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L’isola dove volano le femmine – Intervista a Marta Lamalfa (a cura di Elena Cirioni)

Alicudi è l’isola più occidentale delle Eolie, fatta di rocce, dirupi, mulattiere. Il fascino solitario di quest’isola circolare è legato a leggende e miti, una di queste storie racconta di una serie di visioni collettive che gli arcudiari ebbero all’inizio del secolo scorso. Streghe volanti, pagliacci, piogge di pietre e presenze misteriose si aggiravano ad Alicudi.
Una delle spiegazioni razionali riguardo a queste visioni è data dalla segale cornuta. L’Ergot è un fungo simile a un piccolo corno nero che può crescere sulle spighe di segale e contiene vari alcaloidi psicoattivi capaci di provocare visioni. In passato all’ingestione involontaria della segale cornuta sono stati legati molti fenomeni associati a visioni collettive, lo stesso sembra essere successo ad Alicudi nei primi del Novecento.
Questa è la cornice da dove prende vita il primo romanzo di Marta Lamalfa, L’isola dove volano le femmine, edito da Neri Pozza.
Caterina, la protagonista della storia, è una ragazza imprigionata nella miseria dell’isola e nel dolore per aver perso la sorella gemella. Le visioni provocate dal pane nero rappresentano il pretesto per fuggire dalla realtà e ritrovarsi al fianco delle majare, le streghe che vivono sull’isola capaci di volare. Donne indipendenti e temute a cui Caterina si avvicina per affermare la propria identità. Quello di Marta Lamalfa è un romanzo d’esordio con uno stile narrativo composito e una capacità d’invenzione e di realismo storico notevole.
Poetarum Silva ha fatto alcune domande all’autrice per capire l’essenza di questa narrazione.

 

Marta Lamalfa

 


Come è nata la tua idea?

È nata in maniera molto semplice, ho letto un articolo di Paolo Lorenzi in cui raccontava una storia strana successa ad Alicudi che ha visto gli arcudiari protagonisti di visioni collettive, pare a causa dell’ingestione di pane proveniente dalla segale infestata da un fungo, l’Ergot. Dalla finestra di casa mia si vedevano le isole Eolie e mi è venuto in mente di scrivere una storia che parlasse dei più umili, aggiungendo la leggerezza di un mondo fantastico dovuto alle visioni.

Nel tuo romanzo c’è una precisa ricostruzione storica che riguarda le descrizioni della vita quotidiana, gli abiti e i riti di questa comunità. Come hai lavorato sulle ricerche?

Per le ricostruzioni della vita quotidiana degli arcudiari fondamentali sono stati gli studi di Luigi Salvatore d’Asburgo Lorena nobile toscano che nel tempo libero faceva il geografo e ha visitato le isole Eolie, le ha descritte e le ha disegnate. È stato molto utile anche lo studio del libro di Alexander Dumas, Viaggio nelle Eolie (edizioni da Pungitopo). Per quanto riguarda la lingua, ho lavorato molto. Io sono calabrese, vivo vicino lo stretto di Messina, il mio dialetto è molto simile al siciliano, ma quello che mi interessava di più era cercare un ritmo, una cadenza per questo sono stati molto utili i racconti orali raccolti da Giuseppe Pitrè.

Nel leggere il romanzo viene subito in mente la narrativa e l’immaginario di Verga.
Quanto ha influito sul tuo lavoro?

Verga è imprescindibile, ma se si rileggono I Malavoglia ci si rende conto che è una lettura faticosa, mi piaceva rendere più attuale la sua visione realistica della storia e del linguaggio. Per esempio, per l’immagine iniziale del romanzo, sono partita da Dumas e da come descrive il rito del lascito dei morti. Ho ricercato tradizioni antiche che hanno tutta una loro ritualità, come quella dei tagliatori di tempeste. Un antico rito di Alicudi per domare le tempeste; quando all’orizzonte si intravede una tempesta un tagliatore si posiziona a prua e comincia a sussurrare una formula, in questa maniera la tempesta si placa.

Qual è stata la maggiore difficoltà nello scrivere il romanzo?

Uno dei problemi maggiori è stato quello di non poter utilizzare alcuni termini perché non erano adatti alla realtà narrativa della storia. Ho superato questo ostacolo affidandomi alla struttura e agli insegnamenti del Laboratorio di narrazione di Bottega di narrazione diretto da Giulio Mozzi. Grazie a questo corso sono riuscita a capire il senso di una scrittura ragionata, non improvvisata e fondamentale è stato il confronto con gli altri allievi.

 

 


Marta Lamalfa è nata a Palmi, in Calabria, nel 1990. Vive a Roma, dove lavora per un’organizzazione umanitaria. È laureata in Lingue mediorientali, si è specializzata in Editoria e scrittura e ha studiato pianoforte a livello accademico. Ha frequentato il laboratorio annuale della Bottega di Narrazione, scuola di scrittura creativa diretta da Giulio Mozzi e Giorgia Tribuiani.


 

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