Patrizia Dughero – Le stanze del sale

 

Patrizia Dughero – Le stanze del sale, 2010 Le Voci della Luna Poesia

 

Compito

A volte li frantumo i sassi
per vedere se trovo qualche pezzo
buono da salvare.
Difficile risalire le parole, appellativi,
come fatua, ad esempio, che impedisce il peso
di ogni mia lettura.
Difficile tessere fili che vedi sparpagliati
se non sei abituata a ore di telaio.

Un giorno una veggente che mi piaceva
consultare – era molto brava –
disse che il mio compito è tutto ciò che è materiale.
Basta con la meditazione e la contemplazione
e tutto ciò che è trascendente.
Occorreva appoggiare i piedi a terra.
Non l’ho ascoltata e ho continuato.
Ma quando il dono è arrivato, io l’ho accolto.
Ho iniziato a trasportare ciò che ricevevo, onorando,
a tramandarlo, lasciando che trabocchi su altri.
Ho iniziato a trasportare mattone su mattone
asciugando il sudore con la pietra bianca.
Mi hanno insegnato che esiste il taglia e cuci
anche per i vecchi muri: tecnica raffinata.
Io l’ho osservata e ora è quel che faccio,
che tento, coi gesti e le parole, se posso.
Scavo dei buchi ai vecchi muri e poi li copro
li intesso con mattoni nuovi e poi li mostro.
Vinco la vergogna, a volte, sperando
che sia utile e che serva.
………………………………………….Un compito pesante.

***

Ai miei

Vorrei levarvi a queste tristi mura,
vi si stringono addosso giorno dopo giorno,
avete bisogno anche di uno spazio aperto
spazio per tornare alle pareti oscure e scalcinate
Le vedete toccarsi l’una con l’altra
………………………….congiungersi
in un tempo che non è più vostro
scrostarsi senza più garruli suoni
controllando ogni vano intorno.
Ora tocca a me condurvi a luoghi nuovi dove
……………………………………..non c’è confine.

***

Biblioteca

Litigammo quella sera
perché lui aveva più di sessant’anni,
e io ventisette, ed ero agitata e greve
del bambino, il terzo. Atterrita.
Mi rifugiai da don Alberto
e in parrocchia, da lui,
trovai l’archivio. Una bella biblioteca
sistemata in una stanza austera
dove accettai conforto. Poi presi
a bere, come fan tutti dalle mie parti,
e a tornare su per il monte
attraverso la galleria di sassi bianchi.
Me la fecero dimenticare quella stanza
dove scoprii mille segreti. Mi portarono via
e poi l’oscurità mi scese sugli occhi,
piano molto piano, in lunghi anni,
all’ospedale dei mentecatti.
Ancora intravedo qualche parola
attraverso una luce intermittente:
“Non fare agli altri quel che
non vorresti fosse fatto a te”.
Mi sembrava racchiudesse tutto ciò
che c’è da sapere. Ma io non l’ho provato.

***

Seconda mancanza

Ho inseguito lo sconcerto, me lo hanno suggerito,
l’ambiguità, a un certo punto, è diventata
l’unico mezzo per sfuggire la costrizione.
Ma in costrizione sono rimasta fino a diventare blu.

Ho cercato i fili nella cittadella segreta, lo faccio sempre
ma poi il viaggio s’è fatto arduo
– c’è un abitante scomodo nella cittadella,
si chiama invece –

Mi sono fissata sulla visione della montagna dall’alto
non riuscivo a staccarmene.
Stavo sul pianoro di un ghiacciaio
e non potevo vedere dabbasso. Vedevo le altre vette

volevo guardare giù, chiedevo di osservare il precipizio
mi osservavo sentire la vertigine
ondeggiamenti come fossi una canna
diretta solo al vento, un’isola di sabbia.

Avevo sonno anche, come spesso mi accade
ma le oscillazioni si susseguivano.
Fatemi tornare a terra, ho pensato prima, poi ho pensato:
Devo restare ancora un po’. Ma la vertigine, si sa, è incontrollabile.

Mi sono placata pensando al perdono:
si può perdonare al cielo di avere grandinato?
Ondeggiando tra due tendenze opposte
il rosso è rimasto rosso, congelato nel ghiaccio.

