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Personale sovrannaturale: Le Madri della Sapienza, Eduardo Savarese (di Annachiara Atzei)

“La genetica era irrilevante, come tutte le forme non coincidenti con la sostanza, che è fatta di volontà, consapevolezza, scelte.”
Eduardo Savarese, Le Madri della Sapienza

 

 

L’amore ha possibilità non commensurabili e non esauribili. In Le Madri della Sapienza, scritto da Eduardo Savarese per Wojtek, l’amore non è un sentimento platonico, ma spinta passionale e input di gesti concreti e ferme determinazioni. Nel romanzo, è l’amore a dare la vita, è l’amore a consentire gli imprevedibili cambi di rotta dell’esistenza ed è sempre l’amore ad alimentare il senso di comunione e perfino il gesto creativo.
A questo concetto si unisce quello di libertà di coscienza. Solo se l’anima si muove priva di lacci e in ascolto di sé stessa allora il motore primo dell’azione – l’amore, appunto – potrà coincidere col bene verso sé stessi e con la piena realizzazione della propria individualità. Polo opposto è il potere. Esercitato con alleati fidati o, talvolta, nella più totale solitudine, il potere è perseguito sacrificando tempo e affetti, instillando anche la paura – se necessario – per il supposto bene della collettività. Tuttavia, la previsione di un dominio futuro e la brama di imposizione della propria visione sono causa di irragionevolezza e spietatezza nel raggiungimento dell’obiettivo. E, spesso, sono proprio le irrisolte questioni private – che allontanano dagli altri e incattiviscono – a rivelarsi come unico pretesto per avviare dubbie contestazioni ideologiche.

 

 

 

Tra i due fronti si muove il protagonista della vicenda narrata, il primo ministro Anselmo Riccardi. Nato dalla gestazione per altri, l’uomo ha l’ossessione di rifondare durante il suo mandato la famiglia tradizionale. Guidato da Ulrica Neumond, maga e capostipite della Casa Europea dei Nuovi Ariani, tenterà di realizzare il suo disegno a scapito del monastero delle Madri della Sapienza, un ordine laico fondato da tre maturi omosessuali: Luciano, Giorgio e Fernando. Le Madri, infatti, che hanno intrapreso anni prima un radicale percorso di rinascita personale e di condivisione di filosofia e intenti all’interno della loro comunità, diventano l’oggetto delle manovre del premier, convinto ciecamente che nessun senso abbiano le pretese di genitorialità dei gay così come il neo-monachesimo libertario e umanista al quale, qui, si ispirano.
Attorno a questo bollente nucleo si dipana la storia – anzi le storie – dei numerosi personaggi che
incontriamo all’interno del libro attraverso il quale l’autore ha l’occasione di toccare temi a lui cari e già indagati in precedenti pubblicazioni, come la fede religiosa, l’orientamento sessuale e principi etici e giuridici che con urgenza si impongono alla discussione pubblica contemporanea. Quello della gestazione per altri, ad esempio, è un argomento centrale nel romanzo e intorno a esso i protagonisti si pongono continue domande che hanno a che fare con scelte spesso difficili da condividere o da interpretare da parte di chi ne è estraneo. Ed è a proposito della difficoltà di certe scelte che a Francesca – una delle protagoniste femminili – alla quale Ruggero e Fernando, compagni di vita, chiedono di portare in grembo il bambino che poi diventerà l’importante uomo politico che la metterà da parte per attuare i suoi piani, Savarese fa dire: “E però… restava non sopita, mai del tutto scacciata, la paura di aver commesso un errore, di aver mescolato le motivazioni di affetti soltanto personali e, tutto sommato, egoistici, con qualcosa di più grande, di più nobile”. Forse Francesca non era davvero disposta a quella maternità? Probabilmente no. Di certo, aveva deciso di rimanere incinta e portare avanti la gravidanza per rendere felice un uomo al quale teneva più di ogni altro, pur non ricambiata. Con quell’atto, almeno, avrebbe potuto surrogarsi a qualcuno. Lungo questa sottile linea di senso, la nozione di maternità muta volto e diventa atto di volontà e comprensione, cioè significa generare quotidianamente la sapienza dell’amore e aprire la coscienza ai molteplici aspetti della natura umana, i quali possono coesistere senza pregiudizio anche nelle loro inattese e inafferrabili trasformazioni. Non ci sono desinenze, né rigide distinzioni, né ruoli o generi imposti, ma un’apertura verso una rilettura del mondo che non teme il paradosso. Molte altre sono le riflessioni che la vicenda ispira e che si richiamano l’un l’altra: ha ancora senso parlare di famiglia tradizionale? Che posto hanno le persone trans nella Chiesa? Qual è l’antidoto allo sradicamento della vita interiore? E, ancora, cosa ci definisce davvero? Per affrontare queste importanti questioni, Savarese, a differenza che in altri suoi lavori più recenti, sceglie una narrazione di pura fiction e mescola più generi, più riferimenti e più forme letterarie che richiedono al lettore di immergersi totalmente fino all’ultima pagina. Da questo punto di vista, Le Madri della Sapienza sfugge a definizioni di sorta perché unisce il reale al fantastico, l’esoterico alla commedia, e cita la Bibbia, Turandot e Sbarbaro, ma anche Patty Pravo e Borges.
E proprio il riferimento allo scrittore argentino e al suo Libro degli esseri immaginari connota fortemente di soprannaturale la storia: è un drago, infatti, il personaggio chiave e figura simbolica che Savarese introduce per scombinare i piani della narrazione e mettere il lettore faccia a faccia con il male. “Il meno fortunato degli animali fantastici” e protagonista dell’Apocalisse di San Giovanni appare nella storia quasi a confondere le idee, ma il significato della sua presenza apparirà chiaro al termine del romanzo. Luce e tenebra, infatti, ambizioni malvagie e desiderio si intrecceranno fino all’esito definitivo e fino a giungere ad almeno uno degli insegnamenti possibili: come dice saggiamente Fernando a Ruggero quasi leggendo nella sua mente di figlio abbandonato e di uomo che ha perduto la rotta: “Tutti gli avvenimenti della nostra vita possono rivelarsi prove per il male o per il bene”.


 

In copertina: Joachim Patinir, San Girolamo in un paesaggio roccioso


 

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