Dopo mesi di lavoro e ricerca, finalmente ci siamo: a partire da oggi su Poetarum Silva potrete leggere in esclusiva le opere vincitrici della prima edizione del Premio Letterario Radici Urbane – I edizione, un’iniziativa nata in collaborazione con Requiem For a Film e Radici Urbane Festival.
Cominciamo con Riccardo Cabitza, giovane autore che con Cabudanne si è aggiudicato il primo posto all’interno della sezione La silloge del futuro.
La giuria, composta da Annachiara Atzei, Roberto Cescon, Francesca Matteoni, Giammarco di Biase e Francesco Ottonello, ha dedicato alla proposta del poeta queste parole:
La poesia ha colpito la giuria per la profondità del tema affrontato: il rapporto tra una voce poetica e una figura indefinita, dal corpo avvilito, ammalato, consunto. Un congedo luttuoso e intimo, che coinvolge il lettore proprio grazie all’ambiguità delle identità e all’intensità delle immagini. Non è chiaro chi parli e chi venga accudito – una figlia, una nipote? Giovane o adulta? – ma questa indeterminatezza amplifica l’emozione e apre spazi di interpretazione, in un gioco continuo di slittamenti metaforici tra corpo e paesaggio, natura e malattia.
Abbiamo incontrato il vincitore e dialogato con lui intorno ai temi fondanti della sua poetica.

Intervista a cura di Francesco Ottonello e Francesca Matteoni
Francesco Ottonello: La tua poesia sembra riprodursi in un tempo esiliato, come sospeso nel mito, di un settembre (‘Cabudanne’ in sardo) che rappresenta l’inizio rituale ma anche, circolarmente, la fine di una stagione. Un tempo trasognato, dunque, nonostante i costanti riferimenti alla concretezza e alla matericità. Forse anche in antitesi a ciò che ho espresso, sarei curioso di sapere come si esplica la poesia nel tuo quotidiano?
Riccardo Cabitza: Nella mia dimensione quotidiana la poesia nasce per una certa mancanza di accortezza, un quantum di istinti, di attività, di volontà che si oppongono a una qualche forma di prudenza di vivere; queste azioni fabbricano una memoria del presente (chiaroveggenza, chiaroaudienza o allucinazione) che argina strenuamente la vis inertiae, questa virtù prudenziale dell’essere umano che soffoca il suo stesso istinto vitale.
Francesca Matteoni: In questa raccolta l’elemento autobiografico è in costante dialogo con il paesaggio, quasi cercando risposte o segni di una memoria più vasta del singolo. Sembra avvenire, se non proprio una riconciliazione, una restituzione dell’umano ai luoghi familiari e ai loro elementi vivi, vegetali e minerali. Quanto riconosci della tua intenzione poetica in questo? Quanto la poesia nasce da un incontro di resa a voci altre e di volontà personale?
Riccardo Cabitza: In Cabudanne l’elemento autobiografico si pone, certamente, in una posizione dialettica nei confronti del paesaggio circostante; quest’ultimo se da un lato sostiene una trasformazione fisica atta ad allontanare l’estrema crudeltà della morte, dall’altro si presenta come custode lamartiniano della gioia incredula tutta infantile schiusa nel ricordo. Il paesaggio, infine, è anche rimedio medicale per preservare la salubrità del corpo, in quanto ospita il lavoro tra i campi, che, nell’antica tradizione orale delle comunità contadine nella Sardegna rurale, è sempre stato associato alla longevità; pertanto, è in questo allontanamento dall’orizzonte agreste che sono da ricercarsi i presupposti eziologici della morte prematura che affligge la figura femminile nella totalità dei componimenti.
Francesco Ottonello: In chiusura, poteresti indicare delle voci che rappresentano per te una guida nel panorama poetico contemporaneo? Senti di appartenere in toto a una comunità poetica italiana (o sarda), o ti senti attratto anche dalla tradizione poetica di qualche altra lingua?
Riccardo Cabitza: Sicuramente ci sono tre poeti da cui non potrò mai prescindere: Ferruccio Benzoni, Franco Buffoni, Amelia Rosselli. Infine, sento di essere particolarmente legato alla comunità poetica sarda, che tuttavia non considero estranea al panorama italiano, essa stessa è, difatti, bacino irriducibile di prosatori, poeti e artisti legati da un legame inscindibile con la letteratura italiana, anche quella più contemporanea. Per quanto concerne il rapporto con una lingua straniera sono particolarmente legato alla tradizione poetica della lingua francese, che ho sempre visto e vedo tutt’oggi come una seconda casa.
