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L’insondabile mistero di Tarchetti: tra sogni, ossessioni e follia

Di Mauro Germani

 

C’è sempre qualcosa di incompiuto, di non detto, di segreto nei Racconti fantastici di Igino Ugo Tarchetti (1839-1869), pubblicati postumi nel 1869. Anche quando le vicende narrate sono inserite in una cornice cronachistica, non perdono mai quell’insondabilità e quel mistero che le accompagna.
Esponente non secondario della cosiddetta Scapigliatura, Tarchetti esprime con le sue opere più significative – i Racconti fantastici, appunto, e il romanzo Fosca, anch’esso pubblicato postumo nel 1869 – la ricerca inquieta e impossibile di una realtà totale dell’uomo, il quale appare sovente scisso, tormentato da un dualismo senza scampo. Ed è proprio in questa totalità infranta, smarrita, irrecuperabile che risiede il contrasto tra il reale e l’ideale e che genera i fantasmi e le invenzioni di Tarchetti. Nel perenne dissidio tra luce e ombra, tra ragione e follia, tra vita e morte, si può riconoscere lo scrittore stesso, nel tentativo sempre vano di «trovare il centro della propria anima», come si legge nelle prime pagine di Fosca.

L’uso prevalente della prima persona verbale è infatti la prova, da parte di Tarchetti, della necessità di non prescindere dalla propria esperienza e dalle proprie ossessioni; gli io protagonisti si possono così legittimamente interpretare come trasfigurazioni, più o meno fantastiche, di angosce e di aspirazioni irrisolte dentro trame sfuggenti e feroci al tempo stesso. Ciò che accade ai personaggi è in qualche modo già accaduto all’autore, il quale – uscendo da sé medesimo – narra il suo doppio oscuro, tenta costantemente il limite tra apparenza e realtà, invertendo spesso i due termini e anticipando così problematiche tipicamente novecentesche.
È interessante notare, poi, come temi romantici e ideali si capovolgano talvolta nel loro contrario, ma senza una completa perdita di entrambi, perché le loro conseguenze non si dissolvono mai del tutto e sopravvivono nell’ambiguità di un vero che è sempre oltre, ossia al di là della coscienza.
Nei Racconti fantastici risultano di particolare rilievo I fatali, La lettera U, Un osso di morto.
Nel primo, due individui sono portatori di tremende sciagure, ma non si sa chi siano veramente e viene messa in dubbio la loro doppia identità. La lettera U è la straordinaria storia di un’ossessione senza scampo, che rivela in realtà quella per la scrittura: la lettera in questione assume caratteri demoniaci e il protagonista ne ha un vero e proprio orrore, dovuto soprattutto alla sua forma, a «quella linea che si curva e s’inforca – quelle due punte che vi guardano immobili – quelle due lineette che ne troncano inesorabilmente, terribilmente le cime – quell’arco inferiore, sul quale la lettera oscilla e si dondola sogghignando – e nell’interno quel nero, quel vuoto, quell’orribile vuoto che si affaccia dall’apertura delle due aste, e si ricongiunge e si perde nell’infinità dello spazio…».
Ecco che qui ritorna il tema del doppio, insieme a quello della mancanza e del vuoto.

 

In Un osso di morto vi è invece il desiderio, da parte di uno spettro, di riappropriarsi di un pezzo del proprio scheletro, così come nel racconto lungo Storia di una gamba l’ossessione per la perdita dell’arto inferiore s’intreccia in una storia in cui malinconia e amore, pietà e amicizia sfidano i loro stessi limiti e si aprono verso territori ignoti e pericolosi. Il pericolo, infatti, è sempre in agguato nelle storie di Tarchetti, nelle quali avvengono capovolgimenti continui e improvvisi che la semplice ragione non riesce controllare (e a questo proposito viene da pensare che alcuni racconti di Tarchetti, come per esempio La lettera U o Un osso di morto, anticipano in qualche modo quelli da riscoprire del primo Giovanni Papini, davvero mirabili per genialità inventiva e per la scrittura al tempo stessa leggera e incisiva, capace di provocare nel lettore turbamento, angosce, interrogativi e paradossi).

Nel romanzo Fosca – che si può definire come una sorta di moderna danza macabra – assistiamo a un singolare gioco di specchi sul tema dell’amore, tra momenti idilliaci, menzogne e inquietanti passioni morbose. Le due donne della vicenda, la luminosa Clara e la tenebrosa Fosca, s’impadroniscono, a loro modo, della vita di Giorgio, il protagonista, ma entrambe sono segnate da un’impossibilità: Clara ha un marito; Fosca, invece, è di una «bruttezza orrenda» ed è gravemente malata. La sua figura ha in sé qualcosa di abissale, che da un lato respinge, ma dall’altro seduce.
Tutto in lei appare eccessivo: il pallore della malattia, l’aspetto fisico anomalo e sgraziato, la passionalità incontrollata, l’intelligenza vivissima ma in qualche modo deviata, contorta. Confessa infatti il protagonista a sé stesso:« […] Fosca non era una donna comune. Il suo spirito era assai colto, la sua intelligenza assai vasta; e la sua stessa infermità, la sua bruttezza erano tali circostanze che concorrevano a formarne un’eccezione. Le sue passioni, i suoi sentimenti, le sue idee dovevano anche essere eccezionali». L’amore, la follia e la morte abitano questa donna della contraddizione, caratterizzata da un sentimento violento e imprigionato nel corpo, da una scissione dell’io che può ricomporsi solo nell’annientamento di sé, in un desiderio che viene appagato con una passione distruttiva e autodistruttiva. In lei c’è una pulsione di morte che per Giorgio sembra essere la manifestazione di una verità cupa e ineluttabile, dalla quale non può fuggire. La passione folle che Fosca prova per lui sarà fatale per entrambi, a dimostrazione di un contagio misterioso e potente: il senso di morte da cui la donna è posseduta, si trasferisce così inevitabilmente al protagonista, travolgendone l’esistenza.
Il gusto dell’orrido e del macabro, presente nel romanzo, è stato d’altronde per lo scrittore un motivo ricorrente in molti testi; basti pensare, al riguardo, ai celebri versi – lugubri e non privi di crudele ironia – di Memento, poesia della raccolta postuma Disjecta (1879): «Quando bacio il tuo labbro profumato, / Cara fanciulla, non posso obliare / Che un bianco teschio vi è sotto celato»; e poi, l’ultima terzina: «E nell’orrenda visione assorto, / Dovunque o tocchi, o baci, o la man posi, / sento sporger le fredde ossa di un morto».
Anche se Igino Ugo Tarchetti non completò Fosca a causa della sua morte prematura, avvenuta il 25 marzo 1869 in casa dell’amico Salvatore Farina (che compose interamente il capitolo XLVIII, mentre i due ultimi capitoli erano già stati scritti da Tarchetti), occorre dire che l’opera appare in sé compiuta, e può essere anzi considerata la testimonianza più autentica e drammatica dello scrittore, nella quale è il lato oscuro e tragico dell’esistenza a prevalere su tutto il resto.


 

In copertina: Johan Gustaf Sandberg (1782-1854), Vanitas, s.d., olio su tela montato su masonite, Museo nazionale, Stoccolma

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