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Un giro largo fra le nostre letture del 2025

Un giro largo tra libri diversissimi.
Come ogni anno i consigli di lettura della redazione Poetarum Silva mescolano senza timori generi, voci, mondi e immaginari. Una piccola mappa di ciò che ci ha colpito di più in questi dodici mesi, da seguire per curiosità o per perdervi un po’, come preferite. Siamo qui per questo.


Omar Suboh

Che cosa significa pensare, oggi, alla luce della tragedia di Gaza? Mentre assistiamo allo scempio del diritto, ora che l’illusione dell’universalità della ragione umana ha ceduto di fronte alla vittoria militare, e il genocidio del popolo palestinese è di fronte agli occhi di tuttə – mentre contempliamo la tragedia, impotenti: Gaza è Auschwitz con le telecamere, come scrive Franco Bifo Berardi –. Pensare dopo Gaza, edito per Timeo, è un libro filosofico che prova a fare i conti con la fine del pensiero umano. L’invito a disertare la Storia come esortazione a riscriverla, a (ri)cominciare tutto dal principio, mentre leggiamo dalle cronache che gli israeliani hanno murato i pozzi dell’acqua – simbolo di appartenenza millenaria alla terra – per colpire con la sete, oltre che con la fame e con le bombe, i civili palestinesi. L’attestazione del fallimento della civiltà, la stessa che ci ha consegnato la potenza distruttrice della tecnologia militare, è il requiem intonato da Bifo tra le pagine di questo saggio che suona come un j’accuse contro l’ipercolonialismo, la deterritorializzazione delle sue pratiche consolidate ora rese più pervasive attraverso la rete digitale, e il semiocapitale: il risultato è «l’estrazione violenta di risorse mentali e di tempo di attenzione».

Nella densa notte oscura dell’educazione sessuale, mentre si lanciano proclami e si osteggia in ogni modo il suo insegnamento nelle scuole, Alessia Dulbecco scrive della pratica più eversiva della storia dell’erotismo: la masturbazione. Per anni descritta come pericolosa, la conseguenza della sua repressione ha fatto sì che il piacere sessuale clitorideo venisse subordinato a quello vaginale, quest’ultimo l’unico a godere di rispettabilità in quanto funzionale al piacere maschile e al dovere del mandato riproduttivo. Il piacere sovversivo. Breve storia della masturbazione, edito per Tlon, è un libro che ribalta le categorie della sessualità considerata immorale, da controllare attraverso molteplici forme: dagli anelli uretrali, alle cinture di castità, passando per i vibratori, e rimette al centro del discorso il potere insostituibile dell’immaginazione, la stessa di cui il piacere si nutre è che «non è posta al servizio di relazioni sessuali in grado di esprimersi nel matrimonio e nel concepimento» e, di conseguenza, «diventa un’arma capace di liberare i desideri, con conseguenze minacciose per l’intera società». Sfatare alcuni falsi miti, o meglio, decostruire, alcuni parallelismi storici come la masturbazione e lo spreco di energie, sopratutto maschili, espressione di svariati pregiudizi sulla sessualità – funzionale al mantenimento inalterato degli stereotipi di genere –, significa (ri)pensare le logiche normative che investono non solo le nostre relazioni erotiche, ma anche quelle sociali ed economiche.

