Di Giulia Bocchio
Tenete a mente quello che succede all’interno della società dei bonobo: evolutivamente parlando si tratta della specie più vicina a noi se escludiamo il fatto che la loro organizzazione sociale è di stampo matriarcale, ovviamente matriarcale è solo una questione semantica per illustrare un modello che ricordo spiegato velocemente alle medie, ma che qui conduce gli esemplari femmina ad associarsi e aggregarsi fra loro per limitare le aggressioni da parte dei maschi. Le aggressioni non sono scongiurate, si registrano comunque, ma quando avvengono ecco che scatta un contatto affiliativo offerto all’esemplare aggredito, una cura fatta di vicinanza e contatto. È facile ammirare tutto questo quando vediamo video virali su TikTok, ci emozioniamo, ripostiamo magari, ma tutto si esaurirà in fretta, c’è già un correlato a cui prestare attenzione e svendere il nostro tempo.
Di certo, come esseri umani non applichiamo altrettanto bene quella third party affiliation quando di mezzo c’è una vittima che potremmo anche essere noi: tendiamo a giudicare, a commentare.
D’altra parte siamo una specie egocentrica e sopravvalutata, ci poniamo come un ostinato batterio mangiacarne nei confronti delle risorse del pianeta.
Ora, lasciamo da parte i bonobo e andiamo a Londra. C’è Eva qui, una costola contemporanea che ce la mette (quasi) tutta per restare ben conficcata in un sistema che è un tritacarne, una voragine di solitudine come sanno esserlo certe metropoli, che ti promettono il futuro in cambio di un presente in cui tutto è performance e ha fame del tuo tempo, che non può permettersi di essere libero. Eva è la protagonista di Drama, il romanzo d’esordio di Annina Vallarino, edito da Neo Edizioni, un personaggio con il quale noi Millennials empatizziamo, che ci piaccia o no: ha studiato, ha lasciato l’Italia per costruirsi una carriera e una credibilità a Londra, ha un rapporto incasinato con la madre, uno inesistente con il padre, due persone che appartengono a una generazione a cui è difficile spiegare la differenza fra Vinted e fast fashion, o che i social sono un corollario umano di io che si moltiplicano nella spasmodica ricerca di una proiezione simmetrica di tutte le nevrosi che ci portiamo dentro e che la differenza sottile e ingannevole fra carriera e lavoro è una spaccatura liminale all’interno delle giornate di chi vorrebbe fare della passione il proprio mestiere. Spoiler: potresti anche amarlo quel lavoro, è lui che non ama te. Ti sentirai fallito-a in ogni caso. È il capitalismo, altro protagonista del romanzo.

Un personaggio funziona quando tu, lettore o lettrice, percepisci la sua masticazione, ti preoccupi se mangia di merda, se beve troppo, se scopa con chi non se lo merita. Di Eva percepisci il tintinnio delle unghie sullo smartphone e la spasmodica ricerca di un tocco umano, due connessioni diverse eppure rintracciabili in quella spasmodica vertigine che ci spinge a scrollare all’infinito il feed di Instagram sperando di trovare lì dentro una chiave per interpretare chissà quale variabile della realtà, che è sempre e comunque distorta, plasmata, filtrata. Uno specchio che deforma il perimetro delle nostre certezze. Tendiamo a proteggerle, ma è un attimo vederle crollare. Può succedere in qualunque momento, tipo un mezzogiorno canonico, figlio esangue di un venerdì molto alcolico che porta il peso di un messaggio whatsapp: è successo un casino. Un tipo di affermazione che conosciamo e che regala il brivido di un buco del culo che comincia a sudare. Il casino, nello specifico, riguarda Daniele, un amico e collega di Eva, e Christine, anche lei una collega, e nient’altro. C’è uno stupro di mezzo, però sembra edulcorato dai drink di troppo dell’abusata e dell’abusante, mitigato dal non detto, non ci sono abbastanza dettagli, e poi chi l’ha detto che questa versione non sia solo un’interpretazione tipica di una drama queen di una notte di sesso un po’ hardcore alla quale di certo non seguirà un anello di fidanzamento e allora ecco l’accusa. Per Eva, Christine è praticamente una cogliona che si appropria di cause e lotte femministe solo perché non ha altri appigli per rovinare uno che non la ricambia. Addio solidarietà.
