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8 settembre 1943: Il lavoro della festa

Pignola (PZ): veduta aerea
                                 Pignola

Il lavoro della festa

di Anna Maria Curci

Papà sentenzia: “Non vi illudete, ora cominciano i guai!”. 8 settembre 1943: è un mercoledì e a casa si festeggia l’onomastico di mamma. Sì, lo so: la ricorrenza del nome di Maria è il 12 settembre, oggi si ricorda Maria Bambina, ma papà così ha deciso e stabilito. A tavola, è come se fosse domenica: strasc’nat’ col sugo di capretto, perché la festa va celebrata con la pasta fatta in casa, dalla donna, Carmela, o, preferibilmente da noi figlie. So di non essere la preferita di papà: questa, per me, sarà una ferita sempre aperta.
Chissà quali piani avesse per me, quando mi ha fatto battezzare con quel nome improbabile: Costanza! Forse pensava a un futuro di matura e regale maternità, come quello che toccò a Costanza d’Altavilla, di cui Dante – che papà, scrupoloso autodidatta, non manca mai di citare – scrisse nel Paradiso: “Quest’è la luce de la gran Costanza che del secondo vento di Soave generò ‘l terzo e l’ultima possanza”. Forse mi vedeva, ancora in fasce, già laureata. Qui a Pignola, a otto chilometri da Potenza, don Ruggero di Lauria è famoso per la sua mentalità severa ma ardita per i tempi. Per lui, le figlie devono, questo sì, saper sfaccendare e aiutare in cucina, ma a loro non va precluso lo studio per il solo fatto di essere donne. Per questo la sua preferita è Dina, Dina la dotta, Dina la calma, Dina la studiosa. Questa poi! A me appioppa questo nome ingombrante, che non si può accorciare, che non ha un vezzeggiativo e mia sorella, nata un anno dopo di me, lui decide di chiamarla Dina. Dina non è il diminutivo di Geraldina, né, come sarebbe più naturale qui da noi in Lucania, di Gerarda. Dina è stata battezzata Dina e basta.

Se a Dina piace leggere e curiosare tra le glosse che papà appone con la sua grafia elegante e un po’ pomposa sulle pagine sottilissime di un’enorme Bibbia, per me lavorare a maglia significa entrare in un mondo incantato di forme e di colori, di trame e orditi frutto della creatività associata di mani, occhi, mente e, sì, anche cuore. Ho scoperto quest’arte meravigliosa grazie alla signora Cunisberga, un’elegante nobildonna, nostra vicina. Da lei e dai suoi preziosi segreti mi separa solo una scala ed è così che giorno dopo giorno, fuga dopo fuga, ho confezionato il mio primo lavoro. È fatto con la lana di guerra, lana grezza, nel mio caso, tinta artigianalmente di nocciola, ma nel lavoro a cannolet ho inserito rombi bianchi, che ho alternato a rombi nocciola, lavorando con più fili, proprio come mi ha insegnato a fare la signora Cunisberga. Un lavoro straordinario, per essere una prima assoluta: domenica scorsa, il cinque settembre, non ho resistito e sono scappata su dalla signora Cunisberga per imparare a rifinire le asole. La signora mi ha rimproverato e ha pronunciato una frase misteriosa: “Il lavoro della festa se lo porta la tempesta”, ma io non ho voluto darle retta, tanta era l’ansia di finire il mio capolavoro.

Ora, ecco che sono qui, a festeggiare l’onomastico di mamma. Siamo a tavola, papà ha pronunciato la sua sentenza, che mi ha fatto scorrere un brivido lungo la schiena. Ma che importa! Ho indosso il mio giacchetto nocciola e tanto basta a sollevarmi su una nuvola di spensierata felicità.

Verso sera, all’improvviso, udiamo un rombo cupo e un fracasso violentissimo. Non lo sappiamo ancora, ma gli Alleati hanno lanciato le loro bombe giù, all’altezza della Chiesa di San Rocco, dove oggi c’è il Municipio. Qualche gola profonda deve aver fatto sapere loro che ci sono armi e combustibile nascosti presso il lago del Pantano, ma gli ordigni, tanto intelligenti ora quanto, purtroppo, si dimostreranno anche in futuro, sono andati a finire a ridosso dell’abitato.

La nostra casa si affaccia sulla piazza, dirimpetto a Palazzo Paciello. Nel panico generale, come un basso continuo, riecheggia la frase «P’ o Paschier’, p’o Paschier’». Dobbiamo passare per il Paschiere, ricapitolo mentalmente: prima davanti a Sant’Antonio, la chiesa dove vado a messa la domenica (la Chiesa Madre è per le solennità e le processioni da e verso il Santuario del Pantano) per poi addentrarci in quello che usiamo chiamare “quartiere cinese”. Solo così potremo raggiungere le gallerie della Calabro-Lucana, dove passava la littorina che ci portava a scuola, prima che le corse fossero sospese per la guerra. Di restare a casa nessuno ha voglia. Dina è bianca come un cencio per la paura: per curarla dalle conseguenze dello spavento mamma dovrà consultare, poi, uno specialista.