Quando il Saggiatore ha ricominciato a pubblicare i romanzi di William Gaddis, i pochi attratti ancora dalla rarità, avranno fatto un sospiro di sollievo al pensiero di risparmiare almeno cento euro per l’acquisto di un romanzo considerato da tuttə come capostipite del postmodernismo americano in letteratura, ispirando autori come Don DeLillo o David Foster Wallace, ma che, pare, nessuno avesse mai letto – almeno qui da noi –. William Gaddis, dopo Le perizie, torna in libreria, sempre per il Saggiatore, con il suo romanzo più celebre JR, lo stesso con cui vinse in National Book Award nel 1976, l’anno dopo L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon. La vicenda principale ruota intorno a un ragazzino di appena undici anni, JR Vansant, sorta di personificazione del nano Alberich che, come lui, abdica all’amore per accaparrarsi l’oro del Reno. JR deve interpretare proprio Alberich per una rappresentazione dell’Anello dei Nibelunghi di Richard Wagner a scuola, rinuncia a ogni relazione autentica per raggiungere il suo unico obiettivo: il successo attraverso il profitto, a ogni costo, con ogni mezzo necessario. Considerato il più grande romanzo sul denaro di tutti i tempi – o, meglio ancora, su che cosa sia Reale; in un mondo dove tutto è mercificato, anche l’identità diventa interscambiabile, e l’autenticità si dissolve –, appannato da una notorietà infame di cui riconosciamo alcuni responsabili come Jonathan Franzen che lo appellava con il soprannome di Mr. Difficult, Gaddis è stato poco letto in Italia perché considerato autore ostile. In realtà la sequenza di dialoghi quasi ininterrotti, se non per alcuni paragrafi descrittivi, rende l’opera scorrevole, e il tempo di lettura, una volta superata la soglia di apparente impenetrabilità dell’inizio, si accorcerà senza nemmeno rendercene conto.

Giulia Bocchio 

Ogni dicembre arrivo davanti ai consigli di lettura con titoli che si accompagnano sempre a ricordi più o meno specifici. Va sempre a finire così, certe situazioni, certi fatti vanno di pari passo con ciò che stavo leggendo in quel momento. Quelli che seguono, sono tre testi che mi hanno tenuto parecchia compagnia quest’anno e no non vi annoierò con ulteriori aneddoti.

Il primo libro che mi viene in mente è Potrebbe non esserci più un mondo di H.P. Lovecraft, nella traduzione di Ottavio Fatica uscito qualche mese fa per Adelphi. Come rendere accessibile una corrispondenza dalle dimensioni mitologiche ed elefantiache? La scelta più radicale qui è anche la più efficace: isolare la sua lettera più lunga e offrircela come fosse un romanzo involontario. Così affiora un Lovecraft quotidiano e sorprendente, alieno dal cupo bagliore dei racconti, decisamente sobrio, riflessivo, dotato di un buon senso quasi disarmante, come se l’altra metà della sua follia fosse un razionalismo affettuoso e un po’ stanco. Come sempre è una questione di ombre, che hanno sempre bisogno di un po’ di luce per esistere.

Proseguo con un libro strano, ovvero L’insieme delle parti di Ivan Vladislavić (Utopia). Quattro uomini, un censitore, un idraulico, un artista e un tecnico di cartellonistica, attraversano la città di Johannesburg (che desidero effettivamente visitare da tempo) come sonde umane, restituendone un’immagine che definirei frattale, piena di ipocrisie, contraddizioni, micro-disordini che non finiscono mai di riecheggiare gli uni negli altri. Siamo a dieci anni dalla fine dell’apartheid e la struttura del romanzo si muove in quattro movimenti (un numero che ritorna), costruiti per variazioni e ritorni tematici. Ci sono parecchie influenze in questo tipo di scrittura, rimandi a DeLillo come giustamente ha osservato qualcuno (vi chiederete chi, non importa per il momento).

Il terzo titolo è la ricostruzione di una vicenda che ha molto a che fare con la morale e si tratta del saggio di Salvatore La Porta, Demichov (Il Saggiatore). Una biografia difficile da maneggiare quella di Vladimir Petrovic Demichov, pioniere della trapiantologia, a lungo confinato negli scantinati dell’Unione Sovietica intento a trafficare cavie animali di cui è facile immaginare l’immenso e immeritato dolore.
Il libro che gli viene dedicato non cerca l’agiografia, né la condanna moralistica e ha un taglio molto appassionato. La Porta compone un ritratto che interroga non solo la storia della medicina, ma l’idea stessa di identità corporea. ​​Quanto può costare, in vite e in reputazione, un’ambizione che pretende di superare i limiti del possibile? Sono interrogativi complessi, quelli che il libro affronta, senza semplificazioni, restituendo la densità etica e umana di una storia che continua a mettere alla prova il nostro modo di pensare il progresso. (Argomento adatto al cenone di famiglia).

