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Il corpo è l’unica lingua più forte di ogni scrittura – Intervista a Francesca Matteoni (a cura di Annachiara Atzei)

Il sangue è elemento della vita e della morte, è pericolo e potere, forza fisica e spirituale. Attraverso il sangue si instaura un rapporto interspecifico di collaborazione tra l’essere umano e il famiglio, animaletto domestico che, col tempo, muta nel sembiante fino a trasformarsi in un’entità proteiforme e grottesca. La strega che si accompagna al famiglio sovverte l’ordine: guasta, fa paura e per questo viene perseguitata e processata. Di questa cieca oppressione resta traccia anche nella contemporaneità.
Francesca Matteoni, in libreria con Il famiglio della strega – Sangue e stregoneria nell’epoca moderna (effequ), ci racconta il senso della sua ricerca antropologica che tenta di dare voce a quanto, al di là del progresso sociale e scientifico, resta schiacciato dal pensiero dominante, e invita a disumanizzarsi e rinnovare l’amore per una vita che ci rende uguali e in vera relazione con chi e con cosa ci sta intorno.

 

 


Sei arrivata alla ricerca storica e ad occuparti di processi per stregoneria partendo dalla poesia. Cosa accomuna le due cose? E qual è il metodo e il campo della tua indagine?

Credo che ciò che, almeno per me, accomuna di più una certa ricerca storico-antropologica e la poesia sia il tentativo di dare voce a chi e cosa resta oppresso nel flusso del discorso maggioritario. Chi scrive la storia? E come possiamo tenere traccia delle moltissime vite anonime, umane, animali, vegetali, al suo interno? Per questo ho scelto come materia di indagine il sangue, per poter provare a restituire parole e immaginari a chi la storia la subisce. Il corpo è l’unica lingua più forte di ogni scrittura. E paradossalmente è al corpo, ai corpi, alla loro mortalità e fragilità che la poesia stessa tende.

La dimensione umana e quella ultraterrena si mescolano attraverso il sangue: è così che nasce l’alleanza tra la strega e il famiglio, creatura sovrumana che, in diverse vesti, invadeva la dimensione terrena. Che valenza ha il sangue e come dobbiamo immaginare un famiglio?

Il sangue è per eccellenza l’elemento della vita – e della morte – animale. Quindi umana. Antropologicamente è pericolo se fuoriesce dal corpo, ma anche potere: contiene la forza fisica e spirituale di ogni essere vivo. Fin dall’antichità, in Europa, il sangue era l’elemento sacrificale per attrarre ed evocare demoni. Nel medioevo diventa materia di salvezza: il sangue del Cristo che scorre nella comunità cristiana. Con l’accusa di stregoneria il senso è ribaltato: la strega offre al diavolo il suo sangue per sovvertire l’ordine: guasta invece di salvare o nutrire. Quando, nei processi inglesi e scozzesi, il diavolo prende la forma del famiglio assistiamo a qualcosa d’altro ancora, che oggi forse definiremmo rapporto interspecifico di collaborazione. Il primo altro accanto a noi è l’animale. Il famiglio varia nella sua forma – è assimilabile a un animaletto domestico nelle prime confessioni; poi, come la persecuzione peggiora, diventa qualcosa di formidabile, proteiforme, astratto, spirituale, grottesco.

Qual era il clima sociale che si respirava in quel periodo storico? Quanto contano un’esistenza precaria, la debolezza spirituale, l’infermità fisica e le scarse conoscenze anche mediche nella elaborazione da parte della fantasia popolare di credenze, visioni, o addirittura nella ricerca del soccorso ultraterreno?

