica più oscena come quella dei “mezzi che giustificano i fini” quando è chiaro che in questo caso sono proprio i mezzi ad inquinare e a cancellare i fini, o meglio a trasmutarli in fini di ben altro tipo, pro domo sua. Non si tratta di un “conflitto di interessi”, ma di interessi puri e semplici. E poi, il nome di una impresa editoriale è rispettato non a causa di una fantomatica “eredità” canonica, ma per quello che oggi fa o non fa, pubblica o non pubblica, per i suoi legami e appartenenze, spesso oscuri e pericolosi, per i fili visibili o invisibili che la tirano, insomma per quello che è diventata. E nel caso in questione già da parecchi anni questo rispetto si è dissolto e quelle case editrici sono diventate strumenti di affermazione e di propaganda di un potere ignobile.
Ma di tutti gli argomenti, il più ridicolo – quasi comico se non fosse tragico – è quello che insiste nel dire che “se i Berlusconi lasciano quelli che sono i loro oppositori liberi di pubblicare quel che vogliono e non fanno alcuna pressione perché cambino il contenuto dei testi, non c’è alcuna ragione perché uno se ne debba andare”. Bene, bravo. Sdogani il “liberale” Berlusconi e gli regali l’ingiusta legittimazione a cui aspira. Ma non ti sei mai chiesto perché interessa tanto ai Berlusconi avere scrittori “di sinistra” – e anche siti internet culturali tradizionalmente “di sinistra” sono oggi colonizzati da funzionari della Mondadori – orbitando intorno al loro potere? O ti sei fatto la domanda e la risposta vera non ti conviene? Comunque collabori (nel senso proprio di “collaborazionismo”) con il deterioramento dello scenario culturale italiano. La strategia di questa destra spavalda è comprare tutti gli spazi per non fare lavorare i loro oppositori, quelli veri, quelli che non sono riusciti a cooptare. E non dimentichiamo che quando l’egemonia culturale è onnicomprensiva e si rigonfia al punto di sfiorare l’unanimità passa a chiamarsi non più egemonia ma totalitarismo. Le parole giuste servono. E ricordati: sarà anche tuo il sigillo morale del totalitarismo.
Così, tra poco non resteranno più spazi che non appartengano in un modo o nell’altro a Berlusconi, e sarà regime. Ai pochi rimasti “desberlusconizzati” non rimarrà alcuna visibilità pubblica, saranno resi invisibili.
Questa anomalia viene ammessa e metabolizzata da alcuni scrittori italiani come normale ma normale non è, perché in altri paesi raramente si trova una tale dissonanza tra la visione di mondo degli autori e la linea editoriale delle case editrici che li pubblicano. Penso alla Francia, alla Spagna, alla Germania certamente, al Brasile, al Messico e all’Argentina, ma anche agli Stati Uniti, dove un autore come Samuel Beckett ha scelto una casa editrice alternativa newyorkese, la Grove Press, per pubblicare la sua opera, e lo stesso fece Jean Genet e William Burroughs, ma anche Lawrence Ferlinghetti e il suo gruppo che da sempre pubblicano per la piccola City Lights Books.
Inoltre, quando un ambiente editoriale diventa complessivamente asfittico, tocca agli scrittori creare dei poli alternativi, come riviste, siti internet e anche case editrici. Molti di loro, forse i più bravi, quando nel loro paese dilagano i miasmi del regime, creano case editrici indipendenti – gli esempi del Messico, del Brasile e degli Stati Uniti degli anni ’60 sono eloquenti – oppure si organizzano in modo da fare appelli collettivi perché si pubblichi solo per quelle case editrici indipendenti o in sintonia con le loro proposte. Domando, non è arrivata l’ora che gli scrittori italiani prendano posizioni pubbliche comuni, anche riguardo a chi dovrà pubblicare i loro libri? Bisogna far chiarezza anche sull’aspetto pratico, su cosa significa essere un autore impegnato, e magari questa polemica sulla Mondadori e le altre case editrici di appartenenza dei Berlusconi sarà il divisore delle acque.
Dallo scrittore impegnato uno si aspetta giustamente coerenza e onestà. E non esiste “coerenza relativa” né mezza onestà. Puoi chiamare il tradimento e la corruzione con mille nomi, il dizionario è pieno di sinonimi e la fantasia può produrre molti eufemismi carini, ma si tratterà pur sempre di tradimento e di corruzione. Forse è l’ora di tornare al dizionario per cercare il senso di parole come “venale” e “prezzolato” e tenerlo ben vivo nella coscienza.