Eva non si fida, siamo lontani dai bonobo qui, crede piuttosto che la vera vittima sia in realtà Daniele, anche perché ben presto lui si trova ‘costretto’ a dare le dimissioni. La soluzione migliore per tutto l’ufficio. Questo ragazzo così simpatico, così pieno di spirito ha perso pure il lavoro. Per Eva ha il sapore dell’ingiusto, nessuno che si sia degnato di approfondire la vicenda; questo episodio però, non porta con sé la violazione di un corpo, ma l’ennesimo incremento della solitudine di Eva: un altro amico che se ne va. Quasi non importa davvero perché, tale è l’abisso.
Per un bel po’ il non detto si stratifica sulla coscienza, rimane latente, d’altra parte tutto deve andare avanti, Londra non aspetta nessuno. E da qui in poi il romanzo assume la forma di un imbuto esistenziale: nell’immaginifica imboccatura larga c’è spazio per tutto, specie per una rappresentazione della realtà che è attualissima e che descrive con una verticalità lucida tutte le contraddizioni e le ipocrisie di questa società occidentale. Costruirsi una propria verità è una logica di necessità che si lega a decisioni di stampo morale, dovrebbe servire a sopravvivere ma è solo un meccanicismo mentale ben assorbito in cui fenomeni, incontri, aspettative sociali, bias di genere, delusioni, denaro, sesso, lavoro, famiglia, relazioni tossiche diventano un pericoloso grumo indistinto, un mulinello di dolore in cui la realtà stessa dà fastidio, meglio restare nella propria. Ma il dualismo menzogna-verità è uno specchio che deforma, è la foto in cui siamo venuti male (quella che non posteremo), quella che ci porta a dire non sono così o è così che mi vedono gli altri?.
Seguiamo Eva nei locali, in ufficio, sulla metropolitana, la seguiamo perfino in Italia, con tutti i nodi irrisolti del caso e che Londra non ha sciolto, semplicemente perché nessuna entità urbana può farlo, chiediamo alla city qualcosa che non può darci, deleghiamo alle sue infinite possibilità le risorse finite che il nostro corpo, la nostra mente e il nostro vissuto consumano in ritmi caleidoscopici insostenibili. Perché il modello capitalista ha disegnato un modello culturale ormai asfittico. In quest’ottica anche il tempo è diventato merce, scandisce ritmi biologici e sociali, scivola sui nostri smartphone, sempre accesi, sempre in attesa di una nuova notifica, sul numero di call che invitano sulla scrivania del nostro appartamento persone e conversazioni un tempo relegate altrove, scivola sulle relazioni, queste ultime si mescolano ai cosiddetti contatti: come pensare, oggi, di non averne? Segnalano il nostro valore, come il numero dei like e dei followers. Guai sostare in un tempo vuoto, il tempo vuoto è tempo perso e nella società della performance non esiste perdere. Troppo svilente, decisamente poco cool, a meno che tu non capitalizzi anche questo, costruendo sul disastro una narrazione (con)vincente, ovvero la retorica degli errori che ti fortificano rivelandoti chi sei davvero e quanto hai ricostruito sulle macerie e cazzate varie.
La generazione di noi Millennials ha assorbito e introiettato di tutto, spaccata fra gli scanzonati anni Novanta (di cui non è che a conti fatti ricordiamo poi granché) e internet. E poi le fughe all’estero, l’ansia, la crisi economica, quella spada di Damocle che sono i figli se hai superato i trent’anni (che tu ne abbia o meno, non c’è via di fuga). Voi della gen Y tendete sempre al dramma, mi ha detto in una maniera che non voleva essere necessariamente ironica una persona che invece appartiene alla super young gen Z. Credo sia un po’ generico e quindi abbastanza vero, ma abbiamo le nostre ragioni, come tutti.
E il romanzo come finisce? Cosa ci lascia? Per la prima domanda rimando a una lettura personale del testo, ma quello che ci lascia è duplice, da una parte un senso di sospensione tipico delle piccole miserie che ci accompagnano la sera, prima di andare a letto, e poi un’istantanea, anzi, meglio, una sorta di diretta sull’occidentalizzazione, un meraviglioso watched walker letterario.
In copertina: Contact by Haruka Kojin