Ho dimenticato l’assenza
dispersa nella sua voragine
mancanza di chi poteva esserci e non c’è
…………………………………………….invece.

***

Parlando con Raymond Carver

Quando faccio pulizie
mi capita di colloquiare con qualcuno.
Oggi tocca a te Ray e non è la prima volta.
Vorrei seguirti anche in questo
tu che parli con Joyce
tu che parli con Baudelaire
tu che parli di Shelley
sulle loro tombe, sempre.
Io sto solo aspettando che si asciughi il pavimento.
So che sembrerà retorico
assolutamente banale
dire che tra noi c’è un oceano
e io vorrei attraversarlo.
La tua immagine sul cofanetto dei Meridiani
mi fissa, ha un’aria simpatica, non sembra
di un ex alcolista. Comprendo il problema.
Vorrei parlarti di spazio
oltre quello oceanico che ci divide
oltre quello che c’è tra whisky e vino
oltre quello che c’è tra le mani che aggiungono all’argilla
e il marmo ………………………………………….da scalpello
oltre quello che c’è tra chi ci lascia parole e chi no
…………………ovviamente, spazio.

Un mio amico che si dice piccolo poeta mi ha insegnato:
lo spazio non è sempre uguale a se stesso
dieci centimetri fra due macchine
non sono dieci centimetri in un letto coniugale.
Penso abbia ragione. La coscienza cade sulle cose
che guardiamo diventare assenti
le scalpelliamo per porgerle, che qualcuno legga.
Ciò che non ha significato profondo –
l’esistenza non ha alternative, in fondo non è necessaria –
non trova radici se non nella combinatoria interna
divisa.

***

La guardiana

Torno alla casa che abbiamo ereditato
è grande e disposta su tre piani,
ma ne occorre un altro. Decido di scavare
in basso piuttosto che elevare al cielo.
Sappiamo tutti che quando possediamo un suolo
– ne abbiamo proprietà –
ci appartiene tutto ciò che è sottostante e ciò
che sta di sopra a dismisura fino alle galassie più
……………………………………………………..lontane
fino al centro della terra
– così dice l’ordinamento.
Ai piani alti di questa grande casa
vorrei solo aprire le finestre
a far entrare un po’ di luce
che penetri il mio petto svuotato a dovere
che giri un poco d’aria e di correnti
di sangue anche, se si preferisce.
Che il sangue torni a circolare e a distinguersi
………………tra quello rosso vivo e quello blu
di scorie.

***

Vergonzimi

Vi tradivi e no lu savevi
che jeri nassude pa jemplâ la mancjance
tal cuarp di un altri,
sicu il vin tal tace vuei,
matiere licuide che tint a jessi.
I crodevi che mi dovevi vistî, no disvestî.

Che mi vergogni

Vi tradivo e non lo sapevo
che ero nata per riempire la mancanza
nel corpo di un altro,
come il vino nel bicchiere vuoto,
materia liquida che tende ad essere.
Credevo che mi dovevo vestire, non svestire.

* Vincitrice della sedicesima edizione del Premio Internazionale di Poesia “Renato Giorgi”, promosso dal circolo culturale “Le Voci della Luna” e realizzato con il contributo della Città di Sasso Marconi – Assessorato alla Cultura.

2 risposte a “Patrizia Dughero – Le stanze del sale”

  1. quando si incontra una nuova voce occore prestare ascolto
    ho letto con interesse e tornerò a farlo poichè le voci mi sono piaciute
    grazie Stefania per la proposta
    Elina

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  2. grazie a te, Elina, per l’attenzione.

    La voce di Patrizia è preziosa, la sua scrittura mi ha molto colpita.
    Il suo “taglia e cuci” (coi gesti e le parole) si accompagna a ricordi, a viaggi nel tempo che, curvandosi con delicatezza, raggiungono le radici più profonde, raggiungono “l’altro”.
    Le parole di Patrizia restituiscono dignità alle storie individuali, illuminano luoghi dimenticati, cementano l’appartenenza.

    un caro saluto

    Stefania

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