Una rubrica di Annachiara Mezzanini
Perse, lontanissime da qui, in una strada labirintica, sconnessa, buia e maleodorante,
giacciono anime dimenticate. Anime che scalpitano a pochi passi da noi, in attesa di essere di nuovo viste, ascoltate.
Sono immagini bestiali, antropomorfe, emerse dalla fantasia di uomini nascosti nell’oscurità di un passato che oggi chiamiamo remoto.
Abominevoli entità sognate dalla mente umana e raccontate da voci sibilanti, sfinite, come quelle di una balia assonnata al calar del sole.
Figure antiche, ancestrali, mitologiche, popolari.
Si muovono lente dietro gli occhi delle generazioni: vecchi bambini cresciuti tra gorgoglii, sussurri, ululati. Presenze invisibili.
Ma quali forme abitano? Quali vesti indossano?
Chi sono questi mostri? Sono davvero mostri?
E quanta umanità vibra nei loro passi, su quel palco invisibile?
Quanta bestialità si cela in noi, spettatori ossessionati?
Jorge Luis Borges provò a descriverli, raccogliendone i tratti in un catalogo fantastico,
un grimorio fatto di carta e inchiostro, capace di parlare a grandi e piccoli di un mondo popolato da creature viscide e contorte — presenze perenni in epoche perdute, ora ridotte a polvere, memoria e speculazione. Sono visioni necessarie, pretesti e spiegazioni per ciò che i nostri occhi non riescono a comprendere.
E nella melassa del nostro tempo — dove i veri mostri indossano maschere di carne e sangue —
queste immagini chiedono di tornare.
Sono ancora nostre.
Popolano le nostre paure e i nostri sogni.
E le voci che per prime le narrarono sussurrano ancora,
tra le sinapsi iperstimolate dal vuoto.
Queste sono le nostre bestie.
Rinate dalla cenere della memoria e dall’ossessione umana.
Questa è una nuova stagione de La Melassa.

