‘O CAMMURRISTA

Pigliai o’ fierro (la pistola) e mi sparai. Mò vi spiego, ‘nu poco ‘e pazienza!
Cinquanta chili di muscoli arraggiati (stizziti), sguardo tremendo incorniciato da un collare borchiato, bava permanente e assoluta mancanza di scrupoli: Movepiglioamuorzi, il mio rottweiler, così si chiamava l’orgoglio mio!
Nel mio paese, Sodale di Principe, non m’ero ancora guadagnato il rispetto ‘e tutti i fetienti, ero un killer meza botta di primo livello (killer apprendista), e stavo sotto esame per il secondo livello. Tentavo ancora di farmi strada nel “Clan dei Sodalesi” – ‘na maniata ‘e chiavichi mai vista! (un raro insieme di luridi malvagi) – e pensavo che incutere terrore cu ‘stu sfaccimma ‘e cane avrebbe dato un pochino lustro alla mia immagine, ultimamente un po’ in ribasso. Certo, fare carriera era difficile, si cominciava con il grado di avventizio o palo, che si otteneva dopo un corso di sei mesi ed un esame finale, e solo dopo si accedeva ai corsi di killeraggio di primo, secondo e terzo livello. Da ragazzo non volli frequentare le lezioni, nun tenevo genio (ero svogliato), così mi presentai da privatista all’esame per diventare avventizio. Alla commissione esibii la faccia intorzata (tumefatta) di mia madre che avevo all’uopo riempita di botte e trascinata con me, un triciclo arrubbato a un creaturo di quattro anni dopo averlo cecato con una sputazzata in faccia, e un biglietto da cento euro scippato fuori all’ufficio postale a ‘na vecchia zoppa che mi dette pure ‘na bastonata ‘n capa – ma ‘sta figura ‘e mmerda ai professori non la raccontai. Quelli, dopo aver visionato quel popò di curriculum che m’ero portato appresso, prima si pisciarono sotto dalle risate, poi all’improvviso m’arrivò ‘nu buffettone… ma ‘nu buffettone così pesante sulla faccia, che per un istante mi parve di vedere la Madonna di Pompei con le braccia aperte in segno di pace. Mi guardarono in silenzio. In quella sessione d’esami la commissione era composta da Totonno ‘a cazzimma (Antonio la cattiveria inusitata), Gennarino o’ zuzzuso (Gennaro il sudicio), Pascalone o’ piscione (Pasquale il superdotato) e Feliciello o’ pirito (Felice la scoreggia), un camorrista, quest’ultimo, particolarmente temuto dagli altri, soprattutto nei luoghi chiusi. Ricordo che il silenzio fu interrotto da Gennarino o’ zuzzuso che disse:  “Vabbuò, dammice ‘na possibilità a ‘stu guaglione! Ma statti accorto, ti teniamo d’occhio!!”  Decisero in pochi secondi: una flatulenza di Feliciello o’ pirito aveva rapidamente messo tutti d’accordo, accelerando lo scioglimento della riunione.

Che bei ricordi di gioventù! A proposito, scusate assai, non mi sono presentato, io sono Giggino ‘a fetecchia, (Luigi la cilecca) soprannome che mi affibbiarono all’esame per killer di secondo livello che non andò troppo bene e fui bocciato, ma torniamo al cane.
Una mese fa lo lasciai legato al cancello che divide il mio giardino dalla strada, perché avevo dimenticato o’ fierro (la pistola) sul comò. Torno in casa, piglio o’ fierro, esco fuori e che ti vedo? Movepiglioamuorzi stava sdraiato sulla pancia con la lingua da fuori e dietro a lui ‘nu chihuahua ‘e mmerda, pure lui con la lingua da fuori ma non per il caldo, che con grande impegno se lo stava facendo!… MA… MA… MARONN’!! O’ CANE E’ RICCHIONE!! Mi precipitai come un fulmine ma era troppo tardi: Cirotto o’ ribbotto (Ciro la doppietta) e ‘Aitano ‘a nzogna (Gaetano la sugna), un camorrista grasso e untuoso, i miei tutors, si stavano già sganasciando con le panze in mano sul marciapiede di fronte. Ero rovinato, l’avrebbe saputo tutto il paese, l’ennesimo, definitivo stop alla mia carriera! Trascinai quello scuorno di cane depravato nel retro della casa – con sommo dispiacere del chihuahua che non aveva ancora finito – e gli sparai due colpi in testa, anzi tre, il primo (e io ‘o ssapevo!) aveva fatto fetecchia. Fu allora che decisi di tentare il tutto per tutto, bruciare le tappe e sottopormi con un anno di anticipo alla prova pratica per killer di terzo livello.
 