Cabudanne
La rinascita della montagna
Rimangono i semi alla rinascita della montagna
nei crinali sabbiosi del torace un chiarore di resina
perfora i granelli e scorona i tetti di stagnola.
Ti scrolli vicoli, zoccoli, l’alba, il mento sul polso
affinché il vento possa fiorire
sui tuoi bordi mutilati,
poi ricarichi i mortai di frutta sulle spalle
riabbracci i dardi di zucchero filato
affiggi gli anni violenti per le strade.
Le favole picconerebbero la pioggia mentre le vecchie
fisserebbero i crepacci delle strofe. Lì si rifugerebbero
i bambini per il vento che porta
le onde della steppa ai piedi delle aiuole.
Le gardenie
L’amorfo tuo cangiante restituisce
l’opulenza della notte in un gorgheggiare di betulle,
ma oggi le gardenie rivogliono un dolore, un bollore clemente
che sappia rinascere dal sole e colare sulla ringhiera
al riparo dalle costole di un iride-solicello
palliato in finissimi grovigli di rame
– spaesamento benigno sul collo della fede –
viburno che accompagna gli spigoli d’aprile
tappezzati sulla tua jersey bigarré.
Giugno
Lo sterrato rivestito dal picchiettio del sole
la vite gaudiosa e le albicocche nel cesto sul caminetto
da consumare dopo il pranzo, la menta minuta
nel ventre della vite alta, noi a tavola
sudditi fierissimi di un’estate.
Luglio
Nel lavabo i capelli tutti grigiolini
ti pettinavi allo specchio e io ti aspettavo
seduto nel bordo della vasca
lontane dal mare le nostre ritualità
fra gli scogli e le alghe bianche.
La vite
A settembre staccavi i grappoli gonfissimi,
sempre più fini le tue ginocchia stamani senza pioggia
d’un pallore roccioso le tue mani alla finestra
gli alberi tutti nudi, il paralume sul cassettone
i turbini di neve che non riescono a vivere.
venticinque settembre
Risali il dirupo
assolato nel rosa degli oleandri
un biascichio di luce ti conserva
slavata, coperta di salsedine.
Le traiettorie della montagna
In fondo all’abside l’indice d’un fanciullo
nudo a indicare le traiettorie della montagna
il mugghio delle greggi, il timo,
i cespugli di menta ripieni d’acqua,
nel garrito della montagna lo stridio
uniforme dei grilli,
nel viale spirali di bragia e fogliami
in uno spasimo di luce elettrica
la regolite lunare sui platani adombrati
quando il fanciullo rincasa esausto dalla vita
deserta nella lentezza della montagna,
in quell’ora impellente, dove sciamano le campane.
L’interramento alle sette
A quaranta passi, in un profumo d’ambrosia
i solai, le ceste, il vasellame,
l’erba sul ciglio prende calore, lo sterrato
in un sole bianchissimo.
Ingobbita mi allacciavi le scarpe, una carezza
al mio viso bugiardo.
Le gardenie nella morte portano settembre
precipite e un po’ di vita ancora.
ventinove ottobre
Le pillole generosissime nella custodia ambrata
lontano dalla montagna le ginocchia, le anche,
i tuoi costali tutti attillati, una sventagliata di salsedine
bassissima, due occhi nerissimi e smagriti.
αἰωρεῖ
Scheletrica con i capelli scioltissimi
manca l’acqua nella stanza da bagno, tutta verde,
la tavola sparecchiata, la tua regalità umiliante
lo strame soleggiato oltre la vite.
Riccardo Cabitza è nato a Cagliari nel 2003. Laureando con una tesi in Letteratura Greca all’Università degli Studi Cagliari, si interessa di poesia italiana contemporanea, narrativa postmoderna e postsovietica. Collabora con www.mediumpoesia.com.
Un ringraziamento speciale alle giurate e ai giurati della sezione poesia di questo premio, Annachiara Atzei, Roberto Cescon, Francesca Matteoni, Giammarco di Biase e Francesco Ottonello per l’instancabile impegno e la passione poetica.
In copertina: Egon Schiele, Piccolo albero nel tardo autunno, 1911,


Una replica a “Cabudanne, la silloge del futuro – Intervista a Riccardo Cabitza, vincitore della sezione poesia del Premio Letterario Radici Urbane”
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