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Graphic novel e resistenza: raccontare l’Iran tra immagini e parole – Iraniana di Eric Darbré, Aran de Shahdad, Zainab Fasiki

Di Annachiara Mezzanini

 

Le immagini che descrivono, a chilometri di distanza, le proteste e i protagonisti delle lotte sociali contro il regime teocratico iraniano, popolano da quasi tre anni l’immaginario collettivo occidentale, ormai abituato alla violenza, assuefatto all’emotività verso chi soffre. Da quando, nel settembre 2022, venne picchiata a morte Mahsa Jîna Amini, le ombre delle rivolte soffocate nel sangue e gli occhi vuoti dei ritratti dei condannati a morte hanno cominciato ad abitare i social. Fra post che scorrono distrattamente fra le dita, tra una notizia e l’altra, quelle effigi, che denunciavano una tirannide in atto, sono presto diventate cibo insipido per chi le osservava.
Nonostante questo, c’è da considerare che le immagini della rivolta – stil presi da filmati amatoriali, foto di reportage giornalistici, scatti privati immessi nel flusso dei social – compongono un fragile e variopinto mosaico, al quale, però, non sempre si presta la giusta attenzione al dettaglio. 

Le fotografie e i fermo immagine della vita iraniana prendono una forma diversa in base al fruitore che vi si pone davanti, come carta da parati che da sempre abbiamo avuto sotto gli occhi, cornice di innumerevoli cene in famiglia e di compiti assegnati durante l’infanzia. Nella calura di quei giorni lontani, ci siamo dimostrati inconsapevoli della sua reale trama d’immagine, esercitati com’eravamo alla sua vista. Ma tra il bianco dello sfondo e il rosa pallido dei fiorellini in primo piano, non abbiamo mai fatto caso ai corpi martoriati, alle gambe oscillanti degli impiccati in piazza, alle teste senza velo che venivano picchiate con veemenza, ai lazzi levati in aria, pronti a colpire le terga di qualcuno disteso al suolo. Dalla nostra seduta, una prospettiva rimasta inalterata negli anni, abbiamo sempre osservato quel ginepraio confondendolo per un roseto in fiore, ma – dalla giusta distanza – quelle spine e quelle rose altro non sono che i carnefici e le vittime di un complesso sistema tirannico, divenuto nel tempo uno stato1 .

Come fare a riconoscere questi segni? Come smettere di dare per scontate le immagini che scorrono veloci, sotto i nostri sguardi stanchi?

Un interessante esercizio grafico, una commistione tra arte e letteratura, ci viene fortino dal genere del graphic novel, ovvero da quella che, più poeticamente, si potrebbe definire come la parola illustrata. Il tratto animato – l’illustrazione – da tempo popola l’immaginario collettivo iraniano. Basti pensare agli ultimi venticinque anni di storia, anni di teocrazia, di lotta sociale, anni durante i quali numerosissimi artisti e scrittori sono stati costretti all’esilio, ad una forma di prigionia e tornitura talvolta più aspra da sopportare: la diaspora.
In merito a ciò, fondamentale è stato l’apporto della fumettista e regista Marjane Satrapi, pioniera del graphic novel iraniano e divenuta famosa sulla via verso occidente, grazie alla tetralogia
Persepolis. A cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila, Satrapi ripercorse a ritroso il proprio personale vissuto, rendendolo per immagini. La sua autobiografia illustrata, però, non si anima soltanto delle peripezie subite e agite tra l’infanzia e la prima giovinezza, ma si rende portavoce di una condizione comune, ovvero della quotidianità iraniana successiva all’ascesa del regime del 1979. 

Poco più di due decenni dopo la pubblicazione del primo volume della saga di Satrapi, altre voci si sono levate per denunciare la dittatura iraniana. In questa lotta che vede per la prima volta uniti in piazza sia uomini sia donne, le testimonianze visuali di ciò che accade dentro e fuori le porte chiuse delle abitazioni iraniane sono divenute importantissimo mezzo conoscitivo e di indagine, che dalla più intima e piccola vicenda personale, si allargano come macchia d’olio bollente verso un intero popolo in rivolta. Eclatante è il caso letterario presentato dal corrispondente estero francese Éric Darbré e dalla disegnatrice femminista di origini marocchine Zainab Fasiki, i quali hanno riportato, attraverso la potente parola illustrata, le dichiarazioni rilasciate a distanza da Aran de Shahdad.

 

 

Iraniana. Fiere e ribelli nel paese dei Mullah, pubblicato in Italia da 001 Edizioni lo scorso novembre, si dimostra essere l’ennesimo tassello colorato di questo insieme letterario di narrazioni iraniane domestiche e pubbliche. La vicenda, come molte altre, parla di una giovane donna di Teheran, costretta ai controlli sul decoro, imposti dal rispetto delle leggi islamiche, a scuola così come per strada. In mezzo ad una moltitudine di marionette pallide, connotate dal nero profondo del chador che le copre e camuffa dalla testa ai piedi, Raya si distingue pericolosamente: capelli rasati ai lati della testa, ciuffo colorato di viola, piercing, anelli, orecchini, trucco. Tutto fa di lei un nemico della morale e del decoro, ogni singola fibra del suo essere grida a pieni polmoni la sua disubbidienza. Nascosta in piena vista, rimane immobile tra le fila delle altre studentesse, in attesa di essere scoperta e punita. Il suo colore, la sua essenza, traspare evidente non soltanto dalle mode estetiche che segue, come quella punk (seguita e descritta parimenti dalla giovanissima Satrapi sul finire degli anni Ottanta), ma anche dalla sua personale etica, che diniega le imposizioni dello stato teocratico e si crea, da sola, una sua privata bolla di sopravvivenza. Tra le pareti sottili di questo spazio sicuro, Raya si circonda di outsider come lei, adolescenti queer ed eccentrici, giovani isolati che covano in loro un estenuante bisogno di essere ascoltati. 

