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Anime in bilico: il teatro della vita nei racconti di Némirovsky

Di Annachiara Mezzanini

 

Non si è ancora completamente donne,
non si è proprio più ragazzine,
si è avide e stanche.
Irène Némirovsky, Le rive felici

 

Un parallelepipedo di carta profumata, racchiuso da una sottile copertina lilla, dalla quale ci osserva annoiata una delle ragazze sedute di Jules Pasci: è Il carnevale di Nizza e altri racconti, nella sua veste Adelphi, di Irène Némirovsky.
Se portato appresso, custodito in borsa o schiacciato sotto il braccio, i suoi contorni si slabbreranno, facendo intravedere il bianco opaco della cellulosa che la compone al suo interno.
La raccolta è un agglomerato di alcuni suoi racconti giovanili, tenuti strettamente insieme non solo dalla fragile copertina, ma anche e soprattutto dalla straordinaria profondità delle parole scelte dall’autrice.

 

 

Appena trentenne, Némirovsky prese e gettò tra le pagine dei suoi taccuini le peculiarità della vita che osservava, i lembi della società medio borghese che abitavano le strade parigine, restituendo sotto forma letteraria uno scenario intimo – e talvolta toccante – della psiche delle donne e degli uomini di inizio Novecento. I suoi racconti sono ceramiche finissime, che si colorano del pulviscolo roseo della cipria odorosa, adoperata da Thérèse Dallas per nascondere i segni del tempo che la atterriscono; ma sono anche solide mattonelle in cotto, che si sgretolano tra i sospiri di una giovane promessa sposa sospinta dal vento di marzo e i rimpianti camuffati da lacrime amare di una moglie fedele e amante mancata, appoggiata stanca alla balaustra della piccola locanda Cimiez di Nizza.
Dolore, nostalgia, turbamento sono solo alcune delle emozioni indagate e descritte da Némirovsky, la quale fa dello sguardo, quasi sempre femminile, il suo personale obiettivo fotografico, una potente lente di ingrandimento che usa per narrare e riformulare la realtà del suo tempo, talvolta adoperando trucchi letterari e stilemi riconducibili alla sceneggiatura cinematografica. Spazi, voci, volti sono catturati e riportati su carta con sequenze macchina precise, quasi chirurgiche. Noi, che la leggiamo, riusciamo facilmente ad immaginarci i connotati delle sue giovani e meno giovani protagoniste – illuse, ferite, sciocche, determinate – che solcano la pagina in un turbinio di sorti e di storie, a tratti leggero a tratti spietato, che dondola funesto e felice come un pendolo ipnotico o un gioco d’infanzia ormai divenuto oggetto perduto di memoria.
Sullo sfondo, gli amori spezzati e quelli sporcati dalle circostanze e dal tempo si alternano, andando a formulare una miscellanea di caratteri umani simili a maschere teatrali tipiche del Novecento.
Il debutto delle ragazze ricche in società, l’odore dell’aria che cambia, la staticità forzata degli artisti mancati, i paesaggi del Nord mangiati dalla neve, il ronzio della vita a cavallo di due guerre (percepite e non descritte) sono i frame che scorgiamo tra le numerose esistenze che la scrittrice ci porge sotto agli occhi. Di ciascuna di esse qualcosa resta aggrappato in noi, come il nero della Senna osservato da chi subisce la propria condizione e non ne gioisce o come il sapore del farmaco doloroso da inghiottire per chi, come Claudine, si ritrova in compagnia di un peccato che vorrebbe cancellare.
Questo libro, questa raccolta, invita alla riflessione, indica al lettore un punto di sosta, necessario per assorbire i contenuti profondi e gli scenari struggenti di Némirovsky, la cui parabola umana è tragica ed è indissolubile dalla brutalità stessa della storia del suo tempo.
Le parole quindi vanno bevute, le pagine annusate ancor prima di essere lette, solo così, con un contatto che è quasi fisico, i contenuti possono essere introiettati, fatti nostri, percepiti vicini a noi, personaggi del secolo dopo, immersi in una società figlia di quella dell’autrice stessa e spaventosamente vicina al suo declino.
Perdersi tra queste pagine potrebbe essere un esercizio di lettura, un necessario momento di quiete che riporta ad una dimensione altra, distante dalla nostra.


 

In copertina: Edgar Degas, L’assenzio, 1875-1876, Museo d’Orsay, Parigi.

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