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Nepal, a tratti

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In una nuvola di fumo pensavo e ripensavo all’odore dell’India, il Pasolini che avevo letto senza più ricordarlo…

Non India, qui, ma Nepal:
lingua di terra inarcata, scala
appoggiata al muro himalayano,
ponte per
il cuore dell’Asia.


Svastiche, rovesciate rispetto a quella nazista o anche esattamente nello stesso verso. Lo spettro dell’esoterismo, le sue forme, l’ombra scurissima di un nazismo magico riemerge da questo simbolo invece antico, di luce, di sole.
Tanto più che una sorta di “stella di David” compare a più riprese, con in mezzo un libro, ovunque vi sia un istituto educativo e nei villaggi, specialmente quelli più piccoli e poveri, si trovano ancora bandierine e piccoli manifesti con la falce e il martello. Sono residui della guerriglia maoista che per un decennio ha percorso le strade, prima che la monarchia cadesse, nel 2007.
Tre dei più potenti segni del Novecento riuniti qui…


Altre stelle, quelle del cielo, non si vedono, o s’intravedono a fatica. Inquinatissimo il cielo sopra Kathmandu, di un grigio che schiaccia il respiro, ed è polvere. Per questo e per effetto dell’umidità, l’Himalaya non si vede. Allora serve un piccolo aereo per poter aprire la botola del sottotetto-cielo-minore di questa valle.
Ecco finalmente l’altare immenso dell’Himalaya. Non più grigio, ma tutti i gradi possibili di un azzurro prima sconosciuto, dal finestrino.

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Lo Stupa, chissà cosa contiene. Conserverebbe una reliquia, ciò che lasciato dietro resta, o forse niente. I tanti più piccoli Stupa che si incontrano in viaggio, ma soprattutto Swayambhunath, con i macachi intorno, e Boudhanath: possibile che quelle cupole gigantesche simboleggino soltanto, che sia  la testa o l’intero corpo, il Budda? Stūpa significherebbe “grande quantità” o forse “ciuffo di capelli”. Ma non importa, il possibile “vuoto”, il “niente” di quei pancioni-testoni, è riempito dagli occhi, quelli svettanti sopra quelle enormità tonde, gli occhi “pieni” di compassione del Śākyamuni Siddhārtha, innalzati con il segno dell’uno e il terzo occhio a reggere le tredici tappe verso l’illuminazione. Occhi, sempre così difficili da raccontare, che lì contengono tutto; assunta la piega della pietà, fissano con fermezza i quattro punti cardinali, attraggono tutto e dispongono, senza che ci si accorga, della coscienza di chi li osserva.
Occorre superare la rabbia, l’ignoranza, il desiderio, racconta la nostra guida…

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Cremazioni a Pashupatinath. Il corpo, avuto in prestito, deve tornare al fiume o tramite il fiume a qualcuno-qualcosa, chi? – cosa? Io assisto con un silenzio fortissimo negli occhi alla fine del prestito, al modo in cui si compie. Da corpo a cenere, la remissione di sé a un’acqua, quella disastrata del Bagmati, che porti via.
Lucrezio, De rerum natura, III: “Il nascere si ripete di cosa in cosa / e la vita a nessuno è data in proprietà ma a tutti in uso”.

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Hindū viene dall’antico sanscrito vedico Síndhu, che indica il fiume Indo. Era animismo, all’inizio, si adorava la natura intorno al fiume.
Poi venne il tempo dei Trimūrti e i tanti milioni di divinità, delle loro manifestazioni.
Lo speciale sincretismo religioso tra Induismo e Buddismo è dappertutto, da Bhaktapur e Patan, nelle loro meravigliose piazze dove il tempo pare si sia fermato, alle colline dove si appoggiano i monasteri.
Così, mentre a Dakshinkali si assiste all’orrore (che proviamo noi) delle decapitazioni di galli e capretti perché il loro sangue sia offerto alla terribile e nera dea Kali, in un monastero poco distante si assiste ai dolcissimi mantra delle cerimonie buddiste.

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La popolazione del Nepal: tra le più povere al mondo, eppure così dignitosa, e gentile e mite. Incontrare gli occhi di questa gente, incastonati tra i bellissimi tratti di alcuni volti, è forse la meraviglia più grande. Sorridono, uniscono le mani e ti salutano: Namaste, ossia mi inchino al divino che vedo in te.

 

Cristiano Poletti

Una replica a “Nepal, a tratti”