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Just dropped in – Intervista a Giorgio Pinotti x Adelphi (a cura di Giulia Bocchio)

L’opera compiuta di Bazlen fu Adelphi. Definibile con una frase che mi disse il giorno in cui me ne parlò – e Adelphi non aveva ancora il suo nome: « Faremo solo i libri che ci piacciono molto».
Presto ci fu un ufficio nel cortile di un palazzo di via Morigi, dall’austero stile milanese, dove sedeva in permanenza Luciano Foà, insieme alla segretaria Donata. (…) Una casa editrice è fatta di si, ma ancor più di no. E quei no possono venire da molto vicino, da qualcosa che può assimilarsi a noi stessi, se lo sguardo non sa riconoscere le piccole discrepanze fatali. Bazlen lo sapeva più di chiunque altro abbia incontrato.

Questo passaggio è tratto da Bobi, e la casa editrice protagonista di questo nuovo episodio di Just dropped in non ha bisogno di troppe presentazioni. Giorgio Pinotti, editor, curatore e traduttore di riferimento di Adelphi ci parla di Kundera, di Calsso, di traduzioni e soprattutto di cura, un aspetto fondamentale, in grado di proiettare un libro nel futuro e permetterne la permanenza.


 

Mi è quasi impossibile separare Adelphi dal concetto di qualità, quando si parla di libri. Tanto che quando ne consiglio uno, dopo titolo e nome dell’autore o dell’autrice poi dico è un Adelphi, e chi è di fronte a me capisce. Può fidarsi. E questa fiducia viene da lontano in effetti, da una frase manifesto di Roberto Bazlen, Faremo solo i libri che ci piacciono molto. Roberto Calasso, che è la persona a cui la frase è rivolta, nella vertiginosa semplicità di questo preciso intento, comprende subito che, in effetti, non serve altro. C’era già tutto. Quel tutto cosa rappresenta, oggi?

La caratteristica di fondo di Adelphi è stata proprio questa, e lo è ancora oggi, ovvero non solo pubblicare  i libri che ci piacciono molto, ma anche quei testi essenziali che, in quel momento, non erano ancora stati tradotti e pubblicati in Italia, e quindi la perlustrazione di mondi inesplorati e sconosciuti, eppure di grande rilevanza. Ma c’è un altro aspetto fondamentale a caratterizzare il marchio, il modo in cui Calasso, Foà, e oggi Roberto Colajanni, concepivano il lavoro in casa editrice. Non c’è uso di services, tutti i testi e tutte le traduzioni sono sempre riviste all’interno di Adelphi da editor che associano al lavoro di ricerca quello di lettura e revisione, una cura a tutto tondo che contribuisce fortemente al valore e alla qualità del libro.

Per Adelphi lei è editor, traduttore e curatore. Il suo ultimo lavoro di traduzione dedicato a Kundera è Praga, poesia che scompare, un testo strettamente legato a un’altra traduzione, Un Occidente prigioniero, che raccoglie due discorsi storici, il primo datato 1967, poco dopo la lettera aperta di Solženicyn sulla censura nell’Urss, in Cecoslovacchia, al IV Congresso dell’Unione degli scrittori, in cui Kundera si pone in un’ottica di de-costruzione del mondo, un mondo all’interno del quale è la cultura la chiave della sopravvivenza nel rapporto fra società e potere; l’altro discorso è invece del 1983 all’interno del quale emerge la sua visione di Centro Europa del mondo. Due libri umanamente complessi, linguisticamente densi eppure limpidi nell’espressione, audaci, legati a doppio filo e in qualche modo attuali dal punto di vista sociopolitico…

Questi testi sono come una carta d’identità per Kundera che, non dimentichiamolo, arriva in Francia nel 1975, collocandosi fra due lingue, e qui la sua esigenza è duplice: inizialmente è quella di collocare il destino del suo paese, la Cecoslovacchia, in un contesto più ampio, quello che lui individua nell’Europa Centrale, un concetto che è stato molto criticato sul piano politico, ma che per lui ha sempre rappresentato una nozione eminentemente culturale e non geografico-politica, e c’era poi in Kundera un’altra esigenza, quella di mostrare la sua autentica matrice culturale, per affermare la sua assoluta autonomia di scrittore rispetto a ogni forma di condizionamento sociale e politico. L’unica vera patria di uno scrittore è la sua arte e la vera patria di Kundera è il romanzo, questo emerge dai suoi scritti e dai suoi discorsi, in un percorso linguistico funambolico e straordinario…

 

 

In Kundera l’aspetto linguistico è una continua relazione fra pensiero e parola scritta, fra lingua madre e francese. Tradurre significa interiorizzarlo o vivisezionarlo un autore?