L’età moderna è un’epoca di guerra civile. Certo il Seicento è anche il secolo della scienza, ma non deve stupire che le due cose, processi alle streghe e rivoluzione scientifica, procedano di pari passo, in un mondo in cui comunque il primo ordine è quello religioso. Ed è appunto la frattura nel cristianesimo, con la Riforma e la Controriforma, il conflitto fra cattolici e protestanti, la prima causa dei processi. La credenza nelle streghe c’è sempre stata. Ma è il conflitto sociale, politico e religioso che determina la persecuzione dall’alto. Non so se parlerei di scarse conoscenze mediche – la medicina era molto diversa da come la intendiamo oggi e possiamo seguire un filo che dall’antichità precristiana si snoda fino al Settecento. Furono i medici i primi a mettere in discussione la realtà della stregoneria, ma sempre dentro un discorso cristiano: era tutta un’illusione, un artificio del diavolo. Non esiste l’ultraterreno: il mondo spirituale è qui e ora, il corpo è liquido e permeabile – questo il contesto di allora. L’alto e il basso si mescolano e la credenza popolare va a nutrire le teorie teologiche delle istituzioni. Ma oggi, epoca di guerre ancora più terribili e di crudeltà peggiori (dico questo mentre è in atto il massacro del popolo palestinese da parte di Israele, congiunto ad altre guerre in parti di mondo che evidentemente consideriamo serie Z e all’ecocidio nel silenzio-assenso dell’illuminato Occidente), nonostante i vari “progressi” scientifici, molte di quelle paure permangono e siamo sempre in grado di trovare qualcuno “meno umano di noi” da accusare di ogni male.

In un tempo in cui le donne erano ritenute importanti perché canale della vita, ma prive di considerazione in termini individuali, e il corpo femminile sembrava presentare le caratteristiche più indicate per la stregoneria e il contatto demoniaco, lo stereotipo di genere cosa comportava per loro all’interno della società?

Non siamo molto diversi, temo. Penso alla retorica agghiacciante del divino femminile, oggi, concentrato solo sul materno come fonte di virtù, potere e meraviglia. La verità è che il materno, come espressione del corpo, è oscuro. Il corpo è oscuro. Lo stereotipo di genere si fonda nella paura, nell’ombra che corpi capaci di aprirsi sanno generare. Corpi che sanguinano, corpi che allattano, corpi che danno la vita, corpi che abortiscono. Curioso che questo corpo fragile ed esposto sia anche il corpo del Cristo sulla croce – un vero e proprio corpo femminile. E oggi? Sappiamo stare nell’oscuro? Se la strega è l’anti-materno, quando a essere strega è un uomo, e molti erano uomini, entriamo nel piano di pericolo davvero universale: tutti i corpi, che ci tradiranno, cederanno, si sfalderanno, sono pericolosi. Ma alcuni (alcune) lo sono più di altri, per questo paradigmatici. Sta a noi, oggi, con una coscienza davvero ecologica uscire dall’idea di progresso senza fine, di indistruttibilità e rinominare quel cedere, quel tornare alle cose, quel decadere come l’unica meraviglia sensata delle cose. L’unica vera sorellanza.

Persecuzione, deumanizzazione, annichilimento della persona, paura: che traccia lasciano nella contemporaneità?

Credo di aver risposto già, a questa domanda importantissima. Aggiungo questo. Per smettere di de-umanizzare l’altro, dovremmo infine uscire dall’idea tossica e malata che l’umano abbia un valore in sé. Il valore è qualcosa che costruiamo attorno all’umano, e umanissimo è sempre stato il distruggere l’altro, il massacro delle specie, l’oppressione. Ma umanissima è anche l’arte. Uscendo dall’idea di umano come buono e giusto entreremo nelle relazioni che davvero ci determinano. E allora anche la relazione con un famiglio, un altro animale tale e quale a noi, figlio, amico, compagno e perfino lontano, invisibile nelle selve o negli oceani, sarà fonte di scoperta e rinnovato amore per questa vita in cui siamo tutte la stessa sostanza. Disumanizziamoci un po’.

 

 


In copertina: The break of Day, Paul Delvaux


 

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