Annachiara Mezzanini

Il libro bianco, Han Kang (Adelphi)

Secondo il vocabolario Treccani, nel linguaggio scientifico il colore bianco si definisce come la sensazione visiva prodotta dalla luce solare, la cui caratteristica è quella di contenere tutti i colori fusi insieme. Il bianco, quindi, non è un colore o, per meglio dire, è un colore acromatico, che non presenta una tinta. Per Han Kang, invece, il bianco è una lista di cose. Tenda di merletto, zollette di zucchero, lampadina a incandescenza, la quiete.  Il libro bianco parte da questi oggetti, da queste memorie, e si allunga nel tempo, prendendo una forma frammentaria e densa. Ogni pagina è un ricordo connesso al colore, legato al passato della scrittrice e al suo viaggio a Varsavia. Ogni riferimento a sé stessa è anche ponte verso la propria madre partoriente, verso la creatura appena nata e già morta che fu sua sorella.  Il bianco è lutto e nostalgia, ricordo e oggetto, viaggio di scoperta e ritorno a casa. L’esperienza che sta alla base di tutto questo.

Ragazzo, Zuzu (Coconino)

Un ragazzo in cerca di sé stesso, uno che scompare, una madre sola, un padre che si perde lungo i viali della città che lo conobbe da giovane. Sullo sfondo Salerno, coloratissima. Bologna, a frammenti. La disperazione dell’adolescenza, che oscilla tra l’incapacità di Francesco di relazionarsi con l’altro sesso e con il mondo intero, la fragilità di Alice e il bisogno di rispote di Andrea, appare vivida sulla scena, interrotta qua e là dai desideri dei personaggi, personali visioni a occhi aperti, aspettative infrante. Temi delicati e contorti come il suicidio, il sesso, la depressione, il desiderio latente di scomparire improvvisamente (e per sempre) sono toccati da Zuzu – artista consolidata nel panorama editoriale e culturale italiano ed estero – con una delicatezza e una sensibilità commoventi. Il suo tratto scivola senza sforzo tra i volti e gli oggetti, si concretizza nei dialoghi e si scioglie tra i colori vivaci utilizzati per descrivere anche il più piccolo dei dettagli. L’espressione della trama affiora nitida a ogni tavola, dentro ogni vignetta, e restituisce una realtà crepata, un tormento generazionale che non appartiene solo ai giovani, ma a ogni individuo che calpesta questa Terra. Il dolore pervade le membra, si sofferma sul primissimo piano del ragazzo fermo sul pelo dell’acqua, ma poi lo abbandona, lasciando su quel viso contorto una smorfia sempre più leggera, oltre la quale può scoppiare anche la più fragorosa delle risate.

Tutti i nostri segreti, Fatma Aydemir (Fazi Editore)