Duplice omicidio con ferocia inaudita, obbligatorietà della minore età per almeno una delle vittime che saranno a scelta del candidato

…così stava scritto nella bacheca degli esami. Presentai la domanda che, dopo una settimana, con mia grande sorpresa, venne accettata. Anche se mia sorella, che per me ci tiene, afferma tutt’ora che se non fosse stato per la sua abilità orale con i membri della commissione, mi avrebbero declassato da meza botta a palo, altro che “terzo livello!”
In un paio di giorni individuai le vittime: il vedovo Paoletto Cuccurullo ditto ‘a malaciorta (Paolo Cuccurullo detto la sfortuna) e sua figlia di otto anni, Gabriella ‘a sturtarella (Gabriella la deforme), una dolce bambina che portava nel fisico gli evidenti segni del talento di suo padre nell’attirarsi sciagure. La mia scelta fu da vero figlio ‘e cantero (figlio di un orinale, uno furbo insomma). Infatti Paoletto ‘a malaciorta, oltre ad essere vedovo e con una figlia deforme, stava pure in cassa integrazione da un anno, così passeggiava quasi tutto il tempo sul corso principale di Sodale tenendo per mano lo sgorbio. Sarebbe stato chiù facile ‘e ‘n’ abuso edilizio sulla piazza di fronte al comune.
 Finalmente venette o’ iuorno (venne il giorno). Erano le dieci e trenta del mattino, ero in sella alla mia Sesterzi 1500 con carenatura giallo limone di Sorrento, fermo, a lato del marciapiede, ma col motore acceso. Chilli duie  scarugnati si stavano avvicinando. Eccoli. Scesi dalla moto e mi fermai in piedi a circa sei metri da loro, ignari. Mentre estraevo o’ fierro sentii coccosa che mi strattonava i pantaloni nei pressi delle caviglie. Guardai in basso: MANNACCIAGIESUCRISTO!! era ‘n’ata vota chillu schifo ‘e chihuahua ‘e munnezza arrapato che mi stava scopando il polpaccio; alzai la gamba ma chillu strunz’ s‘era attaccato, e chiavava pure a mezz’aria, e nun cadeva! MA CHI E’ O’ PROPRIETARIO ‘E ‘STU CANE? Gridai, ma era troppo tardi. O’ pato e ‘a figlia erano a tiro e dovetti cominciare a sparare su una sola gamba, cu chill’omm’e mmerda ‘e cane (con quell’essere spregevole d’un cane) che si sognava ‘a bonanima do cane mio, e chiavava! Vuotai tutto il caricatore, ‘nu burdello, non si capì più niente! Una fuiarella generale.
Il risultato fu: quattro contusi (quattro Carabinieri che si sbucciarono le ginocchia nel tentativo di non intervenire); due ricoverati ( i miei tutors, Cirotto o’ ribbotto e ‘Aitano ‘a nzogna, che in preda a risa isteriche ebbero uno sbalzo di pressione e furono portati via in ambulanza); un morto (mio padre, Rafele o’ pensionato -Raffaele il pensionato – così detto per non aver mai lavorato;  assistette per caso alla sparatoria e morì di crepacuore per il mio fallimento); due sopravvissuti (Paoletto ‘a malaciorta, per il quale si cominciò a studiare un nuovo soprannome in virtù dell’accaduto, e sua figlia Gabriella ‘a sturtarella, che invece rimase deforme com’era).
 
