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Puccini, uno dei compositori più sadici della lirica italiana

Di Annalisa Grulli

 

 

Il 2024 segna i cent’anni della morte di uno degli operisti più rappresentativi del panorama mondiale, Puccini. A quasi un secolo da quel 29 novembre del 1924, le sue opere incorniciano uno scenario umano complesso, convulso: in qualche strano modo attuale. Una su tutte, crudele e tragica, ci accompagna fra i labirinti di quei sentimenti universali che chiamiamo relazioni, La bohème. 

 

Giacomo Puccini

 

Il primo febbraio 1896, al Teatro Regio di Torino, debutta La bohème, opera in quattro quadri del compositore Giacomo Puccini con direttore d’orchestra Arturo Toscanini.
In una soffitta di Parigi, il 24 dicembre del 1830, avviene l’incontro tra lo scrittore Rodolfo e Mimì: lui è impegnato a concludere l’articolo di fondo del Castoro mentre lei è in cerca di un fuoco per il suo lume spento dal vento.
Mimì è una ricamatrice di fiori, vive nella stanza accanto alla soffitta che Rodolfo condivide con i suoi amici; il pittore Marcello, il filosofo Colline e il musicista Schaunard.
Mimì è bella, giovane, delicata, non appena Rodolfo la vede resta incantato e con una scusa la trattiene: «Che gelida manina! Se la lasci riscaldar». Da quel momento i due protagonisti si giurano amore, ma Mimì non sa ancora di essere malata di tubercolosi.
Ispirato dal romanzo francese di Henry Murger, Scènes de la vie de bohème, pubblicato nel 1851 e tradotto da Sonzogno nel 1871 con il titolo Scene della vita di bohème, Puccini affida la scrittura del libretto a Luigi Illica e a Giuseppe Giacosa nell’autunno del 1892; sembra che dopo tre anni di stesura, il 10 dicembre del 1895, Puccini scrisse le ultime note del suo capolavoro in piedi per l’emozione: «Dovetti alzarmi in mezzo alla sala. Solo nel silenzio della notte, mi misi a piangere come un bambino. Mi faceva l’effetto di aver visto morire la mia creatura», così riporta Arnaldo Fraccaroli nella biografia La vita di Giacomo Puccini, pubblicata nel 1925 da Ricordi.
La bohème è forse l’opera più letteraria e rappresentativa di Puccini perché capace di unire parti comiche e drammatiche in un equilibrio musicale impeccabile, Claudio Sartori la definisce il «capolavoro delle misura». Nell’opera di Puccini sono le parole a fecondare la musica e i personaggi; alla spensieratezza dei giovani amici che incarnano lo spirito tipico degli artisti bohémien si contrappone il dramma di Mimì che si mostra fragile ma forte nel placare la gelosia di Rodolfo, così i due diventano stereotipi della loro medesima condizione: lui artista accecato dalla passione per la sua donna, lei portatrice di una dignità femminile che non si lascia annebbiare dai sentimenti: «Rodolfo m’ama mi fugge e si strugge per gelosia. Un passo, un detto, un vezzo, un fior lo mettono in sospetto… Onde corrucci ed ire. Talor la notte fingo di dormire e in me lo sento fiso spiarmi i sogni in viso».
Puccini selezionava personalmente i testi da cui trarre i suoi libretti e i quadri in cui La bohème è suddivisa rispettano le scene del romanzo di Murger, il compositore segue ed enfatizza le ambientazioni studiando i temi musicali tipici del luogo; nel primo quadro lo spettatore sente l’allegria della soffitta parigina in cui gli amici squattrinati scherzano, Puccini riprende anche una sua composizione giovanile intitolata Capriccio sinfonico, che ritornerà nel corso del quadro tanto da essere definita tema dei bohémien. Il secondo quadro è puntellato dalle voci del quartiere latino e dai clienti che si riversano al Caffè Momus dove vanno anche Mimì e Rodolfo la sera del loro incontro. Puccini nel frattempo alterna il canto alla recitazione per trascinare lo spettatore dentro una storia d’amore dove le euforie giovanili e l’eccesso sembrano far dimenticare il dramma che sta per compiersi; è in questo quadro che fa il suo ingresso Musetta, uno dei personaggi più carismatici e ambigui della vicenda e vecchia fiamma del pittore Marcello: «Viva Musetta! Cuor Birichin! Gloria ed onor, onor e gloria del quartier latin». Pochi mesi dopo Mimì sembra convinta di concludere il conflittuale rapporto con Rodolfo e si confida con Marcello il quale: «Quando s’è come voi non si vive in compagnia. Son lieve a Musetta ed ella è lieve a me, perché ci amiamo in allegria… Canti e risa, ecco il fior d’invariabile amor!», intanto i flauti e l’arpa accompagnano il lento fioccare della neve del terzo quadro nella Barriera d’Enfer fino al momento in cui Rodolfo rivela a Marcello della malattia di Mimì mentre lei, nascosta, ascolta; quando esce allo scoperto i due innamorati decidono di restare uniti fino alla primavera: «Soli d’inverno è cosa da morire! Soli! Mentre a primavera c’è compagno il sol!».