Cos’è una famiglia? Cosa la rende tale? I nostri genitori, i nostri fratelli, le nostre sorelle? Il paese di origine, la casa entro cui siamo cresciuti? Il sangue? La scelta? Forse. Forse è un insieme caotico di tutto questo, di molto altro ancora. Sicuramente, per qualcuno, famiglia è dove ristagna il non detto, dove i segreti mangiano le interiora delle madri, dei padri e dei figli in un susseguirsi di dolori intercostali che divampano nel tempo. Un’eredità scomoda che rotola via, di generazione in generazione.  Con Tutti i nostri segreti, Fatma Aydemir – scrittrice tedesca di origini turco-curde –  racconta come questa catena di parole spezzate e azioni nascoste impregni ormai da decenni i corpi di una famiglia turca, immigrata in Germania. La storia familiare si apre con la morte del padre e si spezza tra i figli e la madre. Ogni capitolo è una persona, ogni capitolo è un segreto, che viene a galla proprio grazie alla scomparsa del genitore, in un’azione parricida dei sentimenti, che lacera la famiglia e la lascia disorientata.    La nostalgia per il passato e per la propria identità, l’incomunicabilità generazionale, la consapevolezza che nulla è stato mai perfetto, le relazioni burrascose e quelle nascoste, il senso di colpa e la voglia di rivalsa.  I componenti di questa saga familiare si mostrano in tutta la loro fragilità, ma saranno solo i figli, parlando in prima persona, a cercare di uscire dal loop tormentato entro il quale sono nati. I genitori, responsabili di tutto il dolore agito e taciuto, verranno interrogati da una presenza che li conosce bene, una voce interiore, un alito del destino. Padre e madre, che aprono e chiudono il romanzo, sono letti attraverso un “tu” che vibra tra i personaggi e il lettore, facendo crollare sopra le loro teste ormai canute il castello di sabbia che, nel tempo, hanno faticosamente costruito attorno alle vite della loro famiglia.

Annachiara Atzei

Vaim,  Jon Fosse (La Nave di Teseo)

Un uomo parte dal piccolo villaggio di Vaim a bordo della sua barca per raggiungere la città vicina: è una delle sue solite traversate, ormai sempre più rare, dettata da una necessità banale: procurarsi ago e filo. Da quel momento, la sua vita cambia inaspettatamente. La voce di un amore perduto gli giunge alle orecchie durante la notte, trascorsa a dormire ormeggiato sul molo: sembra solo un’illusione, un suono percepito nel vento o nella mente, invece la donna è lì, in carne e ossa: si tratta di Eline, che lui non ha mai dimenticato. I due torneranno a casa insieme e condivideranno finalmente la loro esistenza. Poi, nel mescolarsi di realtà e immaginazione, tutto muta di nuovo. Qualcuno scompare, eppure la sua presenza continua a percepirsi (la morte spezza per sempre i legami?), il suo ricordo non abbandona chi rimane. E l’intreccio si fa ancora una volta diverso, i rapporti tra i personaggi si modificano, quasi che l’uno prenda il posto dell’altro. In fondo, succede nelle vite di tutti e la letteratura – sembra dire Fosse – testimonia proprio questo: la precarietà della condizione umana, fatta di dubbi, occasioni perdute, sentimenti inconsumati, continui tentativi di fare i conti col passato e di accettare la condizione presente. La scrittura dell’autore norvegese (Premio Nobel per la Letteratura nel 2023) è un susseguirsi ininterrotto di parole che accompagna il lettore – o, forse, lo precipita – verso il finale del racconto. Scandaglia tutto, quasi senza respiro. Ed ha una funzione, almeno: quella di farci chiedere se davvero ciò che accade può corrispondere al nostro più profondo desiderio.

Poesie,  Gian Mario Villalta (Garzanti)

Esce, finalmente, per Garzanti, la raccolta di tutte le poesie di Gian Mario Villalta, poeta friulano, autore, tra gli altri, di Vanità della mente (2011), Telepatia (2016) e Dove sono gli anni (2022), tutte presenti all’interno del volume. Con una lingua che non indugia, con versi geometrici e mai idilliaci – perché non è affatto idilliaco ciò che raccontano – Villalta scandisce il presente toccando punti fermi del suo passato: l’infanzia in mezzo ai contadini, lo sgretolarsi di quella società, i luoghi della sua d’origine, la dolorosa morte del fratello. E non è ovviamente un caso che, insieme all’italiano – che viene così sospinto e amplificato nel suo senso – faccia uso del dialetto, che arricchisce di suggestione i testi, quasi fosse una questione sentimentale. Questi versi ne sono una testimonianza: “lingua mia casa affollata/ dentro la casa del padre rifatta per l’io/ che vuole restando andarsene”: qualcosa nasce dalla poesia e si affolla intorno a essa: nostalgia, rimpianto, desiderio, immaginazione. E qualcosa preme per andar via, pur rimanendo, nonostante tutto, sempre unita alle cose e agli effetti che esse hanno sul poeta. E se il cordone ombelicale che lega l’autore a certe questioni che gli sono care non si spezza – pur, spesso, volendolo – si fa evidente, nello scorrere delle pagine, il suo legame con il mondo, il continuo confronto con l’altrui punto di vista e le altrui vicende. La poesia, infatti – ci dice nel saggio La poesia, ancora? (Mimesis) – è come una lente di ingrandimento, o anche uno spazio condiviso, o uno strumento di dialogo che avvicina, crea relazioni, fa rete tra scrittore e lettore.


