Di Giammarco di Biase
Con Il tempo della guarigione (L’arcolaio 2025) Andrea Breda Minello racconta una storia d’amore. Un’opera destinata ad un’altra voce, quella dell’amato, che soffia e brucia dentro come un poemetto scalzo senza alcuna pretesa e presunzione se non quella di incontrare un “destinatario”. Infatti, è insito nella natura dell’amore il fatto che – come Lucano osservò duemila anni fa e Francis Bacon ripeté molti secoli dopo – esso non possa che significare il consegnarsi in ostaggio al destino. In altre parole, nell’opera di Breda Minello, non è nella brama di cose pronte per l’uso, belle e finite, che l’amore trova il proprio significato, ma nello stimolo a partecipare al divenire di tali cose. In ogni amore ci sono due esseri, ciascuno dei quali è la grande incognita nelle equazioni dell’altro e l’autore sembra violentemente interessato a questo sentimento da farlo apparire come status diverso per eccellenza rispetto agli altri eventi dell’esistenza irripetibili.

Proprio di questa irripetibilità vive Il tempo della guarigione, canto sulla restituzione di un bene, sulla vita più sorprendente di qualsiasi forma d’arte. Libro pulsante, cronistoria, registrazione poetica di un corteggiamento o meglio ancora, poesie che compongono un unico corpus scritto in presa diretta: vicenda semantica ancora prima di essere vissuta nella carne degli amanti, nell’universalità della parola. Da leggere tutto d’un fiato con una coda finale di tre poesie non dipendenti l’una dall’altra, ma legate da apparizioni ed essenze, scandite dal flusso dell’acqua, che lambisce la terra che abitiamo tra visione e corpo. L’eros, afferma Lévinas, è diverso dal possesso e dal potere, non è né una battaglia né una fusione. Non è, soprattutto, conoscenza. L’eros è una relazione con l’alterità, con il mistero, vale a dire con il futuro, con ciò che è assente dal mondo che contiene ogni cosa che c’è. Il pathos dell’amore consiste nella dualità degli esseri (Bauman, L’amore liquido, Laterza).
È proprio qui che ci sembra venire al dunque del concetto di dualità. Quest’amore infatti è fuso geograficamente, un amore che parla due lingue diverse, la lingua sarda e la lingua italiana, la lingua più materna del mondo. Due terre, due canti, due voci che si avvicendano, dialogano tra di loro, e si appartengono per un giorno o forse per sempre: basterebbero soltanto gli esergo di Antonella Anedda e di Giacomo Noventa, in cui Veneto e Sardegna in un gioco di specchi si corrispondono, per restituirsi all’opera, senza diroccarsi in labirinti, ma perdendosi nell’incanto di queste poesie che sono arie aperte, musica magmatica isolana (quasi morantiana), contrappunto alla Venezia tanto cara all’autore. In realtà i riferimenti, proprio quelli che rappresentano il punto di incontro tra due identità, all’apparenza opposte, sono tanti: Donizetti, Ornella Vanoni (a cui sicuramente Breda Minello dedica il principio, il ciclo circadiano, la genesi di quest’opera, come afferma in nota). Ma ecco slacciarsi tra le pagine come presentimenti la poetica di Nelo Risi, il grande Sergio Atzeni, spesso troppo dimenticato dalla compulsione del mondo letterario. C’è Pasolini, tra le caravelle, la meravigliosa fragilità della seduzione, accanto al suo sciagurato rifiuto di sopportare la vulnerabilità della passione a cuor leggero. Appare difficile credere che oggi un poeta parli ancora così bene d’amore, sentimento bypassato, ormai sempre al limite delle parole.
Anche con la pioggia che ci accompagna
potrei enumerare cieco i masegni che come
filo d’Arianna mando a memoria
per accogliere sa oghe de su entu e de su mare
***
Sono arrivato prima per stare con te,
per il nostro caffè, e procedi lungo la via, dimentichi,
ancora senza di me ti perdi
ti abbandoni, lasci che ti guidi
o forse è perché quando siamo insieme
ogni luogo non è più necessario al tempo che abitiamo
***
Con te le gabbie sono saltate
Con te sono libero per la prima volta
Senza di te avrei paura di non poter più riconoscere
il mondo nella sua interezza volatile
Per questo perdonami se dubito, se ho il terrore
che tutto possa apparire al vero un sogno di un falco demente
perso tra le pagine dei secoli e dei suoni di un’isola
che non è mai stata così vicina alla parola amore
***
Le mani sfiorano il tuo corpo
che conosco come il mappamondo
che tenevo acceso per paura dell’uomo nero
Riconoscerei la tua figura anche ora che
senza occhiali mi sento nudo e vero
Andrea Breda Minello (1978) vive e lavora a Venezia. È poeta, drammaturgo, scrittore e si occupa di letteratura comparata e di studi di genere. Suoi racconti sono usciti per Empirìa, su “Nazione Indiana” e “Narrandom”. In poesia ha esordito in X quaderno di poesia contemporanea e ha pubblicato: Del dramma, le figure (Zona, 2015), Yellow (Oèdipus, 2018), Catechesi dell’abbandono (Industria&Letteratura, 2025), Il tempo della guarigione (L’Arcolaio, 2025). Ha pubblicato l’atto unico Black Russian (Blonk, 2023). Ha curato la traduzione di Se solamente di Julien Burri (Kolibris, 2010) e Poesie d’amore di Anna de Noailles (ArcipelagoItaca, 2019). A livello critico si occupa di Antonella Anedda, Franco Buffoni, Maria Grazia Calandrone, Rossana Ombres e Marisa Sannia.
In copertina: René Magritte, Le pain quotidien

