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Frammenti di un’estate futura – La prigione delle mie costole

Di Francesco Marangi

 


Frammento dopo frammento…


 

#Frammento6

Ho tagliato il melone in due; ho pulito il melone dalla polpa centrale e dai semi, lo mangerò per cena, chiuso in casa davanti alla tv, non ho granché voglia di uscire a fare due passi; guarderò un film o due, steso sul divano, seduto, prostrato sul divano in rispettoso silenzio. Non mangerò solo il melone, mangerò anche un po’ di formaggio e del prosciutto crudo. Mia madre ha comprato del formaggio biologico; è mia madre che fa la spesa. È mia madre che fa la lavatrice, che stende, è mia madre che porta fuori la spazzatura, lava i piatti, asciuga i bicchieri. Quando può cucina, anche se non le piace cucinare; qualche volta lascia in frigo l’insalata di riso, con würstel, cetrioli, mais, feta; non è male l’insalata di riso. È mia madre che gioca con le luci delle finestre, le luci del sole e le luci sui nostri volti addormentati; decide se alzare o abbassare le tapparelle; questo è potere. Alzare o abbassare le tapparelle; questo è amore. Decide cosa devo dire, decide quanti anni devo avere, decide quanto posso sopportare, quanto posso perdere, cosa devo indossare, quello che devo leggere, quello che posso imparare. Mi lascia ad aspettare secoli sul divano, mi porta un piatto di insalata di riso, mi dice mangiala con un po’ di maionese è più buona; mi prende e mi tira a sé, mi stringe a sé, mi schiaccia contro il petto; lasciami la gola non riesco a prendere un respiro. Per ora ci abbandoniamo ai silenzi della notte, o preferisci imitare le grida della luce? Bisogna scegliere fra grida o buio, notti mute, misteri, rovine come vecchie mura coperte di edera. È mia madre che decide di quanta luce abbiamo bisogno e quando ne abbiamo bisogno. Magari torna a casa da lavoro e mi trova in salotto, con le tapparelle abbassate; allora le alza, inesorabilmente. La casa è il suo regno, la luce il suo strumento di dominio.
La magia dei suoi capelli sciolti e la magia dei suoi capelli legati, i suoi capelli hanno la forma del mio sorriso stanco, del suo sorriso stanco, di milioni di sorrisi ancora da svelare. Posso assistere al suo strappare la luce dalle finestre. Posso assistere alla sua vecchiaia, luce dopo luce, fino a che non avrà i capelli completamente grigi. Allora sarò io ad abbassare e tirare su le tapparelle per lei; mi dirà all’orecchio, bisbigliando, tirale giù o tirale su. Spero di poterla accontentare. Questa è la mia unica preghiera. Questo è quello che resta della mia voce, vi dovrà bastare, fatevene una ragione. È mia madre che si mangia le mie parole.


#Frammento7

E qui, nella penombra della stanza scura, non posso che trovare me stesso, ancora e ancora, infinite volte, senza scampo, procedo strisciando fra le pareti, il mio corpo murato si confonde con gli spigoli della scrivania, con gli spigoli del mobilio, fra le ante e le crepe, il mio corpo nascosto, misterioso, gioca coi suoni del buio, con la ferocia notturna del sogno, intrappolato fra scorci di oggetti immobili, fra suoni e scricchiolii, crani, ossa, pupille aperte sulle impossibili geometrie del fumo di una sigaretta che brucia instancabile, la solitudine dei libri aperti, dei libri chiusi, l’odore delle pagine, l’odore dei vestiti riposti nell’armadio, piegati, sigillati nei cassetti, tessuti compressi fra tessuti, strati di povere, il respiro della carta, il respiro del legno, dell’intonaco, il contrarsi dei ventricoli, bianco muro intarsiato di vene e arterie, disegni di sangue, il soffitto un mosaico di capillari, epidermide e sudore fra le piastrelle del pavimento, la distanza di un bosco possibile, un bosco immaginario, il me stesso espanso, dimenticato, risorto, il me stesso addormentato, accoccolato sul materasso, il letto della mia infanzia, il letto che ricorda il peso del mio scheletro, quel letto ha già il sapore di quella che sarà la mia tomba, accoccolato nella stanza in cui sono cresciuto, gli oggetti in mezzo ai quali sono cresciuto, gli oggetti e le pareti entro cui mi sono inevitabilmente dissolto, impossibile uscire, impossibile anche solo pensare di uscire, la caverna, la mia stanza, la mia casa, la prigione delle mie costole, il sapore della mia carne, filamenti di saliva colano dall’intonaco delle pareti, la follia dell’utero e la condanna del primo ciclo mestruale.

 


In copertina: Adamo ed Eva (part.),  Lucas Cranach il Vecchio


 

Una replica a “Frammenti di un’estate futura – La prigione delle mie costole”

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