Il libro di tutti gli amori,  Augustín Fernández Mallo
 (Utopia)

Quanti modi conosciamo per parlare d’amore? È possibile non cadere nella banalità e nella retorica quando si affronta un argomento che riguarda e coinvolge ciascuno così da vicino? Lo fa Augustín Fernández Mallo ne Il libro di tutti gli amori, appena pubblicato per Utopia. Un libro ibrido, sperimentale, che unisce saggio, narrativa, teatro e poesia per sfiorare i confini del non detto e tracciare la nuova mappa di un sentimento capace di muovere tutto. Nell’epoca dell’amore liquido – come lo ha definito Zygmunt Bauman – in cui entriamo e usciamo da relazioni effimere per paura di restare impigliati in legami duraturi e stabili, mostrando l’inadeguatezza nell’esprimere e nel vivere i nostri sentimenti più nascosti e veri, l’autore galiziano fa il contrario: ipotizza che qualcuno, che appartenga al mondo reale o al sogno, che venga dal passato o viva in un presente lacerato, incarni l’amore vero, ne diventi testimone e lo faccia durare in eterno. Come in questo dialogo tra i protagonisti: “Lei gli disse: Amare qualcuno significa ammettere che in quella persona c’è anche qualcosa che ti fa paura. / Lui le disse: Eppure, con te non tremo”. Un libro destrutturato, una narrazione difficile da penetrare e decifrare, che tuttavia si apre al possibile e al credibile perché tocca corde profonde del nostro essere. La storia si spezza e si ricompone continuamente, suggerendoci un amore dai significati molteplici e impensati. Finché, sul finale, tutto coincide: perché d’amore si può parlare in ogni modo, trovandone declinazioni e sensi, ma pure sempre riunendo tutti attorno allo stesso fuoco.


Serena Votano

Una cosa stupida, Alice Valeria Oliveri (Mondadori)

Consiglio questo romanzo a chi, come me, sa cosa vuol dire lavorare in una tragicomica redazione che somiglia più a Boris che a Il diavolo veste Prada. Contesto: nella prima parte del romanzo conosciamo Adriana, la protagonista, sin dalla sua infanzia e adolescenza a Catania. Figlia di un batterista di professione, sin da piccola dimostra di avere un certo talento quando si tratta di strumenti musicali. In particolare per il violino. Subisce le pressioni della famiglia che vorrebbe permetterle sin da subito di avvicinarsi agli studi, ma Adriana al contrario vorrebbe essere come tutte le sue compagne. Non sa come dire ai genitori che, invece, di investire così tanto della sua vita nella musica non ha voglia. Alla fine ci riesce, affronta suo padre e lo costringe ad accettare la sua decisione: non vuole entrare in Conservatorio, vuole suonare la batteria in una band.
Tutto bellissimo finché al padre non viene proposto un contratto discografico… a Milano.
Nella seconda parte ritroviamo Adriana che si è lasciata alle spalle gli studi e sta cercando un primo vero lavoro. Inizia a collaborare a Milano con la rivista Brush – prima in stage e poi in partita IVA – ma è perfettamente integrata nei turni della redazione. La politica di questa rivista è di fare new journalism alla Vice, con giornalisti molto giovani che scrivono in prima persona i propri articoli. La realtà è che è una delle tante riviste online governate da logiche di marketing, trend, views che sviliscono il desiderio di fare testimonianza. Un lavoro che sembra veramente bellissimo ma la cui paga basta a malapena per pagarsi una stanza e per fare la spesa. Le pagine scorrono veloci, ma lasciano dietro di sé una traccia forte. Viene da chiedersi, durante la lettura, qual è la differenza tra identità e talento.

