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Just dropped in – Intervista ad Antonio Esposito x Giulio Perrone Editore (a cura di Maria Oppo)

Esiste una sorta di polarismo, io credo, che spacca in due il mondo editoriale dei giorni nostri , generando due macrorealtà principali. Da una parte ci sono le case editrici generaliste, grandi gruppi che hanno accesso a grosse fette di mercato, dall’altra, invece, troviamo realtà più piccole, e forse per questo più visionarie, disposte a osare, al di là del numero delle potenziali vendite.
Due aspetti complementari e allo stesso tempo opposti. Ma è in questa intersezione che si trovano le proposte più interessanti.
A questo proposito, abbiamo intervistato Antonio Esposito, editor della casa editrice Giulio Perrone Editore, una realtà che ben si interseca in quel complesso e imprendibile dualismo che vede in comunione fra loro azzardo e guadagno, originalità e successo di mercato.

Ecco un nuovo episodio di Just dropped in. 

 

Antonio Esposito

La vostra casa editrice è nota per la sua attività di scouting e per aver permesso l’esordio di autrici e autori oggi di successo, come Chiara Valerio e Paolo di Paolo, solo per citarne un paio. Scoprire l’originalità di uno scrittore o di una scrittrice è solo questione di intuito o c’è di più?

L’anno prossimo la Giulio Perrone Editore entrerà nel suo ventesimo anno di attività e come detto, sì, la narrativa ha sempre avuto un ruolo centrale nel catalogo. Ci interessa il modo in cui vengono raccontate oggi le storie e cerchiamo, attraverso lo scouting, di arrivare a quanti più canali di comunicazione possibili. Negli ultimi anni, personalmente, ho cercato di individuare voci nuove dialogando con le scuole di scrittura, le riviste, facendo attenzione alle proposte che ci venivano segnalate dagli agenti o semplicemente dialogando con gli autori e le autrici che partecipano alle nostre attività fieristiche e di formazione. A partire da queste modalità, però, non direi che l’originalità di uno scrittore, o la sua scoperta, siano soltanto questione d’intuito. L’intuito gioca una parte fondamentale nella scrematura iniziale, in quel momento in cui l’editor curiosa tra gli inediti e, d’improvviso, ne trova uno che cattura la sua attenzione: come questo accade però attinge a qualcosa che è lontano da regole scritte, chiare, definite. Magari si riconosce una voce, una storia, un’idea e da lì si inizia a immaginare come quelle pagine possano essere presentate ai lettori. Poi in un secondo momento entra in gioco la chiarezza e la definizione delle scelte di catalogo dell’editore. In una condizione ideale un editore dovrebbe scegliere tra tanti testi buoni solo quelli adatti al proprio progetto.

 

In quale misura la logica di mercato, oggi, influenza l’uscita di un testo? E quale peso hanno i social media nel contesto editoriale?

È innegabile che il lavoro di un editore, qualsiasi, si muova all’interno di logiche di mercato. Quanto queste logiche contribuiscano a definire il destino di un libro non lo saprei dire; o almeno non saprei dirlo per un editore indipendente che scommette sugli autori e le autrici che intercetta, cercando nel tempo di definire i propri lettori e fidelizzarli. Gli ultimi dati ISTAT dicono che in Italia escono 282 libri al giorno, all’incirca dodici l’ora. Un dato del genere è avvilente, forse dà la misura di quanto possa sembrare folle la scelta di fare libri in un paese in cui si legge poco; però allo stesso tempo avere consapevolezza di questi dati, comprendere le dinamiche del mercato-libri, può offrire all’editore gli strumenti per provare a pubblicare con intelligenza. In questo i social media risultano essere uno strumento fondamentale: riducono la distanza tra casa editrice e lettore, permettono un dialogo che è quasi quotidiano, e questo è un punto di forza per tutte le parti.

 

Veniamo al tuo ruolo di editor. Un lavoro che permette un’immersione quasi completa nella scrittura di qualcuno che non sei tu e con il quale “fare i conti”, al di là di quello che è il puro gusto personale. In questo senso, quali sono le difficoltà e le sfide maggiori?

