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Davide Zizza – La sottile empatia

 

La sottile empatia

 

Di questa nostra vita qualche accento

Riaffiora; e già è un lontano

Nella notte, di musica, sentire

Mi metto all’ascolto di questi versi recuperati dai miei appunti, cerco di modularmi al loro senso, me li ripasso come una piccola preghiera del cuore. Poi la spinta a ripescarli in un libro mi fa cacciatore fra gli scaffali, mentre il mio studio si riempie in ogni angolo della suite di Marianelli. Dove l’avrò messo? Lo troverò? Sicuro che non l’avrò lasciato a casa da mamma prima di sposarmi? Poi uno sguardo d’intorno e lo scovo sul secondo scaffale in alto a sinistra, in piedi, è in copertina semirigida; l’alone sul risguardo rivela un cerchio di colore marrone – non volendo vi poggiai la tazza di caffè una notte di lettura. Sembra un timbro da biblioteca comunale! Sa di vissuto, il mio. Lo annuso, lo sfoglio, voglio rileggerlo, ma prima cerco i versi che mi hanno acceso. Sono le liriche di Kavafis, e i versi sono tratti dalla poesia Voci. L’impasto della carta al tocco è un’accensione di memoria – rendo grazie a Proust e alla madeleine! – e l’incontro fra dita e pagina è fruscio, erotismo, arpeggio.

E sento che accade, proprio lì, in quel punto di vuoto nella mia mente, una reminiscenza, la stabile vertigine quando toccando un libro ristabilisco un’empatia. Lo percepisco. No, per carità, non si tratta di parlare dell’amore per i libri, più si parla di questo amore infinito e meno se ne leggono. La sottile relazione che intercorre fra l’oggetto in-animato e il contatto del lettore – quella conta! Ciò che sta fra libro e lettore.

Quando tocco un libro, accedo ad una storia universale che comincia ad appartenermi; ripetuto nel tempo, il contatto riporta in superficie e amplifica la mappa degli attimi connessi alla lettura. Il suo corredo ornamentale e pratico – la consistenza delle pagine, l’organizzazione del testo, l’odore che emana, i colori della copertina – diventa sollecitazione (o ‘solletico’ per dirla con Spinoza) ad un meccanismo di recupero personale e intellettuale. Quindi il libro non è solo un contenitore di riferimenti culturali, mi ricollega ai momenti in cui quegli stessi riferimenti culturali hanno agito in me, sul mio modo di pensare, sulla mia coscienza. L’empatia ristabilisce una continuità con il libro e con un me stesso del passato. L’oggetto spinge alla funzione memoriale, convoglia sulla percezione i flussi sotterranei della mente e i flash della riflessione. In un certo senso è come diventarne coautore senza averlo scritto. Alla lettura do’ un tocco, un sigillo personale! Come altri oggetti saturi del mio essere, mi ricorda cosa esso rappresenti tuttora e chi fossi io quando l’ho letto la prima volta. È una risonanza nel contatto; nel toccare quel libro sento e rivivo.

“Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Una deliziosa voluttà mi aveva invaso, isolata, staccata da qualsiasi nozione della sua causa. Di colpo mi aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua brevità, agendo nello stesso modo dell’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio, quell’essenza non era dentro di me, io ero quell’essenza. Avevo smesso di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Cosa significava? Dove afferrarla? Bevo una seconda sorsata nella quale non trovo nulla di più che nella prima, una terza che mi dà un po’ meno della seconda. È tempo che mi fermi, la virtù del filtro sembra diminuire. È chiaro che la verità che cerco non è lì dentro, ma in me. La bevanda l’ha risvegliata, ma non la conosce, e non può che ripetere indefinitamente, ma con sempre minor forza, la stessa testimonianza che io non riesco a interpretare e che vorrei almeno poterle chiedere di nuovo ritrovandola subito intatta, a mia disposizione, per un chiarimento decisivo. Poso la tazza e mi volgo verso il mio spirito.” (M.Proust, Dalla parte di Swann, traduzione di G. Raboni, Mondadori, p. 56; i corsivi di questo estratto sono miei)

Trasalimento, ricerca, riconoscimento, epifania sono i momenti che caratterizzano la rivelazione, così indica Proust. In egual modo ricomporre l’empatia con un libro tramite il contatto significa avviare un percorso che riporta a se stessi, funge da viatico in un cammino di conoscenza che supera il libro stesso, ma lo lega per sempre al senso della consapevolezza. La rilettura di conseguenza rinnoverà la coscienza e produrrà quel meccanismo di riscoperta in cui confluiranno l’esperienza personale da una parte e quella culturale dall’altra.

Non credo di sbagliare nell’affermare che costruire man mano una libreria è come scrivere un romanzo o un saggio sulla lettura – una lettura progressiva – il cui argomento è la relazione di continuità con l’opera che ha scavato la propria coscienza per poi riempirla di idee, di scintille.

Davide Zizza

7 risposte a “Davide Zizza – La sottile empatia”

  1. Non mi pare da quello che ho letto di Davide Zizza sia una sottile empatia, se ho ben
    capito. Credo che ne abbia da buttar via, è un ottimo scrittore nonchè poeta
    e, con queste premesse non puo’ che migliorare. In bocca al lupo!

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  2. una libreria è l’insieme delle scelte di un lettore. Ma molto contano anche le scelte fatte ma no presenti nella libreria di chi ha letto. Piuttosto si dovrebbe parlare di libreria mentale.

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  3. @ Matteo Baudone. Vero, l’indicazione è giusta, la ringrazio per l’appunto, pur se nel mio intervento ho preferito insistere sul piano del contatto fisico, che accende una sorta di epifania. Ho aggiunto il lato “patemico” che in una libreria mentale non sempre è evidente.
    Va da sè che il mio intento era solo di dare una visione personale sulla base del mio rapporto con il libro.

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