Il primo libro che Kundera scrive interamente in francese è L’arte del romanzo, nel 1986, ma non si sente ancora pronto a scrivere narrativa in francese, scrive ancora in ceco ma di fatto non ha più un pubblico, dunque scrive nella sua lingua madre pensando costantemente alla traduzione francese, che sarà poi il veicolo che gli permetterà di essere letto e conosciuto nel mondo. Questa posizione lo colloca non solo fra due lingue, ma al di sopra della lingua stessa, al di sopra delle tradizioni linguistiche e questo giustifica le posizioni dell’autore, che scrive in francese pur non appartenendo alla tradizione culturale del suo paese di accoglienza. La sua lingua è in apparenza molto chiara, limpida, ma proprio per questo richiede una sorta di rispetto e fedeltà alla parola originale scelta dall’autore, lui stesso pensava questo a proposito dei traduttori, aspetto non facile. Il traduttore – dice Kundera – non deve addomesticare il testo o ‘pensare al posto mio’, non deve aggiungere, abbellire o esagerare. E questa indicazione va seguita, anche perché Kundera aveva una percezione molto particolare e personale delle parole, la percezione di uno straniero se così possiamo definirla, ed era fortemente affascinato dalla musicalità di certi termini, che utilizzava anche per il loro suono e le loro risonanze e questo è un tratto che va riconosciuto e rispettato nell’atto del tradurre.

All’interno di questa rubrica riecheggia spesso una domanda impossibile da non porre: cosa cercate in un autore, in un testo? Le risposte che ad oggi abbiamo raccolto ruotano intorno a due presupposti fondamentali, il primo trovare qualcosa che è ancora introvabile in libreria, qualcosa che vorresti leggere e non c’è, l’altro è legato all’immaginario, alla costruzione di mondi, alla pura letteratura. Tutti cercano Adelphi, ma Adelphi cosa cerca? E qual è il rapporto della casa editrice con gli esordienti?

Ho cominciato a lavorare all’interno di Adelphi nel 1992 e da allora tengo molto a ricordare e sottolineare quello che Roberto Calasso diceva in redazione, quando leggevamo i libri e poi se ne discuteva tutti insieme: “Non pensate mai né al pubblico né alle eventuali possibilità di vendita, è di qualità o non è di qualità: è l’unica cosa che ci interessa. Nessun’altra considerazione deve interferire. Molto spesso gli editor parlano di segmenti di mercato, di pubblico di riferimento, ecco per noi questo è sempre stato un aspetto ‘vietato’, che non doveva influenzare la scelta e il giudizio relativi a un manoscritto. Per quel che riguarda gli esordienti, sicuramente l’apertura di Adelphi è totale, nell’ambito delle letterature straniere è poi assoluta, basti pensare all’esordio di Michael Bible, giovanissimo autore americano dal talento straordinario, oppure il recente T di Chetna Maroo, sono libri intelligenti di grande respiro.

Oggi, però, un libro non è solo un libro è anche tutta la narrazione che un buon lancio, sorretto da un buon ufficio stampa, costruisce intorno alla sua uscita, e che passa soprattutto attraverso canali diversi, velocissimi, che hanno mutato il linguaggio stesso della critica letteraria (se davvero questa esiste ancora)…

Copertina, colore e risvolto di copertina sono già strumenti essenziali, sui quali abbiamo sempre lavorato moltissimo, e sempre dall’interno. È vero oggi ci sono canali nuovi, e sono altrettanto importanti e consentono un rapporto con il pubblico molto diverso da quello tradizionale, che in passato passava principalmente attraverso i quotidiani o le riviste. Il rilievo dei social è innegabile e ha una sua utilità, ci sono booktoker appassionati e che possono far amare davvero un libro, in maniera diretta, facilmente accessibile, d’altra parte l’influenza dei grandi recensori è andata molto in crisi…

 

Just dropped in
Intervista a cura di Giulia Bocchio

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