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Antonia Pozzi: diari e altri scritti

Antonia Pozzi
Antonia Pozzi: diari e altri scritti (ed. Viennepierre a cura di Onorina Dino e postfazione di Matteo M. Vecchio)

In questi giorni, sto leggendo i diari di Antonia Pozzi in una bella edizione di Viennepierre. Il volume è uscito nel 2008, a settant’anni dalla scomparsa, con scritti inediti e un nuovo apparato critico. 

Si comincia sbirciando tra le pagine del “Quaderno (1925-1927)” di una ragazzina quattordicenne (come non stabilire un parallelo con Tonio Kröger) che sta bene con i propri genitori, il padre avvocato, la madre discendente da una nobile famiglia lombarda. Riceve un’educazione moderna, alto-borghese. Nonostante si circondi molto presto di amici colti e si dedichi alla musica e a numerosi sport, comincia a sentire il richiamo della solitudine come punto di partenza per un tentativo di comprensione del mondo pur con tutte le contraddizioni che ne derivano. Spazio e tempo sembrano “cose grandi, troppo grandi per noi”, attraenti per il loro mistero eppure terribili (“Mi scuoto con un brivido: sempre! Parola terribile, terribile come mai!”).

La ritroviamo dieci anni dopo nei “Diari (1935-1938)”, laurea in Lettere e Filosofia, una tesi sulla formazione letteraria di Flaubert. È ancora lì a tentare un’impossibile ma necessaria riconciliazione tra arte e vita (“Quanti mondi. Allora erano più grandi di me e mi chiamavano in alto, adesso sono più forti di me e mi schiacciano”). Scriverà del suo “disordine” con intimo dolore (“È in questo: che ogni cosa per me è una ferita attraverso cui la mia personalità vorrebbe sgorgare per donarsi. Ma donarsi è un atto di vita che implica una realtà effettiva al di là di noi e invece ogni cosa che mi chiama ha realtà soltanto attraverso i miei occhi e, cercando di uscire da me, di risolvere in quella i miei limiti, me la trovo davanti diversa e ostile.”).

Insomma, la vita non basta. Questo sembra volerci dire, come quando in un saggio su Aldous Huxley, riporta: “[…] la vita in quanto tale, questo non basta. Come ci si può contentare dell’anonimità della semplice energia di una potenza che, malgrado il suo carattere misterioso e divino, è tuttavia incosciente, al di sotto del bene e del male?”. La poesia è vivere ma è anche “morire per sapere”, la poesia è la “troppa vita” che scorre nelle vene e chiede d’andare oltre la vita. Da questa irriducibile dialettica viene fuori un’estetica che fa dell’arte non un “espressione di stati d’animo ma creazione d’un mondo – e non creazioni tutte perfette, ma sforzi continui di creazione”. Forse, è così, certa poesia si paga con la morte.

Verso la fine del 1938, la promulgazione delle leggi razziali “è stata una specie di fulmine che ci ha sconcertato tutti”. Poco tempo dopo un crollo emotivo, Antonia Pozzi si sdraia su un prato e si toglie la vita. Non vide mai stampate le sue poesie, furono Vittorio Sereni e Eugenio Montale, tra i primi, a riconoscerne il valore.

Come ben scrive Matteo M. Vecchio nella sua postfazione, il diario rappresenta “l’officina che accompagna la stesura dell’opera poetica e critica”, “spazio aperto alla riflessione”, luogo di “ricaduta della scrittura sulla vita”. Perché la vita legittima il lavoro e il lavoro legittima la vita, secondo un progetto etico in cui “non vivere e non creare sarebbe da impotenti, da minorati”. Ne consegue che “l’evasione del reale nel fantastico è lecita solo quando venga scontata con la pena attiva dell’espressione” altrimenti la distrazione è banale e amorale.

Giovanni Catalano

6 risposte a “Antonia Pozzi: diari e altri scritti”

  1. ottime come sempre le tue letture, giovanni, come ti ho scritto in nota fb. ho scoperto di recente che la pozzi faceva anche delle foto molto belle…c’è un libro (alla feltrinelli) di foto sue

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  2. sto cercando questo libro ovunque ma non è più disponibile…ho letto già molto della Pozzi ma i diari mi aiuterebbero a completarne la figura….

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