Devo pensare a Pinuccia, la figlia piccola di mia sorella Beatrice, che è venuta a villeggiare qui da noi. Che razza di villeggiatura, penso io. Le metto frettolosamente il mio capolavoro nocciola sulle spalle e scappo con lei. Gli istanti concitati di allora continuano a passarmi dinanzi agli occhi della mente come i fotogrammi di una pellicola da archivio storico, ma so che non serve a nulla.

Nel tunnel della Calabro-Lucana è buio pesto. Tutto il paese è accalcato qui dentro, l’angoscia ci toglie la voglia di parlare. Nel vuoto del silenzio, ora che tace anche il rombo dei bombardieri, risuonano passi solitari e pesanti. Tratteniamo il fiato e preghiamo muovendo solo le labbra: “Signore, dal cielo gli Alleati, dalla terra i Tedeschi! Che ne sarà di noi?”.

Un’ombra si staglia sull’imboccatura della galleria: è proprio la divisa di un ufficiale tedesco. È la fine, penso e non riesco a perdonarmi la trasgressione dettata dalla mia vanità. È solo colpa mia, mi ripeto. “Il lavoro della festa…”.

L’ufficiale tedesco parla, e parla in pignolese! Non è ufficiale e non è tedesco, è solo Principino. Principino è il figlio della fornaia che ha in gestione il locale di mamma e di Maestà, un omone coi baffi alla Umberto che pratica la nobile arte del dolce far niente e del campare alle spalle di chi sgobba in sua vece. Non so come Principino si sia procurato quella divisa, comunque ha voluto fare il guappo nel momento sbagliato. Questo suo lato da sbruffone lo porterà in galera in un’altra occasione, ma la sua vita avventurosa ha in serbo per lui una maturità saggia e pacata. Per ora ci ha spaventati a morte.

Si è fatta mattina. All’alba del 9 settembre 1943 facciamo ritorno, sempre in silenzio, a casa. La paura ‘grossa’ è sparita, e, insieme a lei, il mio giacchetto nocciola, che non troverò mai più.

10 risposte a “8 settembre 1943: Il lavoro della festa”

  1. La vicenda mi è stata narrata da “Dina” fin da quando ero piccola, all’epoca in cui fui portata al cinema per la prima volta, per assistere proprio al film menzionato da f. Che cosa non combina l’immaginario consapevole e non! ;-)
    Grazie e un saluto a f. e a m.

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  2. Bel racconto di settembre. Mi è venuto in mente Passaggio in Ombra di Mariateresa Di Lascia. Pensavo che le storie che ci hanno raccontato abitano dentro di noi e poi un giorno escono fuori, a farsi un giro…

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    • Grazie, Vincenzo, ché il tuo sguardo è andato oltre e ha colto nel segno. Quando ho presentato “Passaggio in ombra” nella seconda tappa di “In Apulien” qui su Poetarum Silva, ho omesso di menzionare la ragione profonda che mi aveva mosso a scuotere l’oblio al quale l’opera di Mariateresa Di Lascia sembrava condannata: la familiarità, non di rado sconvolgente, di personaggi e visioni con i miei ricordi. Lì si tratta della mia metà pugliese, qui dell’altra mia metà, lucana. Hai ragione tu: un giorno queste memorie decidono di farsi “lettere migranti” e imboccano sentieri imprevisti.

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  3. lo leggo sempre volentieri, risento la voce che mi racconta nei minimi particolari l’avventura e la paura. E quel golfino nocciola tanto desiderato…. grazie soprattutto a nome di Costanza…

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    • Quanto abbiamo desiderato di vedere quel golfino descritto nei minimi particolari, Patrizia! Buffo è stato scoprire attraverso il racconto che un giorno, come scrive Vincenzo Errico, ha deciso di uscire a farsi un giro, che avevamo in comune questo sogno irrealizzabile, grazie alle virtù di ‘storyteller’ di “Costanza” e di “Dina”. Grazie a te e, ovviamente, a Costanza.

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  4. bello postare questo racconto di vita vissuta proprio il giorno 8 settembre in cui si ricorda la nascita di Maria. Tra l’altro tu porti o stesso nome, unito a quello si sua madre.
    Oggi ho trovato questa poesia di Rainer Maria Rilke:

    Quanto dev’essere costato agli angeli
    non prorompere in un canto
    perché sapevano: in questa notte si genera la madre
    di quell’Uno che presto apparirà!
    Dove solitaria sorgeva la masseria di Gioacchino
    percepivano, in quello spazio, addensarsi la purità.
    Ma a nessuno di loro fu dato di scender laggiù.

    Rainer Maria Rilke

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