Goodbye Hotel, Michael Bible (Adelphi)

Un elemento – anzi, due elementi di questo libro mi hanno fatto subito pensare a Furore di John Steinbeck. Prima di tutto la presenza della tartaruga, animale simbolico di entrambi i romanzi; poi il modo in cui Steinbeck riassume la potenza della sua storia nel capitolo tre, mentre Bible lo fa già dal primo capitolo, introducendo un evento – ovvero un incidente – attorno al quale si muoverà questo romanzo e che cambierà la vita dei due protagonisti: Eleonor e François.
In realtà, in questo romanzo di tartarughe ce ne sono due: Lazarus e Little Lazarus. Il libro è diviso in quattro sezioni, ciascuna affidata alla voce di un personaggio che racconterà la storia secondo il proprio punto di vista. Nessuno possiede la verità assoluta, ogni voce è una ferita che cerca di rimarginarsi raccontando il proprio punto di vista. Non si parla però solo dell’incidente, ma anche del prima e del dopo, e ogni personaggio annoda i fili della propria vita intorno a quell’evento centrale da cui tutto scaturisce. È un romanzo denso di personaggi attraverso cui il narratore esplora il senso di vuoto percepito dagli abitanti di Harmony, di New York, del mondo. Conosciamo il passato, il presente, le turbe adolescenziali, ma anche il futuro e l’ineluttabilità del destino che spesso ci sembra già scritto. Lazarus è una tartaruga ultracentenaria mentre Little Lazurus ha pochi mesi al momento dell’incidente; Bible gioca con la percezione del tempo: ciò che per l’uomo sembra la fine, per la tartaruga è solo un intermezzo. Lo stile dell’autore risuona immediatamente a chi ha già letto il suo esordio, e cerca quel patto narrativo unico: fermarsi un passo prima dell’apocalisse per osservarla accadere.

Prepararsi, Sara Marzullo (66thand2nd)

Per chi ci prepariamo? Che cosa raccontano di noi i vestiti che scegliamo e che indossiamo? «Si ragiona molto su come appariamo, sul costo economico e ambientale di “non avere niente da indossare”, sulla rigidità dei canoni di bellezza, ma mai abbastanza sull’ambivalenza alla base del rito di prepararsi, su come sembri riguardare solo la metà della popolazione che si riconosce nel genere femminile. Mi sono chiesta: perché le donne si preparano? Cosa dice questo di loro?»Dopo Sad girl – La ragazza come teoria, in cui l’autrice analizzava l’archetipo della giovane malinconica, Marzullo torna a riflettere sul corpo, sullo sguardo e sul lavoro quotidiano di costruzione di sé. Prepararsi può essere un rituale, un obbligo, un gioco, un capriccio, un’imposizione o una scelta personale. Un gesto apparentemente semplice, ma carico di interrogativi che toccano la sfera personale e quella sociale, lo sguardo degli altri e il nostro, chi siamo e chi vorremmo diventare, e le regole di genere che spesso ci condizionano senza che ce ne accorgiamo. Tra storia della moda, questioni di genere e pressioni sociali, l’autrice esplora quel momento di riflessione – davanti all’armadio, allo specchio o prima di uscire – in cui decidiamo come presentarci al mondo.