Circa otto anni fa è stato pubblicato un volume storicamente importante, un’antologia di testi di intellettuali, scrittori e registi italiani con il significativo titolo di “Non siamo in vendita!”. C’era anche un racconto mio ispirato al massacro di Genova del 2001. Oggi, dopo un decennio in cui la destra ha imposto la sua egemonia con le buone e con le cattive, con il contratto ben farcito regalato all’artista “addomesticato” o la spietata censura ai talk show televisivi, quanti di quegli intellettuali del “Non siamo in vendita!” possono ancora confermare di non essersi messi all’asta? Meno della metà, sicuramente. Gli altri sono diventati tutti funzionari più o meno mascherati della stampa berlusconiana, di Panorama, Libero o Il Giornale, di Mediaset, di Fininvest o della Mondadori e delle sue sussidiarie.
Invece aveva ragione Brecht: solo quelli che lottano tutta la vita sono gli imprescindibili. Gli altri, quelli che hanno cambiato bandiera, che hanno allungato il muso per le briglie del padrone in cambio dello zuccherino e ora cercano di giustificare l’insanabile contraddizione con goffi ragionamenti arzigogolati, come li dobbiamo chiamare?
Lasciamo perdere i dizionari. La parola giusta la conosciamo tutti.

12 risposte a “A tutti gli scrittori “di sinistra” che, legittimamente, ambiscono ad essere pubblicati…”
Il nostro lassismo ha permesso un’egemonia culturale priva di argomenti, la stessa decadenza intellettuale che per una briciola di protagonismo mediatico ha accettato marchette di ogni sorta. E’ accaduto in poesia con tutta la sua gratuità nella stessa amplificata misura con cui è successo altrove, in ogni forma d’arte che della parola indipendente ha smarrito il senso.
Nel fraintendimento opportunistico della parola impegno si nasconde tre quarti della nostra vergogna.
un caro saluto
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Sì, Alessandro, sta a noi chiamare le cose col loro nome, in poesia e nella vita civile, sia che ci si muova nella “civiltà della poesia”, come tu ami dire, che nell’etica della vita civile: sono marchette.
Un abbraccio
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Ci rifletto spesso anch’io, caro Gino.
Staremo a vedere anche come evolverà il recente affaire Saviano. Provo a ragionare a voce alta, perchè non è semplice superare certe contraddizioni e a voler tentare un ragionamento che stia davvero in piedi, l’umore oscilla dall’entusiasmo alla depressione più cupa :)
Un messaggio come quello di Gomorra (al di là del valore letterario, anche volendoci limitare all’aspetto giornalistico, nel miglior senso della parola) aveva bisogno di un amplificatore mediatico, siamo d’accordo (o no?). Ma adesso? Saviano potrebbe vendere i suoi nuovi libri anche pubblicandoli con un piccolo editore onesto e appassionato, la sua notorietà potrebbe portare quell’editore un tempo in via d’estinzione a guadagnare visibilità e a diventare collettore di altri autori impegnati e certamente più liberi (più liberi ma “quanto”?). Oppure no, l’unica speranza di farsi sentire è stare “dentro e contro” il sistema che si cerca di combattere con le proprie idee? Si può stare veramente “fuori” dal berlusconismo (e da altre derive post-capitalistiche) come se fosse un sistema isolato, senza continui scambi con l’esterno, senza zone grigie? Il boicottismo (di chi non compra un bellissimo libro perchè edito soltanto da Mondadori, ad esempio) a volte mi lascia perplesso. Se penso che Pasolini andava in TV (ma era una TV diversa da quella di oggi) a criticare il mezzo televisivo o meglio non il “mezzo tecnico” in sè ma la responsabilità che deriva dal potere di un tale strumento in mano a gente dinostesta o stupida.
Come difendere il prestigio della grande editoria dal potere economico e politico di gente disonosta o stupida, allora è questo il punto? Cioè con che mezzi?
Fino a che punto pubblicare con Mondadori è un “mezzo” lecito e responsabile?
Berlusconi sa che da certi libri scomodi può far soldi o comunque tutto serve a far parlare di sè, anche quando finge di temere la cultura lo fa soltanto per rubare la scena. Già Adorno giustamente parlava di “sfacelo” e forse dovremmo zoomare, guardare all’intera industria culturale (sopratutto italiana, hai ragione) che banalizza il ruolo dell’artista di successo riducendolo a soggetto organico al sistema, se lo scrittore non è più un intellettuale ma è un venditore di intrattenimento. Altre contraddizioni derivano dal considerare “resistente” l’atteggiamento di chi con la propria presenza dentro la Mondadori vorrebbe alzare la media culturale, esponendosi eroicamente al rischio di contagio pur di essere da esempio (per “essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, direbbe Gandhi). Non è facile trovare soluzioni ma certamente dobbiamo interrogarci sulla questione, andare più a fondo consapevoli che siamo condannati a scegliere il male minore. E non è una scelta da fare a cuor leggero. E, anche astraendo, credo che dovremmo riflettere sui limiti della comunicazione, dal momento che, oggi più di ieri, ogni forma artistica (inclusa la poesia, sia che essa si chiuda nella sua torre d’avorio, sia che scenda in piazza) vive anche del bisogno di comunicare la propria incomunicabilità.
