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Un piccolo colpo leggero

Léon Spilliaert, Le hibou (1918)
Léon Spilliaert, Le hibou (1918)

Il brano che segue è stato concepito come monologo per l’edizione 2012 del ciclo La Confessione, ideato e diretto dal regista Walter Manfrè. Il ciclo prevedeva venti brevi monologhi, recitati da dieci uomini e dieci donne di fronte a un pubblico di altrettanti “confessori” di sesso opposto. Il testo, con minime variazioni, è andato in scena al Teatro Valle di Roma dal 3 al 6 maggio 2012.

Ecco, a voi posso dirlo. Del resto, anzi, posso dirlo solo a voi. Nessuno di voi mi tradirà. E comunque nessuno vi crederebbe.
In piena notte, immaginatelo. Un ticchettio. Costante, ogni ora. Un piccolo colpo leggero.
Il trucco è tutto nel polso: braccio fermo, colpo di frusta. Un piccolo colpo leggero. La nocca contro la parete. Toc.
Le prime volte fa un po’ male, ci vuole una certa – dedizione. Per non sentire il dolore, sapete. E quando fa molto freddo si può sbagliare: i tendini sono gelidi, l’osso è sensibile, basta sbagliare l’inclinazione del dito e ci si ritrova con un bel dolore sordo che risale per il braccio. Poi ci si abitua; dopo una notte passata a ticchettare noterete che si crea, vedete, un piccolo callo giusto sulla cima dell’osso. Si trova il punto giusto sulla parete, il punto più vuoto – è morbido sotto le dita, ma il suono viaggia, viaggia, e salendo rimbomba, signori, rimbomba. Guardate: basta fare così [mima il ticchettio]. Vedete?
Io posso sentirla. Riesco a vederla con gli occhi della testa, proprio qui [si sfiora la tempia]: è china sul pavimento, lo so, lo so come se la vedessi riflessa nel vetro di fronte; è china sul pavimento come un coniglio, in attesa. Aspetta il prossimo colpo. Cerca di capire cos’è.
Ci sono volte – ci sono volte in cui salto un turno. Salto un turno, signori: non ticchetto. E io so che lei sta aspettando. Non si dà pace, sapete? Lo so, riesco a vederla con gli occhi della testa, proprio qui [si sfiora ancora la tempia].
Chi potrebbe crederle? Che cosa potrebbe dire? Che sente un rumore, minimo – cupo – felpato – costante – attraverso le pareti che sale, sale, sale, e salendo rimbomba? E se anche le credessero, che cosa potrebbero fare? Arrestare le nocche della mia falange? Rinchiudermi? Per disturbo? Per disturbo di chi? Di una povera insonne – o che so io, potrebbe anche essere un uomo, ma io credo sia una donna, sapete? Lo credo, perché mi sembra di vederla, con gli occhi della testa, proprio qui [di nuovo le dita alla tempia].
Sarebbe bello sapere perché lo faccio. Del resto ci vuole – dedizione – l’ho già detto, mi pare; ci vuole dedizione anche per restare svegli ogni ora, ogni santissima ora della notte, e ticchettare – e allora perché, direte voi, se nemmeno sai com’è fatta, se l’unica cosa che sai è che quando sente quel rumore le orecchie le si tendono, e si accuccia sul pavimento, come un coniglio, e aspetta, e cerca di capire cos’è, e cosa può fare, e come può mai tornare a dormire, e quando tu non ticchetti lei è là che aspetta, che si chiede perché – voi chiederete: perché lo fai?
Voi non sapete cosa vuol dire. Non la sapete, questa potenza. Non lo sapete, questo potere. Cosa c’è di più naturale, di più innocente, del sonno? Cosa c’è di più necessario? Tutti dormono, tutti: dormono i tiranni, gli assassini, tutti dormono; ma lei non dormirà, finché non lo deciderò io.
Non so neanche chi sia. E questo potere, signori, questo potere è qui, tutto qui, in un piccolo colpo leggero.

© Giovanna Amato

10 risposte a “Un piccolo colpo leggero”

    • La ringrazio molto. Diciamo che “lei” nasce dalla voglia di dare un senso, un volto, a qualche piccola insonnia, e in qualche modo assorbirla. Grazie ancora.

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  1. bravissima giovanna. Tra l’altro questo tuo piccolo colpo leggero secondo me è costruito su un piccolo colpo di genio: di solito, ad esempio in certo teatro simbolista, il punto di vista è del personaggio che percepisce il rumore misterioso (o altri segni, come una luce distante: penso a “La lucina” di Moresco). Da te è all’inverso, e tuttavia rimane il mistero di sapere chi è disturbato dai colpi. Anche dall’altra parte del rumore, insomma, il buio è uguale. Brava brava brava.

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  2. «Io posso sentirla. Riesco a vederla con gli occhi della testa», il potere di un piccolo colpo leggero: un gioiello il tuo monologo, Giovanna, che avrei voluto tanto sentire al Teatro Valle. Occorre proprio dare vita a un’altra occasione per ascoltarlo. Che ne dici, Giovanna, ci pensiamo? Intanto grazie, di cuore.

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  3. Splendido pezzo Giovanna! Sin dall’inizio, ho percepito un senso del ritmo molto musicale, in questa tua prosa, e mi pare sia una delle qualità del testo; una qualità significante (ed evocativa), quella del ticchettare e delle pause.
    Mi ha incuriosito molto il riferimento di Andrea al teatro simbolista e il legame tra rumore e punto di vista; esco dal campo della letteratura, e penso alla musica.
    Nella mia esperienza questo monologo ha evocato qualcosa che attiene alla musica contemporanea del Novecento, in cui spesso il suono è anche gesto. Mi viene in mente Morton Feldman.
    Grazie.

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    • Grazie mille, Alessandra! Tu e Andrea mi state regalando splendidi stimoli. E’ molto bello vedere quanta strada può fare un brano dalla prima, vaga visione di quello che sarà ai commenti di sguardi (e orecchie!) attenti come i vostri. Quindi grazie a voi, tutti.

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  4. Decisamente affascinante senza cadere nel patetico e, anzi, mantenedo un continuo atteggiamento ironico nel raccontarsi. Ci vuole dedizione, sì. Complimenti, Giovanna.
    c.

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