Annalisa Grulli

Il libro dell’altrove, Keanu Reeves e China Miéville (minimumfax)

Trascorri la notte con il corpo senza testa e la testa senza corpo di colui che non è il tuo fratellastro. Ti passi la sua testa da una mano all’altra e le dici che ti dispiace che sia dovuta finire così. Quando sopra la montagna sorge il sole e le tue guance sono bagnate e i bordi di tutte le cose sono affilati come coltelli e tu ricordi cosa fanno le lacrime alla luce.
Un guerriero di 80000 anni che si rivela stanco e malinconico: sono risuccesse troppe cose, il mondo e l’umanità si assomigliano e si ripetono confondendo amici e nemici nella vita di Unute. La speranza di essere mortale è il sollievo di cui va in cerca il protagonista, in una esperienza letteraria che, per questa volta, rievoca un altro mondo e non un’altra esistenza. Strano che sia proprio Keanu Reeves a farlo così intensamente.

Green Mountain Academy,  Frances Greenslade (Keller)

Mi sono sentita improvvisamente sola in quella grotta di echi e ombre. Temevo di aver appena fatto una promessa che non avrei potuto mantenere. La Green Mountain Academy è un rifugio per Frencie dopo la tragedia famigliare, un luogo dove ricostruirsi e sentirsi al sicuro, anche grazie al contatto con la natura. L’esperienza della protagonista si mescola con una nuova tragedia quando scoppia una bufera di neve che la blocca nella scuola; la natura come allegoria della vita di Francie sono il cuore di questa storia dove si scoprono la tenacia e il coraggio di chi attraversa le tempeste.


Elena Cirioni

Per i consigli dei libri di questo 2025 parto da un regalo da fare ai cuori nostalgici underground degli anni Novanta. Se anche voi, come me, vi ritrovate sempre più spesso con amici a ricordare i bei tempi andati, la raccolta antologica di Torazine 666 edita da Nero Editions fa per voi. Torazine è stata una rivista, anzi LA RIVISTA della subcultura fine anni novanta romana. Disturbante, surreale, unica nel suo genere, con il suo stile grafico ha forgiato generazioni e anticipato stili ed estetiche. Nero Editions ha raccolto tutti i numeri di Torazine in un volume di 674 pagine con manifesti, flyer, locandine, materiali inediti. Una “Bibbia del male” pronta a diventare un oggetto di culto. Utile anche per vantarsi con le nuove generazioni di quanto eravamo belli e dannati.

Per continuare sulla scia delle letture al di fuori della letteratura mainstream, consiglio il nuovo romanzo di Violetta Bellocchio, Studio privato edito da 66thand2nd. Violetta Bellocchio mantiene il suo sguardo liminare underground, allergico all’ autocompiacimento. Il bisogno di raccontare quello che la società ci spinge a tenere nascosto diventa uno stile narrativo senza pudore per nessuna fragilità. È la stessa etica del margine raccontata da Torazine solo con il gusto letterario  e il bisturi affilato di una scrittrice audace.

Finisco questi consigli con quello che considero il mio romanzo dell’anno, Tattoo di Earl Thompson edito da Feltrinelli e tradotto da Tommaso Pincio. Come Torazine rifiuta la prosa, come Bellocchio rifiuta le bugie della redenzione, in Tattoo c’è il rifiuto di ogni ipocrisia, di ogni perbenismo. Verità e desiderio vengono raccontati attraverso la vita di Jack, ragazzino del Kansas nell’immediato dopo guerra. Ogni pagina è un graffio, un livido che ti resta addosso, come dopo una rissa o qualche ora di sesso. Jack rappresenta l’anima più tenera, sensuale e rabbiosa di ognuno di noi. Leggete la sua storia, fatelo diventare vostro amico e capirete la sua disperante, sensuale e contagiosa rabbia di vivere.

 

Giorgio Castriota Skanderbegh

Orbit Orbit, Caparezza, Sergio Bonelli editore

 Michele Salvemini, Caparezza, il Cosmonauta: le identità di un artista che fanno a pugni nella sua testa e sulla pagina. Una space opera, che non rifugge l’ironia a cui ci ha abituato il rapper ora neonato fumettista, fa da sfondo e metafora alle inquietudini della creatività, le aspettative, la vita e i problemi fisici che rischiano di impedire le ossessioni. Da dove vengono le idee e, soprattutto, dove vanno quando sembrano sparire? Da chi vengono le critiche e, soprattutto, dove si sedimentano quando sembrano sparire? Il piccolo Michele, del resto, voleva fare proprio questo, il fumettista; dopo essere inciampato in una carriera nella musica, ci regala ora questa graphic novel che, ebbene sì, contiene una rana anagrammante.