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Il problema della “mercificazione” delle idee “scritte” si amplifica,diventando una eco assordante,in Italia,per il motivo anomalo ed imbarazzante che vi è,al contrario di altri paesi europei,una concentrazione di fonti comunicative (giornali,editoria,produzioni cinetelevisive,ecc)nelle mani di una sola persona.E questa anomalia,che non è presente in nessun altro ambito europeo e che costringe al compromesso culturale tra artista ed editore,è ancora di più rafforzata dall’ulteriore concentrazione di editoria e distribuzione nelle mani di una sola azienda.Purtroppo,e ve lo dico perchè ci lavoro tutti i giorni,in Italia vi è la paradossale situazione di moltissimi editori,che per dare visibilità ai loro prodotti,son costretti a cedere a veri e propri ricatti,per poter distribuire in maniera soddisfacente le varie edizioni.Quindi,per il mio modesto parere,la soluzione al “quantum” illustrato nell’articolo è da valutare nella possibilità legislativa di decretare un fermo a questa concentrazione,per poter dar vita ad un’editoria libera ed autosufficente svincolata da pressioni più o meno lecite.
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Sono molto d’accordo Lele.
Servono leggi per limitare l’effetto Berlusconi, prima che sia troppo tardi.
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solo che allo stato delle cose queste “benedette leggi” le dovrebbe fare Berlusconi…. indi per cui poscia…
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in cartesensibili c’era un articolo relativo alla possibilità di lavorare in cooperazione.Lascio il link se ti interessa dire la tua, visto che qui affermi di lavorare all’interno di quella macchina produttiva.
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Grazie.Ci vado,immediatamente.
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La globalizazzione non ci ha semplicemente omologati, bensí ci ha unidimensionalizzati. La famosa, terribile UNIDIMENSIONE di MArcuse. Berlusconi è un prodotto di tutto ciò. Ha preso gli spazi, gli strumenti ed anche le parole (sociale, libertà, popolo, moderno etc.) È tutto e il contrario di tutto; chiunque può identificarsi con esso, che voglia oppure no.
La questione editoriale non è esente dal meccanismo unidimensionale, tale per cui al 99% di sì serve quell’1% di no a stabilirne la veridicità.
Giovanni parla di esito mediatico… e 30 anni di memoria pubblicato con la Rizzoli? Cazzo, la RIZZOLI non è mica l’ultima casa editrice arrivata! Lì dietro, dietro a Gomorra dico, c’è molto più dell’amplificazione mediatica. Io non so quanti di voi hanno letto Gomorra. Io l’ho letto e quando l’ho finito ho pensato: e tutto questo casino per ‘sta roba? Voglio dire: Gomorra non è un asggio ma non è un romanzo. Non da date precise, quantità precise e dati specifici; racconta una storia (certo, fa i nomi. ma i nomi sono stati fatti ugualmente in tanti altri testi sulla mafia!) ed anche con uno stile piuttosto mediocre ( a mio avviso). Dunque cos’è tutta sta storia intorno a Gomorra? Saviano è diventato semplicemente una macchina per fabbricare soldi, e lui è contento così (soprattutto quando lo invitano a parlare alla Sorbona o alla Normale). Quindi che non venissero a romperci le scatole con tutte ste menate. Perché sinceramente mi sento profondamente offeso nell’intelligenza sentirmi fare il sermone con petizione annessa sul conflitto di interessi da chi poi di quello stesso conflitto si serve. La questione patrimonio storico nazionale:un cazzo. L’einaudi come la mondadori sono patrimonio di Berlusconi, non storico né nazionale. A meno che qualcuno pensi che la collana del gialli mondadori diretta da MAURIZIO COSTANZO TESSERA 1812 della P2 possa essere considerata patrimonio nazionale…
Detto ciò, se gli scrittori da predichine intellettualoidi all’altezza massimo di un post su Nazione Indiana non si schiodano da lì è perché non credono in quel che dicono (e probabilmente non lo hanno nemmeno pensato loro, gli è stato suggerito oppure lo hanno sentito ripetere talmente tante volte che alla fine credono di averlo pensato spontaneamente).