Credo che il segreto sia proprio provare a fare i conti con l’immersione della tua domanda. Max Perkins quando parlava dell’editor sottolineava sempre la dimensione ancillare di questo ruolo. Un buon editor, a mio parere, ascolta l’autore, cerca di comprendere le ragioni intime del testo, di farle proprie, e di contribuire ai meccanismi creativi attraverso un processo maieutico. Processo che per certi aspetti è anche inverso: per esempio, ho l’abitudine di chiedere ai miei autori e autrici di suggerirmi libri da leggere per entrare nel loro universo narrativo, per comprendere le regole del loro mondo, piuttosto che imporre il mio. Ciò comporta, per il mio lavoro, un grado d’immersione – appunto – che deve sempre tener conto dei ruoli, facendo in modo che io non vada mai a sostituirmi con chi ha scritto il testo; e che, anzi, possa far leva sui suoi argomenti per portare il lavoro a un livello ulteriore. Mi è capitato – lavorando ai romanzi di Morena Pedriali Errani, Prima che chiudiate gli occhi, e Deborah D’Addetta, Maleuforia – di essere portato dalle autrici in territori narrativi che conoscevo poco (il racconto della lotta partigiana sinti, nel primo caso, e la narrativa erotica di derivazione popolare e dialettale, nel secondo). Altri tipi d’approcci invece si innescano quando con l’autore c’è dialogo intorno a forme affini: con Michele Orti Manara, che con noi ha pubblicato la raccolta di racconti Cose da fare per farsi del male, il confronto si è basato quasi tutto sulla ricerca di equilibri interni alla raccolta: accordando il linguaggio delle singole storie e ragionando sull’indice per far in modo che il percorso del lettore dal primo all’ultimo racconto fosse, oltre che narrativo, di senso.

 

La vostra collana Passaggi di dogana è ormai iconica: com’è nata l’idea di raccontare un artista attraverso la sua geografia di vita?

Passaggi di dogana è uno dei nostri progetti di punta. Nasce da un’idea di Mariacarmela Leto e va ormai verso il sessantesimo titolo. L’idea iniziale era quella di proporre ai lettori delle guide delle città che potessero offrire una chiave di lettura sui luoghi che hanno definito e scandito le vicende biografiche e letterarie di grandi scrittori e scrittrici del passato e del presente. Nel tempo la collana, poi, ha avuto incursioni anche nel mondo del cinema (Buio in sala di Stefano Scanu; A Napoli con Massimo Troisi di Donatella Schisa), della musica (A Manchester con gli Smiths di Giuseppina Borghese; La Genova di Fabrizio De André di Giuliano Malatesta; A Seattle con i Nirvana di Alessio Dimartino), dell’arte figurativa (In Messico con Frida Kahlo di Paola Zoppi), del giornalismo (In Oriente con Tiziano Terzani di Tamara Baris). Così come, a partire dalla scelta delle figure da raccontare, si sono ripetute le pubblicazioni su stesse città, come se a cambiare il punto di vista o la chiave di lettura cambiassero anche le sintassi dei luoghi. Un esempio fortunato in quest’ottica è la città di Parigi, raccontata da Luigi La Rosa attraverso le case abitate da Marcel Proust, poi da Nicola Ravera Rafele tramite gli intellettuali che hanno scelto la capitale francese come patria culturale, o da Angelo Molica Franco che l’ha attraversata seguendo le tracce della scrittrice e attrice teatrale, Colette.

 

Si è appena conclusa l’edizione 2024 del corso di scrittura a cura della vostra casa editrice. Dal momento che scrivere sanno scrivere tutti – tutte le persone alfabetizzate -, cos’è che si insegna davvero in un corso di scrittura, quali abilità vengono trasmesse? E chi è stato a trasmetterle a te, assumendo in questo senso il ruolo di maestro?

Non so se “maestro” sia il giusto termine da utilizzare in questo caso. Io per formazione ho studiato molta critica letteraria, faccio editing da tempo, ho scritto dei racconti. Tutte queste attività insieme mi hanno messo quotidianamente faccia a faccia con le storie e i loro meccanismi. Quando faccio lezione porto con me tanti libri (classici e contemporanei), faccio parlare gli autori, interrogo i testi e rifletto insieme ai corsisti e le corsiste sul senso di fare narrativa oggi. Come già stato detto da altri meglio di me: in un buon corso di scrittura si insegna a leggere, in particolare, come voleva Nabokov, a leggere secondo le regole degli scrittori, e quindi osservare un testo per come è scritto, facendo attenzione a quanto spazio dedica un tale autore a una descrizione, quanto a un giudizio morale, quanto ai dialoghi, come utilizza i suoi strumenti (la lingua innanzitutto), quali obiettivi si pone, come li raggiunge, ecc. Definite queste e altre questioni, allenato lo sguardo al riconoscimento dei meccanismi che muovono la narrazione, la scrittura diventa conseguenza.

 

Just dropped in 
Intervista a cura di Maria Oppo


In copertina: artwork by Horacio Quiroz


 

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