Mi
rimangio la parola
che masticarla ancora
prima di risputarla
è perversa mania
che mi folgora e mi svela Di
colpo in colpo
a glottide usurata
si profila
lo squarcio del fulmine
che dispare
impari
in pari nembi appaiati e franti Si
dà il dettato
se pur impastato
inchiostro simpatico
che fa il verso
a la saetta inconclusa E no
non risuona a morto
se pur allettato
dritto stinco
a svangare la bara
dai vermi brulicanti E fila
si sfila come flutto
in miriadi di schiume
bava a bava eluse
escluse
dalla magna chora
consegnata all’ora
in cui il ridirsi ancora
è prece ignava
al non più riconoscersi Di
scena in scena
piccolo uomo escremento
che incrementa
la saturazione della gola
Ancora una ferita
la mano nel costato s’apre
la via
al solo differirsi
in pari altri dissapaiati e anonimi Mi
rimangio la parola
per meglio deglutirla
e custodirla
senza più sputarla
e dettarla
Nessun luogo
da tracimare
nessuna sinfonia da evacuare
solo crudità
da fibrillare
sulla graticola
ove escuoce
il senso ultimo
e mai definitivo
che soffre
il riflesso de la imago
da cui estromettere
il nome
vago
e
vacuo


5 risposte a “Casta Carta Cauta Canta”
qui la voce di Faraòn Meteòses (Stefano Amorese) su estratti da Casta Carta Cauta Canta
http://sguardidautore.splinder.com/post/22055124/faraon-meteoses-interpreta-casta-carta-cauta-canta-di-enzo-campi
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Sorprendente la serie di eventi tesi quasi al paradosso o comunque vicini al contrapposto e mai in contraddittorio.
Direi una sinfonia velocizzata di Bela Bartok, un ipercubismo verbale che, nonostante l’incolonnamento, rende il testo una mappa piena di gradevoli assonanze e di qualcosa molto vicino al calembour omofonico.
Interessante lettura Enzo, notevole potenza poetica!
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La splendida violenza della parola è sempre contenuta nelle dimensioni del foglio. In esso avvengono movimenti tellurici delle idee, impennate del linguaggio che, nell’attuale caso, s’invera quando osa. La parola per Enzo Campi si fa quindi duttile strumento, evade dal contesto rigidamente legato alla mera significazione. Essa appare piuttosto come fiamma, suono e ritmo, connaturati al significare stesso. Perciò il vero senso del discorso non è mai ciò che sembra a prima vista: la parola che osa è la più ‘cauta’, con il gioco sapiente dei silenzi, interrotti da versi brevi, anche di una sola parola, essa ‘canta’ in un mondo per sua natura effimero,cartaceo. Da ciò trae, per contrasto, la sua poderosa forza espressiva, la sua libertà di essere, curiosamente, pure ‘casta’. Si vedano questi versi:”…Mi
rimangio la parola
per meglio deglutirla
e custodirla
senza più sputarla
e dettarla
E’ innegabile che solo ‘inghiottendo'(dentro) la parola questa può essere proferita (fuori). Conservarla è comunicare, dunque, cibarsi significa rinunciare a dettarla. Se le parole infatti potessero scegliere, sembra suggerire Enzo Campi, come essenze vive, preferirebbero andare incontro al destino di essere mangiate, piuttosto che giacere su un foglio, frettolosamente vergate sotto dettatura. Quanto all’analisi testuale, si noti l’uso poi della rima imperfetta e del nonsense che impreziosiscono questa prova poetica di Campi, confermando la natura innovativa del suo percorso di ricerca e varia creatività. MARZIA ALUNNI
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Lei Campi, in canta la carta in cauta per casta
s.
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Sei un giocoliere della parola!
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