Di Annachiara Atzei
Quanto più si viene dal margine, tanto più l’immaginazione e il desiderio di essere da un’altra parte ci sovrastano. E, come se una coltre scendesse sopra le cose conosciute, quello che a lungo ci ha nutrito non basta più. Ma c’è sempre qualcosa che crea un legame con l’origine: la memoria di un paesaggio, di un modo di esistere e di concepire la vita e le giornate, di una persona o di un nome. Allora, quel luogo di confine diventa un qui, diventa un nessun dove difficile da dire eppure ben definito nella mente. È una vena, un osso, un arto: quel luogo si fa identità.

Stefano Modeo, tarantino, che vive e lavora come insegnante a Treviso, esprime questo sentimento in Partire da qui (Interno Poesia, 2024), dove numerosi sono i riferimenti all’essenza di una quotidianità dalla quale il corso della storia personale e le aspettative – che di certo accomunano molti come lui – ha portato l’autore a staccarsi, talvolta con ripianto. Nei suoi testi, scarni come gli scenari che descrivono eppure così pulsanti e nostalgici – in cui gli ulivi, i vigneti e i ciliegi fanno da contraltare al mare, ai delfini e alle rocce, regno dei pescatori, e dove tuttavia non ci si può dimenticare delle incongruenze e delle ferite delle periferie e della stessa città di Taranto, le cui complicate vicende sono da tutti conosciute – la lontananza è un interrogativo sempre aperto così come lo è il proiettarsi, malgrado tutto, verso un altrove e verso ciò a cui conduce.
Ma tornare a casa è ancora possibile? Nel ritorno – che è anche e soprattutto un regresso in sé stesso tramite la scrittura – ci si accorge di non sapere più nulla di chi è rimasto, di chi si è lasciato trafiggere dallo sguardo degli altri, resistendo al non detto. Ci si accorge – o almeno così si crede – della propria inadeguatezza. Di non amare più e di non essere più amato. C’è un disvelamento, in questi versi, che è come un ri-conoscere: cominciare a discernere attraverso la poesia. In fondo, cioè, si giunge a una consapevolezza dolceamara: non si fugge mai davvero quando noi stessi siamo quel luogo rinnegato e amato.
Cinque poesie da Partire da qui (Interno Poesia)
Due mari
Lungo la linea dei due mari, la città
s’arrocca in una nuvolaglia grigio-scura.
I delfini a volte arrivano sino alle boe
sotto i piloni, dove il sole
fa il cielo arancione. Strano,
è solo un giorno senza vento, scandito
dall’andamento delle auto. Ma un legno
s’è appruato su una roccia
non c’è approdo – non c’è suono
nel ventre del golfo, solo il coro
stridente dei gabbiani.
Risale per le vie una verità,
un risentimento delle case,
delle strade. Ma la speranza
non si prende i suoi torti,
restiamo ostili con desiderio
se il vento riprende, nostro tormento.
*
Stella maris
Un angelo scese tra loro
e si perse nei vicoli
ad allattare i bambini.
Si sbracciò, lo videro sparire
in un denso catrame,
forse raggiungere una riva.
Guardiano del faro
illuminò le onde più nere
per chi teme la parte
oscura del mare.
Ogni anno incendiano
il cielo di fuochi
per mandargli un conforto,
un segnale del loro ricordo.
Pregano con gli occhi tristi,
dicono: “Santissima che puoi”
affinché riposi i seni
su questi figli suoi.
*
Lasciami andare
Mentre uso le mani
sulla farina con tutto
il mio peso d’uomo
come preparavi tu
il pesce mi scruta
implacabile e l’acqua
ripulisce le viscere.
Dimmi se può venire
una parola ancora
che sappia descrivere
il percorso della spigola
che si caccia sulla riva,
perché se lei parla
ti prego dice,
lasciami andare.
*
Preghiera per il figlio
Proteggi lui che annega
e sospendi ogni giudizio
adesso che perde ogni cosa,
viaggio dopo viaggio.
Chi incontrerà il fuori
se dopo ogni curva estraneo
ai mandorli, ai ciliegi, ai vigneti
in una città tanto triste, lo vedi
restare indietro in un corteo
come il fischio di un treno.
Proteggi lui che incespica
e sospendi ogni giudizio
ora che guadagna il silenzio,
viaggio dopo viaggio.
*
Le agavi
Un uomo osserva i corpi
delle agavi bruciate dal sole.
È in cerca di un reperto
che lo faccia risalire quando
è apparso sulla terra,
una vecchia lanterna o un corridoio
nel tempo che ora possa aiutarlo
a chiudere il cerchio.
Riconosce il capo abbattuto
delle gru nel porto, i distributori
di carburante nel mare o la prua
delle navi petroliere.
Il mondo che muta ha l’aspetto di
ciò che è andato perduto. Le agavi,
lasciano che lo scirocco le frusti,
che le imbianchi di salsedine.
Stefano Modeo, nato a Taranto nel 1990, vive e lavora a Treviso. Ha esordito con La terra del rimorso (Italic Pequod, 2018) cui sono seguite altre numerose pubblicazioni. Compare nel volume collettivo Poesia contemporanea. Sedicesimo quaderno italiano (Marcos y Marcos, 2023). Fa parte della redazione della rivista Atelier e del blog Universo Poesia – Strisciarossa. Si occupa di poesia italiana sulla rivista norvegese Krabben – Tidsskrift for poesikritikk.
In copertina: Artwork by Antoine Caron (part.)

