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Quando tornerai sulla terra – Intervista a Silvia Atzori

A cura di Annachiara Atzei

 

C’è, in noi, una parte perduta che vuole essere riportata alla luce e ci sono momenti del nostro vissuto che riaffiorano e rivendicano uno spazio. In Quando tornerai sulla terra, la sua raccolta d’esordio per Arcipelago Itaca, Silvia Atzori va alla ricerca di quei frammenti smarriti adottando come meccanismo di ricongiungimento degli opposti l’artificio letterario del dialogo, sia esso con un sé talvolta effimero talvolta più tangibile, sia con l’altro da sé, cioè i luoghi del vivere quotidiano che lo urtano e lo attraversano e che, qui, simbolicamente rappresentano gli inferi del mito. Non a caso, la protagonista del libro è Proserpina, relegata nel regno dei morti e ad esso strappata a seguito di un patto divino. A partire da un fatto traumatico, utilizzato come filtro della realtà trasfigurata oggetto di narrazione, l’autrice indaga un conflitto ancora da dirimere, una scissione e la sua ricomposizione, dinamica costante e cifra del suo sguardo sul mondo da cui deriva tutta la sua poesia.

 

 

 

Quando tornerai sulla terra è un libro sfaccettato, nel quale alla complessità degli argomenti trattati corrisponde un impianto narrativo e dei testi ugualmente strutturati, in particolare per la pluralità di voci che essi accolgono e che si notano, in alcune parti, anche sotto l’aspetto grafico. Come hai lavorato per dargli vita?

La riflessione sull’aspetto macrotestuale di questo libro è stata davvero importante e vi ho dedicato molta attenzione. Infatti, ha costituito, per me, il passaggio da un tipo di scrittura più frammentaria, contingente, personale e diaristica a un tipo di scrittura orientata al progetto-libro e, quindi, agli altri. Ho iniziato scrivendo testi che generavano da occasioni diverse, date dall’incontro di materiali plurimi (esperienze biografiche mie e altrui, suggestioni letterarie, immagini…) e, dunque, si presentavano come oggetti singoli. Nonostante ciò, mi sembrava che questi testi si richiamassero a vicenda, per omogeneità di tono, per ricorrenza di immagini; che avessero un sostrato comune, insomma. Ho coltivato queste isotopie e gradualmente mi sono resa conto che si andavano costituendo un immaginario e un mondo sempre più definiti, un po’ come accade per la dimensione finzionale a cui si accede leggendo prosa, e tale dimensione è diventata essa stessa materia poetabile, argomento. Infine, ho lavorato sull’ordine dei testi, tentando di dare una struttura narrativa, di raccontare una storia. Inoltre, ho voluto mantenere e amplificare alcune costanti stilistiche (che giustamente hai rilevato, come la pluralità di voci espressa dall’aspetto grafico) perché esprimono dei nuclei poetici fondativi del libro, ad esempio la scissione dell’io, che, tramite il suo costante riguardarsi da fuori, si separa da sé e produce, quasi per gemmazione, un personaggio, dotato di voce. Il campo testuale risulta, quindi, permeato da più istanze enunciative, che credo siano il riflesso dei diversi punti di vista prodotti da una riflessione (forse, a tratti, ossessiva) sulla realtà.

La raccolta inizia con un testo intitolato Notitia criminis  nel quale descrivi un evento traumatico. Come si collegano il trauma, il senso di colpa – tema anch’esso indagato – e il sopravvivere nella quotidianità? Che ruolo ha, in questo, la poesia?

Mi capita spesso di dire che questo libro è la storia di una prospettiva. Il fatto traumatico che genera la narrazione non è importante in sé, non è necessario ricostruirne voyeuristicamente la fisionomia specifica. Ciò che conta è che esso genera una prospettiva attraverso la quale tutta la realtà viene filtrata e trasfigurata. Se nella dimensione extratestuale e nel fondamento esperienziale (che è un aspetto assolutamente trascurabile nell’economia del testo) essa è chiaramente una condizione post-traumatica, nella riflessione poetica questa è un tentativo conoscitivo di rappresentare la violenza, il pericolo insito nella realtà, di discendere all’interno di una ferita e indagarla. Io credo che la poesia debba incaricarsi di questo descensus, indagare quei rapporti conflittuali, anche violenti, che soggiacciono alla realtà; deve scomodare, scuotere, straniare e solo poi, eventualmente, lasciare aperte vie di fuga.

Il corpo, qui, percepisce ciò che accade fuori ed è testimone, in ogni sua parte, anche di ciò che succede più intimamente. Può essere considerato come soglia? È permeabile? Cosa è capace di fermare, cosa di trattenere? Di cosa necessita e cosa invece rifiuta?

In questo libro, il soggetto possiede una dimensione fisica e materiale molto pronunciata. Spesso è preso in considerazione proprio in quanto corpo, sia come risultato di un procedimento di distanziamento dell’io da sé, sia in quanto ricettacolo di esperienze, di urti con il reale. Quindi sì, è una soglia e non solo: è portato a trattenere costantemente ciò che lo attraversa e a rielaborarlo,
facendo reagire i diversi stimoli fra loro e generando cortocircuiti. Il soggetto-corpo di questo libro non rifiuta nulla, non riesce a non offrirsi agli urti con gli elementi del reale, anche se ne ha spesso paura, ma è portato a non voler sprecare nulla e ritornare costantemente su ciò che trattiene, sfiorando i meccanismi di coazione a ripetere. In tale atteggiamento mi sembra di rivedere il meccanismo stesso con cui, forse, nasce gran parte della poesia di Quando tornerai sulla terra.

