Di Giammarco di Biase
La scrittura non è semplice mezzo, ma materia da deformare, aprire, violentare.
Lessi Alessandra Saugo due anni fa per la prima volta, e scoprii un talento che agisce sulla lingua come su un tessuto fisico: taglia, cuce, smonta. Ne fui folgorato, soprattutto quando era lei per prima a farsi da parte nel racconto come una martire raccontando del mondo e di altre figure divinatorie, una sorta di ritrattistica di personaggi anche noti e celeberrimi che si chiudevano e aprivano come sipari strappati della cultura pop-rock.
Alessandra Saugo (1972-2017) è stata una figura di confine nella narrativa italiana contemporanea, la cui ricezione critica si è intensificata solo dopo la morte. Artista visiva, performer e scrittrice, ha attraversato linguaggi diversi, facendo dell’ibridazione espressiva una cifra identitaria. Il suo ingresso nel panorama editoriale avviene troppo tardi, con Bella Pugnalata (pubblicato su impulso di Antonio Moresco), seguito dal postumo Come una santa nuda (Wojtek, 2023). Le pagine sono segnate da una disarticolazione sintattica consapevole: periodi brevi, ellissi, accumulazioni di immagini. Rinuncio alla linearità per preferire una polifonia interiore. Il tono alchemico tra lirismo e crudeltà, con momenti di violenta corporeità mitigati da un’ironia amara.

Ne La custodia dell’angelo, tale sperimentazione rende ancora più manifesta: la Saugo chiama un lessico più astratto e riflessivo al suo fantasma (voce lontana, sempre presente) che trasforma quei sipari (di cui parlavo precedentemente) in linguaggio filosofico. Il corpo non è più solo luogo di dolore, ma archivio di memoria e segno linguistico. Antonio Moresco in questo libro è duplice: non solo critico (prefazione e post-fazione sono sue) ma anche padre ontologico. Critico, perché ha offerto un orizzonte interpretativo alla ricezione di Saugo, definendo la sua voce “radicale e necessaria”. Ontologico, perché la sua visione della scrittura come atto visionario e incarnato fornisce a Saugo un modello di “lingua come corpo cosmico”.
Non si tratta di un’influenza diretta ma di un’affinità di destino: entrambi concepiscono la scrittura come atto di rivelazione attraverso la ferita. Laddove Moresco si muove verso la trascendenza, Saugo radicalizza la carne della parola, portando quella tensione nel femminile, nel quotidiano, nel trauma intimo. La custodia dell’angelo è un’opera di rara intensità e ambizione: ambisce non solo a narrare, ma a interrogare la lingua, il soggetto, la memoria. Tuttavia, dal punto di vista critico si può osservare che tale ambizione comporta anche dei rischi: la forte propensione al frammento, alla stratificazione, alla “voce che si fa coro”. In alcuni passaggi la tensione formale appare prevalente rispetto alla densità emotiva, rischiando di allontanare il lettore che cerchi un “racconto” più lineare. Ma è proprio questo rischio che Saugo assume con coerenza: rifiuta la rassicurazione della forma tradizionale e investe nella scrittura come zona di vulnerabilità e sperimentazione.
La coesione tra vita e testo è totale: la scrittura non è esterna alla vita, ma la vita stessa che assume forma linguistica. Una singolare insistenza sul corpo e sulla voce, a mio avviso, come dispositivi di conoscenza: la sua scrittura non “rappresenta” l’esperienza, ma la produce, ne diviene incarnazione verbale. In questo senso, la Saugo si inserisce in una linea che va da Amelia Rosselli a Patrizia Vicinelli, ma con un tono più performativo. Il motivo dell’angelo, già presente in forma latente nei testi precedenti, assume qui una funzione strutturale: rappresenta il punto di congiunzione tra corporeità e trascendenza, tra “io” e “altro”. L’angelo di Saugo non è custode nel senso religioso, ma figura liminale, metonimia della scrittura stessa: fragile, luminosa, impossibile da trattenere. Da un punto di vista semiotico, l’angelo si configura come significante vuoto – una parola che tenta di contenere ciò che per definizione sfugge. In questa chiave, La custodia dell’angelo può essere letto come un esercizio di “semiologia del residuo”.
Nevica?
Ha cominciato?
Si è già appoggiata?
La sua scomparsa
si è già ambientata?
È un appoggiarsi
a ricalcare
a contrastare
è un rarefarsi
di una cosa,
per un’altra.
Alessandra Saugo è nata il 14 gennaio 1972 a Valdagno (Vicenza) ed è scomparsa il 22 settembre 2017. Ha pubblicato Bella pugnalata (Effigie, 2010), Metapsicologia rosa (Feltrinelli, 2017) e, con Wojtek, Come una santa nuda (2023).
In copertina: artwork by Antonello da Messina (part.)

