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Incantamenti, l’opera collettiva curata da Francesca Matteoni, Cristina Babino e Laura Di Corcia

Di Annachiara Atzei

 

 

“dal lato verde della gola
prende forma ciò che esiste
nell’assenza di nome, ha una
mano di nebbia e tocca solo
ciò che non c’è ancora –
ti guarda con gli occhi
affossati del muschio”
Elisa Biagini, Incantamenti

 

 

C’è sempre una possibilità altra che la lingua consente. Subordinare un’azione possibile a una impossibile non è un procedimento narrativo vuoto, una figura retorica teorizzata in un manuale, ma un’occasione di maggiore coscienza e conoscenza.
In Incantamenti, opera collettiva curata da Francesca Matteoni, Cristina Babino e Laura Di Corcia per Vydia Editore, che ospita venti nomi del panorama poetico femminile italiano contemporaneo, succede proprio questo: le parole fruttificano, disfano e ricostruiscono. Originano connessioni. Hanno la qualità degli oggetti, sono amuleti dal potere sorprendente: dare causa all’inaspettato. Questo loro modo di essere, che riguarda in particolare la poesia, le rende straordinarie nel senso letterale che il termine ha: capaci di uscire dal comune, dal noto, per diventare – strano a dirsi – umanissime e verissime perché fluttuanti e allo stesso tempo radicate nell’immaginazione. Gli studi di Matteoni sugli incantesimi tramandati in Europa nell’era moderna della caccia alle streghe, così come sul potere taumaturgico di certe formule e rituali, l’hanno spinta a raccogliere attorno a sé chi – come lei – della poesia fa atto costante di risignificazione del tempo e dello spazio in cui ci muoviamo e in cui si dipana la nostra vita. Questa selezione di testi ai confini del magico – che fa tutt’altro che stare nella pagina – non deve far storcere il naso o suscitare diffidenza, semmai deve essere interpretata come tentativo di superare il pregiudizio e come allenamento dell’attenzione e della sensibilità dello sguardo, non solo di chi scrive ma anche di chi affronta la lettura di questi componimenti.
Da sarda, in tante occasioni, sia nella scrittura che nel quotidiano, ho avuto a che fare con questo modo di concepire il dire che distingue il parlato comune (fueddus, o paraulas) dalle parole magico-rituali (brebus), come tali in grado di incidere su ciò che è accaduto o potrà accadere cambiandone misteriosamente il corso. Esse diventano davvero efficaci, ossia riescono nella decodifica e nella decostruzione del reale, solo se vi è fede cieca in chi le recita e in chi le chiede e le ascolta. La Sardegna è ancora ricca di queste sopravvivenze: da noi, la pronuncia di frasi tramandate per generazioni ha ancora attitudine alla cura, a dissipare le ombre che ciascuno porta, a testimonianza della rinnovata forza della parola. E la letteratura, di questo, mantiene l’impronta e da sempre attinge e fa tesoro. Racconta Grazia Deledda nella novella Le tentazioni: “Zio Felix aveva fede illuminata nei berbos: ne conosceva moltissimi… Appena la luna nuova apparve come una piccola barca d’oro navigante fra i rosei vapori del tramonto, egli pensò di recitare i berbos per le vacche malate”. Parole-farmaco, parole-miracolo, che presuppongono la volontà di credere. Lo stesso atto di fede è richiesto dalla poesia. La stessa capacità di mettersi in ascolto e accogliere ciò che appare essere fuori da noi. O, forse, attraverso i versi si cerca di ricomporre la rottura tra il detto e il dicibile fino a trasformare il semplice parlare in incanto, malia, fascino, seduzione.
Ma c’è anche un altro aspetto da non trascurare in questo libro: l’intento di “fare umanità”. Incantamenti è, infatti, attivista e femminista e prova a rifondare il significato di “identità”, lo aumenta comprendendovi l’altro e il diverso, o ciò che è ritenuto tale. Le poete qui riunite propongono ciascuna una propria visione della contemporaneità. Voglio citarle tutte: sono Mariasole Ariot, Cristina Babino, Elisa Biagini, Maria Borio, Alessandra Carnaroli, Tiziana Cera Rosco, Laura Corraducci, Manuela Dago Pecorari, Azzurra D’Agostino, Evelina De Signoribus e ancora Laura di Corcia, Francesca Genti, Laura Liberale, Viola Lo Moro, Franca Mancinelli, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Laura Pugno, Marilena Renda e Mariagiorgia Ulbar.
Numerose prospettive si rafforzano a vicenda, servono a manifestare con più coraggio ciò che talvolta viene taciuto. Servono a riformare ciò che esiste. Ammettere, come ipotizza Julio Cortázar nelle lezioni tenute a Berkeley nel 1980 a proposito della familiarità col fantastico, una realtà dove entra tutto, più elastica, più dilatata, è incantamento perché equivale a usare la parola come strumento per vedere in una sola volta tutte le contraddizioni, tutte le facce.
Infanzia, transpecismo, post-umano (o pre-umano), casa, ritorno, discesa, eredità, lutto, ferita, rito, anatema, contro-magia, maternità, ombra, corpi, origine, trasmutazioni e ibrido sono i punti luminosi intorno ai quali si sviluppa l’opera: alcune chiavi d’accesso che la prefatrice fornisce a chi legge lasciando al contempo la libertà – altro concetto chiave – di supporre qualcos’altro che provenga dalla propria personale esperienza e facendosi, di riflesso, “poeta” o “autore del possibile”.
E a proposito del modus operandi del poeta, della sua inclinazione a ripensare alle cose, nel porre l’accento sugli affini concetti di integrazione, ospitalità, compassione e amore, Edoardo Camurri, nel recente saggio intitolato Introduzione alla realtà (Timeo), dice: “Contro ogni irragionevolezza e contro ogni organizzazione dell’orrore, un poeta non rinuncia a scrivere e scommette di trovare qualcuno, anche molto tempo dopo la sua morte, che si sintonizzerà con lui, con la sua persona, in una compresenza dei morti e dei viventi”.
Sulla scia di questa riflessione, come invita a fare Francesca Matteoni nell’introduzione all’antologia, propongo allora la parola “compresenza”: questo è il termine che aggiungerei agli altri già suggeriti all’interno del testo come parole-soglia, che ibridano il mondo che ci ospita per far sì che continuiamo a stupirci, come ulteriore traccia del sentiero multiforme e trasversale creato e percorso dalle brillanti voci di questa bella raccolta di poesie.

 

 


In copertina: artwork by Emma Talbot


 

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