Per chi fosse interessato, un dibattito più o meno simile l’ho avuto con il bravo Nicola Lagioia che però su questo mi ha abbastanza deluso
qui
http://www.minimaetmoralia.it/?p=2280
L
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Rispondo un attimo a Giovanni che ha sollevato l’esempio di Gomorra, e quindi anche a Luigi: In Gomorra non c’è il nome di un politico. Sembra poco? non è poco, secondo me. Ci sono libri scritti sulla mafia, come dice Luigi, che hanno dato veramente fastidio, fastidio risolto con il silenzio dei media. Ricordo i servizi al tg1 in prima serata con Saviano sotto scorta, quando non lo conosceva ancora nessuno, né lui né il suo libro. Da allora la popolarità è esplosa… potenza di una scorta! A me napoletano il libro non dice nulla di nuovo, di sostanzialmente nuovo, ma immagino che molte persone fuori dalla regione abbiano letto con somma meraviglia. L’operazione editoriale è furba, come dice Luigi: un romanzo con elementi che affondano nella realtà, ma, si badi, vista nella sua superficie malavitosa, una malavita da cronaca nera. Connessioni istituzionali, avalli e complicità politiche, del mondo dell’alta finanza, nulla. Letterariamente ho apprezzato il libro, si fa leggere. Ma il tam tam è servito solo alle vendite, il problema è sempre lì, anche se si usa dire che Saviano abbia acceso i riflettori sulla camorra, e questo dovrebbe dar fastidio a quei signori… Non credo. Saviano, dopo, avrebbe potuto spiegare, ad esempio, come il padrone della “sua” Mondadori abbia risolto il problema dei rifiuti in Campania, PERCHE’ NON L’HA FATTO? Ve lo dico io: con un decreto legge ad hoc il padrone della Mondadori ha reso legali le discariche abusive della camorra, inquinatissime, e vi ha sversato i rifiuti di Napoli, impedendo così ai magistrati di continuare le loro indagini sulla camorra e facendo nel contempo la figura del “salvatore”. Eppure sono le stesse zone, ma Saviano non se n’è accorto, guarda caso.
Quando uno scrittore dà veramente fastidio a qualcuno, quel qualcuno non lo pubblica, così come ha fatto l’EINAUDI, che ha lo stesso padrone di cui sopra, con Saramago, rifiutandosi di pubblicarlo. Quindi, come dice l’autore dell’articolo, così esaustivo e denso di esempi, non prendiamoci in giro da soli. O ci stiamo o non ci stiamo.
Un caro saluto a tutti
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Che cosa,nell’economia della discussione,la qualità del libro di Saviano e la sua deriva fenomenologica,possano centrare non riesco a spiegarmelo.L’autore dell’articolo parla di libertà ed onestà intellettuale nella riuscita materiale delle produzioni librarie di ognuno degli scrittori che si affacciano nell’”integerrimo” mondo dell’editoria che ripeto non è per nulla scevro da meccanismi di potere più o meno legali.Lavoro nel mondo della diffusione e conosco a menadito (sono quasi vent’anni) le “abiure” distributive di alcuni titoli rispetto ad altri.E guarda caso,Saramago o no,autori scomodi,come lo sono stati Sciascia o Pasolini in Italia o,chennesò Celine in Francia,all’orizzonte non se ne vedono.Forse l’unico esempio di libertà in questa Italietta,succube di quell’omino del consiglio,viene dalle autoproduzioni come sta cercando di fare da un po’ G.Strada che scrittore proprio non è…Ma sono solo i pensieri di uno squinternato ingranaggio della macchina “Wellesiana” del quinto potere.
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Saviano è solo un esempio che Giovanni ha tirato fuori, di scrittore, parrebbe, “di sinistra”, ma che pubblica con la Mondadori. Quindi è un esempio pertinente. Mentre Luigi ed io, abbiamo sottolineato come in realtà Saviano, non sia realmente di sinistra, (come non lo è Travaglio, ad esempio, che leggo, peraltro), ma questa è solo una mia opinione; opinione che mi serve a spiegare che non ci debba essere meraviglia alcuna sul fatto che Saviano pubblichi con la Mondadori… perché non è uno che dà realmente fastidio (sempre e solo una mia opinione). Se poi aggiungo che lo stesso Saviano ha affermato che vivrebbe volentieri in Israele (!), paese che egli considera più civile dell’Italia, e che l’ETA basca traffica in droga, smentito dallo stesso governo spagnolo(!), forse risultano più chiari i motivi per cui Saviano pubblica con la Mondadori, o meglio, diciamo che pubblicare con la Mondadori, probabilmente, non gli procura alcun conflitto di coscienza… ma questa è una mia illazione.
Un caro saluto, Lele
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