I giorni della sua vita che ci vengono narrati sono tinti di azzurro, rosa, giallo, viola, verde. Tutti toni accesi che ben descrivono l’interiorità della protagonista, punk e lesbica come si presenta fin dalle prime vignette, e che vanno a creare un netto contrasto con il nero abissale entro cui il regime vorrebbe limitare la popolazione iraniana. 

L’impossibilità all’amore che Raya vorrebbe esprimere, ovvero quello verso una persona del suo stesso sesso, è un fil rouge che ricama l’intera trama e che accomuna, di tanto in tanto, i giovani amici della protagonista. Essere una donna, e per di più lesbica, in uno stato islamico, rappresenta senza possibilità alcuna di salvezza, una condanna di morte. Nel presente testo viene, quindi, analizzato un tema urgente e delicato, inscritto nella più generale concezione della donna in un paese dominato da una guida suprema di stampo religioso. L’omosessualità è solo una parte della vita di Raya, ma che parrebbe precludere a lei la possibilità di espressione totale di se stessa. Le difficoltà di una donna in Iran, però, sono ben altre da questa. Il limite è essere donne, il proprio orientamento sessuale o le proprie abitudini in merito sono solo cavilli burocratici che ostacolano il controllo, comportamenti da correggere, bravate adolescenziali. 

Lo smacco perpetrato da parte di una giovane compagna di classe, di cui la protagonista era follemente innamorata e inizialmente ricambiata, porta Raya ad intraprendere un percorso difficile, che la allontanerà – anche solo per una manciata di giorni – dalle attenzioni materne e dalla propria zona di conforto. Disprezzata dall’oggetto del proprio desiderio, derisa per la propria classe sociale di appartenenza e per il proprio orientamento sessuale palesato, Raya si ritroverà ad affrontare la fine del liceo immersa in una nuova e triste consapevolezza: l’inizio della vita adulta porta con sé determinate responsabilità che, talvolta, sarebbe più semplice sopportare se aiutati da qualcuno. 

Andarsene dal proprio paese, lasciare chi si ama in balia della dittatura, parrebbe sembrare un barlume di speranza per chi, come la nostra giovane donna, si percepisce come straniero a casa propria. 

Le domande si biforcano: allontanarsi per ricominciare a respirare altrove o restare e prendere parte alla lotta sociale?

Le bugie dette per proteggersi e proteggere, le esperienze di velata libertà vissute ai margini del paese, le prime disincantate riflessioni e scoperte sui propri familiari e la possibilità, finalmente tangibile, di lasciarsi alle spalle la repubblica islamica e tutto ciò che essa comporta, sono solo alcune delle tematiche narrate in prima persona da Raya e toccate da Iraniana, un graphic novel che, già dal titolo, fa capire chiaramente sia il soggetto sia l’oggetto della sua ricerca per immagini. 

La vita di una donna può essere singola o molteplice, può descrivere i giorni di una sola persona e, al tempo stesso, narrare di un’intera fetta di popolazione. Con Raya non si vede soltanto la difficoltà di una semplice diciannovenne alla ricerca di se stessa, ma si percepisce sullo sfondo, tra la folla sfumata e monocroma che fa da cornice a Raya stessa, la realtà comunemente condivisa da generazioni di cittadini, più o meno consapevoli. La potenza di tale narrazione, dell’illustrazione in sé, sta proprio in questo: parlare della singola identità, per riferire una collettività; usare una lingua poliglotta, come quella espressa dal disegno, per far in modo di essere percepita e compresa simultaneamente dal maggior numero di persone possibile. 

L’urgenza di esprimere certi temi va oltre ogni confine geografico e linguistico, si pone al primo posto nell’elenco delle realtà da tracciare, interferisce con la tranquillità di chi, di nuovo a chilometri di distanza, resta fermo ad osservare. Parlare di Raya, di Aran, di Marjane è solo un timido pretesto per focalizzare l’attenzione sulla donna in Iran, sul suo ruolo, sulla sua voce zittita. Queste immagini, queste parole non cambieranno la concretezza di questi tempi bui, ma possono essere una speranza per un nuovo ascolto. Conoscere la lingua, sapere la toponomastica del territorio, imparare a memoria i detti e le canzoni sono solo fasi di contorno di una narrazione molto più urgente, ma non per questo meno importante. Apprendere le storie di queste protagoniste, farlo attraverso un mezzo desueto come l’ibrido tra arte e letteratura, è – per molti – sintomo di una società meno distratta e, forse, più umana.

 


Note

1  In riferimento alle opere illustrate dell’artista iraniana Parastou Forouhar, la quale ha saputo trascrivere sui muri, sotto forma di carta da parati minuziosamente disegnata sia a mano libera sia digitalmente, alcuni degli abusi e delle torture più comuni perpetrate dallo stato islamico in Iran, con specifico riferimento al lasso temporale che va dal 2003 ad oggi.

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