Emily Dickinson scriveva: “Io sono Nessuno! Tu chi sei? / Sei Nessuno anche tu? / Allora siamo in due! / Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!”: l’identità individuale si costruisce nel dialogo e nel rapporto con l’alterità e mi pare che questo succeda anche nei tuoi componimenti, quasi ci sia una creatura da riportare alla luce. È così?

L’ultima sezione del testo, intitolata, appunto, Due nomi, tenta di portare definitivamente sulla scena la massima scissione del soggetto, di far convergere la dispersione pronominale delle precedenti sezioni nella dimensione del dialogo. Esso è fittizio dal punto di vista dell’occasione da cui scaturisce il testo, poiché l’esperienza che lo genera è la sensazione di separazione del sé da sé stesso, provocata da un atteggiamento eccessivamente analitico; tuttavia, è un dialogo a tutti gli effetti quello che appare nella dimensione finzionale che il lettore abita leggendo il libro, e che è l’unica dotata di valore. Quindi sì, c’è effettivamente un’alterità che si affaccia dalla pagina e un tentativo di relazione con essa. La creatura che si tenta di portare alla luce è proprio Proserpina, protagonista del libro e guida dell’io lirico: essa è la parte perduta di noi, così come sono perdute tutte quelle parti della vita che non sono più, ma che costantemente vengono rievocate e ci abitano. È anche il personaggio che discende nell’abisso e lo abita tanto quanto la superficie.

Chiuderei facendo un riferimento all’accostamento, all’interno del libro, di parole e immagini, come se queste fossero elementi che integrano il dispiegarsi dei versi. Come le hai scelte e con quale intento?

Le immagini sono state un bellissimo regalo di una cara amica e incredibile fotografa: Elena Fornasieri, che ringrazio. Il merito è interamente suo che, dopo aver letto una selezioni di componimenti della raccolta, scattò alcune fotografie degli ambienti urbani e metropolitani milanesi. Guardandole, mi è sembrato cogliessero perfettamente l’atmosfera che volevo permeasse il libro e, quindi, ho deciso di inserirle a sostenere ulteriormente l’impianto narrativo e di tono dell’intero progetto.
*

 


Cinque poesie da Quando tornerai sulla terra (Arcipelago Itaca)

NOTITIA CRIMINIS (I)

Le hanno cucito qualcosa nella stoffa del vestito.
Il presagio del lutto – gli occhiali

ancora non li portava oppure
erano frantumati.
Una borsa di tela – il portafogli – i documenti
quando ancora non li aveva persi. Nel passaggio
non ti serva avere un volto
o attributo iconografico.
La bocca ha un rivolo di sangue – i denti sono sani.
L’hanno fatta stendere perché non tremi.
L’orecchino destro è rimasto sulla terra, opaco per lo schianto:
il pegno è stato pagato. Adesso
dovrà elencare le sue colpe prima di continuare.
Non ti cercheranno qui ma il debito
non si scorderà di te.
La flebo – l’odore del disinfettante – incantamento – insetticida
lo sguardo di tua madre senza domande – le lenzuola
pulite – il libro.
Solo tu ricorderai

tutto questo, quando

tornerai sulla terra…

 

 

da Descensus

 

III
M1-Cadorna FN Triennale

In questa discesa non si cerca Proserpina
tutto sommato questo è il terzo anno
che ti fai strada qui senza lanterne
senza più scarpe, con le cornee
consumate reggetevi ai sostegni
dal buio inumidito dell’insetticida.

Proserpina qui non la puoi trovare. Ad aprile
qualcuno l’ha vista indossare un prendisole
sotto l’impermeabile crudele.
La vita è altrove sulla terra e qui
apertura porte a destra
qui ormai non è rimasto nessuno.
*

XIV

È una città quasi priva d’aria, quella
che c’è pare illusione ottica.
Qualcuno muove da lontano e con pigrizia
gli oggetti uno per uno: tutto
è denso di polvere
e sole, polvere e sole.
Gli occhi ci si abituano e si schermano di giallo, fanno
la loro patina la cancrena
del caldo sui muri allucinati.
Senza riparo: cadrà su tutti.

Forse è per questo che hanno detto
realismo magico forse
per questo da piccola mentivo, per vedere
la finzione
staccarsi dalla lingua e camminare.

da Due nomi

L’inferno è questione di prospettiva – mi pare
abbia detto anche più di una volta.
Devo averle dato ragione, alla fine
non posso biasimarla se per me
tutte queste cose non hanno sovrasensi:

non vedo le ossa rotte dentro i corpi, nessun
segnale da interpretare se fuori sulla strada
il lampione produce un ronzio. Solo
cerco ancora di diagnosticare
la presenza di una scheggia nel lobo occipitale.
*

Ho creduto a un nome che non è il mio.
Il girasole incollato in foto sulla pagina
la data l’ora il peso e ciò che manca:
una giacca di camoscio con le frange, la madre
di mia madre senza utero, il transfert, la seconda
possibilità del gioco.


 

Silvia Atzori è nata nel 1998 in provincia di Varese, dove vive e lavora come insegnante di lettere. È redattrice di Medium Poesia. Suoi testi e articoli sono comparsi su diverse riviste, testate giornalistiche e blog. Ha partecipato ad alcuni progetti legati alla scrittura poetica, tra cui la prima edizione del laboratorio La poesia si fa città, presso l’Università IULM. Nel 2023 è risultata tra i vincitori di Pordenonelegge Esordi.


In copertina: Ratto di Proserpina, Nicolò Dell’Abate

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