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Ogni fiaba è un mistero – L’intervista a Marino Magliani

Di Annachiara Atzei

 

La mente di un narratore è sempre affollata di storie. Marino Magliani ha conservato a lungo nella sua quella del somarello marino Pippo – creatura acquatica, coraggiosa e nostalgica, che un giorno decide di emergere dal fondo del mare – per pubblicarla finalmente per i tipi di Hopefulmonster, nella collana Pennisole, sotto la forma di una misteriosa fiaba – anch’io voglio definirla così, come la quarta di copertina – dal titolo Materiali onirici di un somarello marino.
In un mondo capovolto, tra esseri incapaci di trovare la propria strada, assistiamo a un viaggio dalla direzione ignota e al tentativo di ritorno verso non si sa più quale meta o origine, ma soprattutto siamo testimoni del disfarsi lento della memoria, come se i contorni della vita del protagonista si cancellassero e tramutassero in sogno. Questo smarrire le radici, che contribuisce al senso di spaesamento in chi legge, corrisponde, però, al raggiungimento di una consapevolezza: quella di essere centro e margine di un grande universo.
L’autore dell’entroterra ligure, che negli anni ha fatto di molti luoghi il suo approdo e la sua casa, solo in apparenza si discosta da ciò che gli è più familiare e, in fin dei conti, crea un personaggio che molto ha a che fare con una parte neppure troppo nascosta di sé.

 


In questa occasione, per la collana Pennisole di Hopefulmonster, hai scelto di scrivere una fiaba, come a trovare una diversa – e forse, per te, nuova – chiave di lettura del presente. Qui, il protagonista – il somarello marino Pippo – tenta con coraggio l’impossibile…

Era da tanto che avevo in mente questa storia. A dire il vero, ne avevo buttato giù anche qualche bozza, e, in una stesura, il somarello marino emergeva dagli abissi e trovava la costa olandese. Poi, se ne perse il seguito in qualche canale e stentai a scrivere le avventure di un somarello marino che batteva la costa ligure. In effetti, è un racconto per ragazzini e adulti, e a tratti sì, assomiglia a una fiaba, senza rispettarne fedelmente il regolario, cosa che mi sarebbe stata ben difficile e mi avrebbe portato a navigare in acque lontane e pericolose.

Cristina Campo fece della fiaba un culto e a tal proposito scrive ne Gli imperdonabili che in essa “la meta cammina a fianco del viaggiatore”, come se non contasse la destinazione in sé, ma lo spirito che guida chi è in cammino, la luce che si irradia su ciò che egli crede di sapere. Mi pare sia così anche per Pippo. Sbaglio?

C’è qualcosa in comune tra le parole che riporti della Campo e il destino di Pippo. E c’è forse, al di là del viaggio e della ricerca di un ritorno senza più sapere verso quale luogo dirigerlo, un sentirsi al centro dell’universo e sentirsene, se non il centro, una parte di esso, cioè una parte di quel centro, e nello stesso tempo accorgersi ogni tanto di essersene liberato, appartenere a una provincia, forse ai margini.

In questo libro, la lingua, intesa anche come codice di comunicazione tra esseri viventi, serve a creare un immaginario: nuovi luoghi, accadimenti, compagni di strada, memorie. Nella lingua e nelle parole ciò che è effimero e ciò che è reale si incontrano. Sono questi i materiali onirici di Pippo?

Inizialmente, un compagno di viaggio e di acquario insegna a Pippo, o Pippocampo, che il linguaggio degli esseri dei Fondali era fatto di fischi e segni. Poi l’essere umano ha tentato di colonizzare quei luoghi e, se non le sue regole, ha imposto il suo alfabeto. I materiali onirici sono le tracce di una conoscenza perduta a poco a poco, che non permette a Pippo di individuare più il suo mondo, senza peraltro aver perso l’istinto di libertà.

Nel racconto, in cui tutto è sottosopra e il mondo degli umani fa da contraltare a quello marino con le sue inaspettate creature acquatiche, il protagonista prova un sentimento che è proprio degli uomini, cioè lo spavento, percepito come angoscia o, per dirla con Pippocampo, come “corrente contraria”. Si tratta di paura del futuro o più della paura di perdere il proprio passato, le radici?

Lo spavento “umano” che prova Pippo è uno spavento animale. La paura del futuro in realtà è solo la nostalgia del futuro, mentre il passato e le radici finiscono per formare solo il senso di dondolamento delle onde provocate da un motorino dell’acquario. Fino a quel punto, alla conoscenza delle onde. La memoria giunge nelle profondità abissali e non più, del resto, emergendo fino alla pelle del mare. Mai più Pippo sperimenterà il buio degli abissi.

Questa fiaba è dolorosa e misteriosa allo stesso tempo. Quanto ciò che hai scritto qui è lontano dal “solito” Marino Magliani e in che punto, invece, si ricongiunge alla tua idea scrittura e dell’essere narratore?

Sai, nel senso di paesaggio è lontanissima, ma forse neanche: gli abissi davanti alla costa ligure costituiscono solo il contraltare del fondovalle della regione in cui ho vissuto da bambino e ragazzo.  E tuttavia non posso neanche dire che questo racconto, per come l’ho scritto e per ciò che è, sia così distante dal mio mondo. Parla di un animaletto il cui nome ne contiene un pezzo del mio, un animaletto che decide di viaggiare, fin da bambino, come ho sempre fatto io, tra collegi e ancora collegi e coste catalane e isole, e pampe e coste olandesi, ma luì sì senza mai più risentire il peso di tutta l’acqua amica.


In copertina: Il sogno, Odilon Redon


 

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