Stavo chiuso in casa da un mese, ma non per paura dei carabinieri, ché dopo un mese stavano ancora guardando da un’altra parte, ma per lo scuorno. Un  bel giorno bussarono alla porta Ciccio sett’e mmeza (Francesco sette e trenta), un killer fidato, aduso a colpire di buon mattino, e Massimino o’ schiattamuorto (Massimo il becchino), il “pulitore” del clan, quello che cancella le tracce dalla scena del delitto. Con occhi da malamente mi fissarono senza parlare, poi mi consegnarono un libro e se ne andarono.
 ‘Nu libbro? Mah! M’assettai e cominciai a leggere. Era ‘na specie ‘e storia nostra, si chiamava Sodoma, l’autore era ‘nu bbuono guaglione del paese, Alberto Aviano, detto o’mellone (Alberto il pelato). Lo lessi dall’inizio alla fine quel giorno stesso, non mi alzai dalla poltrona nemmeno per pisciare. Ci stava tutta la storia del clan in quel libro, i nomi di tutti quanti. Il mio, no.
Lo lessi ‘n’ata vota nervosamente, forse avevo zumpato qualche pagina. Niente, non c’ero. Fu una vergogna mondiale, accumminciai a chiagnere. Nemmanco Alberto o’ mellone m’aveva cacato! Perciò pigliai o’ fierro e mi sparai.
Lo so, nun me lo dicite, nun è ‘nu suicidio originale, o’ ssaccio, ma fu l’unica vota in cui nun feci fetecchia. Ve pare poco?  

 

9 risposte a “‘O CAMMURRISTA”

  1. penso che il racconto risenta di un’anima che non si è convertita e non ha virato come invece vorrebbe dimostrare. Scritto certamente bene, non mette in luce la ferocia, che è la delinquenza fredda, quella che non si ferma a pensare, a riflettere,quella che fa, e basta.Quella che non torna indietro. Qui c’è ancora molta umanità.Penso inoltre che la mescolanza delle tipologie delinquenziali, di origine e nazionalità diverse, che nelle migrazioni giungono mischiate alla gente senza “macchia” contribuiscano non poco a rendere dura la costruzione di UNA verità.Qui la delinquenza è un fatto mobile, non immobilizzato. Ciao Gino e grazie.ferni

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  2. Grazie Nat, :-))))

    Grazie Fernanda. Questo è un personaggio surreale, un delinquente sfigato, un “corpo comico”. Il terrirorio teatro della vicenda lo conosco perché ci lavoro, e il mix etno-delinquenziale che sappiamo lì è ben poco presente, in quanto gli immigrati che delinquono si limitano alla bassissima manovalanza. La ferocia è tutta autoctona, e non è la cosa che volevo evidenziare attraverso il riso, la farsa. Sì, il protagonista non si è pentito affatto, ma rammaricato per non aver fatto carriera nella malavita, fino al suicidio. Io ho voluto mettere in risalto una sub-cultura delinquenziale radicatissima col paradosso ed il comico. La ferocia ottusa, che non pensa, purtroppo, la conosciamo bene, ed è figlia di quella sub-cultura, la si costruisce, viene dopo.
    Grazie ad entrambe per essere arrivate fino in fondo al raccontino che è lunghetto per gli standards internettiani.
    Un abbraccio

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  3. Bellissimo, ironico, ben narrato….costruisci una saga….inventati altri personaggi del genere….Renderli ridicoli è una buon modo per cominciare ad aver meno paura di loro…..E poi in realtà porelli, loro sono come quel povero Rottweiler, educati male e finiti male….non ho mai pensato che la colpa sia loro….chissà dove riesede questa colpa!

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  4. Grazie mille, Roberto. Quel povero rottweiler seguiva solo la sua natura, e per quello è stato ammazzato. La colpa? E’ sempre la stessa: accettare un sistema che sancisce che il profitto sia l’unico diritto inalienabile. E’ chiaro che poi uno interpreta questo “diritto” come vuole, diciamo “liberisticamente”.
    La libertà di arricchirsi non è una libertà.

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