 Nel nido dei serpenti, Zerocalcare, Bao

Un altro Michele — Rech, Zerocalcare — presenta una raccolta di storie-reportage apparse su l’Internazionale a proposito del processo in Ungheria per i fatti dell’ottobre 2023, lo stesso che vide tra gli imputati Ilaria Salis, ora scarcerata. Durante le celebrazioni per il cosiddetto giorno dell’Onore, e cioè il giorno in cui si celebra il tentativo delle truppe naziste e ungheresi di rompere l’assedio sovietico a Budapest nel ’45. Diciassette persone, tra cui la Salis, vengono accusate di aver aggredito un gruppo di neonazisti festanti. Completando con un resoconto di un suo viaggio dell’autore in Germania e in Ungheria, Zerocalcare, come ci ha abituato, fonde la memoria e le impressioni personali con la vicenda umana e storica. Maja T. è ancora detenuta.
Bao, in collaborazione con Momo edizioni, destinerà parte dei proventi del volume al sostegno delle spese legali di Maja, che rischia ventiquattro anni, e degli altri imputati.

 Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina, Francesca Albanese, Rizzoli

Non bisogna mai smettere di parlare della Palestina.


Giammarco di Biase

Nella carne, David Szalay, Adelphi

È tutto un cerchio. Si abbandona l’adolescenza (nel peggiore dei modi) per aderire all’adultità. Vittorie, sconfitte, lutti, speranze, esordi nel mondo del lavoro e regni da conservare. In questo romanzo che si legge tutto d’un fiato il protagonista lancia i dadi del proprio destino. O sono i dadi a lanciare lui, passivamente: forse è proprio dal presente che si parte per non essere più tangibili. Il corpo, un corpo bello, rude e addolorato è la cavia, il topo da laboratorio, per accedere alla vita, sempre da lontano, sempre con l’ingiustizia di un tocco violenta. Il libro più importante dell’anno, per me, il più importante (forse) di questo secolo. 

Suicidio, Édouard Levé, Quodlibet

Levé si rivolge ad un amico d’infanzia suicidatosi giovanissimo una ventina d’anni prima. Ma l’amico è (anche) uno specchio dentro cui osservarsi: perché Levé non smette mai di parlarci di sé, della propria fine immaginata, anticipata, pianificata. È importante rivolgersi a quest’opera, del fotografo – artista- scrittore Levé proseguendo (o anticipando) il cammino di lettura con il suo libro precedente, uscito sempre quest’anno: Autoritratto. Accostare le due opere è, addirittura, essenziale. 

Vita nel pomeriggio. Storie di tori e toreri, Caterina di Terlizzi (Moebius)

Le arene spagnole della corrida, le monumentali Plaza de Tores, sono teatri di vita e di morte in cui tradizione, arte e controversie si intrecciano da secoli. Ieri come oggi la corrida de toros è celebrata e condannata, simbolo perenne dell’identità, del passato e della sfida al destino spagnolo. Un libro curioso, fuori dai saggi e dalla catalogazione. Ricco di immagini e fotografie integrative al racconto. Un vero ritratto antropologico del mestiere dei toreri, così tanto fantasticato e così poco conosciuto. Vita nel pomeriggio riecheggia le voci di poeti, filosofi e antropologi, da Federico García Lorca con la struggente elegia per Ignacio Sànchez Mejias, maschera tragica del matador:

Perché tu sei morto per sempre,
come tutti i morti della terra,
come tutti i morti che di scordano
in un mucchio di cani spenti.

 

 


In copertina: illustrazione a cura di Annachiara Mezzanini


 

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