Di Giulia Bocchio
L’addio ci pone di fronte all’impermanenza degli altri, ma è un termine difficile da maneggiare perché cambia volto a seconda del dolore, indossa maschere grottesche alle volte, altre si appoggia agli oggetti condannati alla polvere, ai quali ha impresso un’ombra, altre volte ancora appanna gli specchi con la nostra immagine lì riflessa e che ne incarna i segni, se non il Dna. L’addio può addirittura diventare una caratteristica, il nuovo stato del vuoto, il motivo per cui si smette di guardare certe fotografie. Difficile separarlo dalla morte, qui intesa soprattutto come momento simbolico.
Nella nuova raccolta di Paola de Benedictis gli adii diventano plurali e mancati.
Un binomio che scorre sottopelle.
E allora tocca scavare: i versi diventano mani, dita, unghie che affondano nella terra e nella carne. Col dito indice della sua poesia l’autrice traccia sentieri anche fra le pieghe del cervello. Se potesse farlo, se fosse possibile realizzarlo, prenderebbe la propria spina dorsale fra pollice e indice, per distaccarla dal corpo, per fluire con le parole. Addii mancati è una raccolta intensa dal punto di vista simbolico e semantico, c’è come un suono di campane a scandire l’accurata scelta degli ossimori e delle immagini, scisse fra il quotidiano e l’ancestrale; uno spoglio apotropaico da parte di chi ha il coraggio di toccare il fuoco per regalarti la piaga, e non come atto d’eroico amore ma come necessità squisitamente e disperatamente umana di sentire il corpo, di sentire i sensi anche al limite delle loro possibilità.
Non c’è addio che non ci riguardi e, fra queste pagine, ognuno troverà il proprio.

Tre poesie da Addii mancati
XXVI
Sotto la smagliante stagione abita una costanza d’angosce.
Come una sorta di predisposizione al farsi saccheggiare per avere tra le dita ciò che ci appartiene, ma non siamo in grado di trattenere.
In equilibrio precario su sterno e salme di buone intenzioni
stringere un istante a futura memoria e la gloria dei senza gloria portare a compimento.
XXX
Per cui Cristo, ora dico a te.
Ti prego in memoria della nostra amicizia: ridammelo indietro con tutta la pena.
Che sono richiusa nel posto sbagliato ho un uomo tra le gambe e non ha alcun odore.
XXXVII
Abbi cura di non capire perché ti salva chi ti corrompe.
Lo scherzo di un dio dilettante toppo stanco per smettere.
Qualcosa che non convince, eppure intrattiene.
Né un sì né un no di cui si possa fare senza.
Sempre al di qua di un segno e pure al di là di un rifiuto.
L’evidenza si è arresa all’irresponsabilità del quotidiano.
Tutto è così accurato, ma niente è ancora vero.
Paola de Benedictis
classe ’78. Giornalista, scrittrice e poetessa. Ha lavorato in Rai per dieci anni, prima a Report su Rai 3 e poi alla radiofonia su Radio1Rai. Si è occupata di cinema per riviste di settore. Nel 1997 sono apparse le sue prime poesie sul numero 193 di «Specchio» («La Stampa»). Suoi testi sono stati tradotti in inglese e in tedesco su prestigiose riviste straniere, come il «Journal of Italian Translation». È presente sui maggiori blog e siti italiani e stranieri di scrittura e letteratura tra cui “Absolute Poetry”, “Poesia del nostro tempo” e “Crackers poesia”. Ha pubblicato per LietoColle, Giulio Perrone Editore, Vitale e Pesa Nervi, e conquistato riconoscimenti e premi per poesie singole e raccolte.