Il gioco di allontanamenti sfumati e ritorni che Puccini ha portato avanti sono forse i motivi che inducono Rodolfo e lo spettatore a sperare in un lieto fine ma Puccini è uno dei compositori più sadici che la lirica italiana ha avuto; il quarto quadro ripropone la soffitta parigina, luogo dove tutto ha avuto inizio, con gli stessi quattro artisti che scherzano, poi improvvisamente irrompe Musetta con Mimì in fin di vita, Rodolfo la stende delicatamente sul letto, restano soli, e una scala in do minore discendente accompagna l’ultima dolce dichiarazione d’amore di Mimì: «Sono andati? Fingevo di dormire perché volli con te sola restare. Ho tante cose che ti voglio dire, o una sola, ma grande come il mare, come il mare profonda ed infinita… Sei il mio amore e tutta la mia vita!». Se per l’altro grande compositore italiano, Giuseppe Verdi, la morte delle protagoniste avveniva con la speranza di un aldilà migliore – l’ultima parola che pronuncia Violetta ne La traviata, serve a pronosticare per lei un futuro spirituale meno infelice della sua vita terrena – per Puccini è la fine di tutto ed è espressione anche di una società che sta cambiando e assume tratti più profani con l’avvicinarsi del nuovo secolo, il Novecento.
La bohème è un’opera crudele, narra un’epoca in cui fare arte significava vivere in miseria e in modo dissoluto e forse in quel periodo si è cristallizzato il pensiero che, chiuso dentro una stanza a narrare o dipingere, quello dell’artista non possa ritenersi un mestiere.
La morte di Mimì è dolorosa perché infrange quel piccolo regno di gioia e spensieratezza che La bohème ha saputo costruire, fatto di ragazzi appassionati, capaci di lottare e amare: «…pioggia o polvere, freddo o solleone, nulla arresta questi arditi avventurieri […] la loro esistenza è un’opera di genio di ogni giorno, un problema quotidiano, che essi pervengono sempre a risolvere con l’aiuto di audaci matematiche […]. La bohème ha un parlare suo speciale» così è scritto nella prefazione del testo di Murger.
Con quest’opera Puccini definisce un suo stile, un suo modo di fare teatro, sa come caratterizzare i personaggi e inserirli in una narrazione musicale serrata che converge alla fine di ogni atto in una scena esemplare dai riferimenti sottili.
Alla fine della prima rappresentazione torinese parte della critica stronca La bohème: «…come non lascia grande impressione sull’animo degli uditori, non lascerà grande traccia nella storia del nostro teatro lirico, e sarà bene se l’autore considerandola come l’errore di un momento, proseguirà gagliardamente la strada buona e si persuaderà che questo è stato un breve traviamento dal cammino dell’arte» commenta Carlo Bersezio su La Gazzetta piemontese, al contrario il pubblico applaude e sembra apprezzare, in quest’opera giovanile di Puccini, la svolta popolare nella letteratura melodrammatica, capace di appassionare e coinvolgere per tono realistico. Eugenio Checchi riesce a intuirne la complessità e scrive sul Fanfulla il 4 febbraio 1896: «È una vita che comprendiamo meglio, forse perché a noi più vicina, e ci sembra più simpatica perché genialmente interrotta dalla verità degli episodi. Onde m’e dato concludere che La bohème avrà grande fortuna di successi in tutti i teatri».
Mimì rappresenta la giovinezza stroncata dalla vita, con lei Puccini commuove non per la fine della sua esistenza ma per la perdita che avverte lo spettatore e questo la rende ancora oggi uno dei personaggi più amati e moderni della lirica italiana.

 


In copertina: Edouard Manet, Berthe Morisot au bouquet de violettes, 1872


 

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