,

Dicembre narrativo – Guarda il caso, Serena Votano

Il nostro #dicembrenarrativo prosegue con questo racconto di Serena Votano. Leggetelo e poi provate a rispondere a questa domanda: qual è la differenza fra caso e destino?

 

 


Guarda il caso

 

Andare in bici mi piace perché è uno di quei momenti in cui il caso non mi sorprende più. Spingo i pedali e direziono il manubrio, poi lo lascio andare e seguo il tempo nelle cuffie. Quando la ciclabile è una strada dritta, senza ostacoli, inseguo l’onda verde mentre ascolto Alright dei Supergrass. Ci sono poche cose che non sopporto in quei momenti lì: l’autista molesto che mi attacca il clacson perché non sa stare nella sua corsia, il freno anteriore che fischia perché mi son dimenticato di cambiarlo, il box delle bici senza posto perché dei cretini hanno scelto di chiudere il bikesharing davanti alla rastrelliera occupando inutilmente tutto lo spazio. Così scendo dalla bici, la gamba del pantalone s’incastra con il pedale sgangherato e quasi inciampo. In Piazza Duomo è sempre impossibile distinguere l’origine del caos: incroci di persone, macchine, tram, un posto in cui lasciare la bicicletta per qualche minuto. Sistemo lo zaino sulle spalle, accosto davanti al primo palo. Arriccio la catena tra il telaio e la ruota, il lucchetto fa clack.
Dall’altro lato della strada il semaforo è rosso, l’assenza di tram o macchine nei dintorni convincono i timidi pedoni ad attraversare la strada a passo svelto e incerto, sempre attenti a non inciampare tra le rotaie e i sanpietrini. In via Mazzini, una moto in lontananza vede il semaforo giallo e, pur di non beccare il rosso, accelera I pedoni, avvertiti dal motore rombante, istintivamente indietreggiano fino al punto di partenza, sul marciapiede, in attesa che scatti il semaforo verde. Ma sulle strisce pedonali c’è una donna. È indecisa se tornare indietro o correre dall’altro lato, sembra fare uno strano ballo sulle strisce prima di spingersi in avanti. La ruota anteriore strofina la busta di Zara della donna e la paura si riduce a nient’altro che uno spavento di pochi secondi per lei che adesso, carica di adrenalina, scompare sotto il portico della Mondadori.
Controllo su Google Maps dove precisamente si trova il negozio in cui devo andare.
Il primo è in una traversa di via Torino, tra Foot Locker e Portobello, e lì mi dirigo. Penso alle parole giuste da dire ma mi vengono in mente solo frasi scomposte, sbagliate o affrettate. Non riesco a camuffare il fatto che in realtà di questo campo non so niente.
«Buongiorno!» mi dice un uomo dal volto olivastro. Il negozio in cui ci troviamo è uno spazio strettissimo, di dieci metri circa, dove io stesso mi sento ingombrante.
«Buongiorno, volevo chiedere il valore di questa moneta».
Tiro fuori dalla tasca un sacchetto di velluto rosso, faccio scivolare sul palmo una moneta che gli cedo senza far trapelare l’incertezza del gesto.
L’uomo la appoggia su una bilancia, sotto una lente d’ingrandimento. Calcola velocemente il valore dell’oro mentre io non riesco nemmeno a verificare il peso della moneta. Intorno a noi, tre pareti vetrate che espongono varie monete e banconote che non conosco.
«Posso darti 500 euro per questa».
«In un altro posto mi hanno proposto di più». Faccio un tentativo.
«Il valore dell’oro è questo».
Non si scompone. C’è l’aria condizionata ma inizio a sudare. Vale davvero qualcosa.
«Ma dove l’hai trovata, se posso…».
E io non lo so. Non ho proprio memoria del luogo in cui mi è stata data quella moneta. Forse al Tabacchi, quasi sicuramente era il resto di un cassiere. Ho un’idea vaga, ma il primo vero ricordo della moneta risale alla partita di calcetto fatta settimana scorsa.
Finito di giocare, sentivo un crampo alla gamba ma niente di invalidante.
Emanuele mi aveva chiesto un passaggio in macchina, mentre Pino mi stava dicendo: «Ho pagato per te».
Ecco un’altra cosa che proprio non sopporto: sentire il peso delle monetine che tintinnano nel taschino del portafoglio. Avevo fatto una risata meschina e Pino aveva subito capito cosa avevo in mente.
«No, fra’, hai tutti questi spicci?».
Sei euro in monetine da dieci, venti cent e pochi euro.
«No, mi paghi una birra domani sera».
«Domani ho il turno di notte al giornale».
«Eh, vabbè, mandameli con PayPal, non cambia niente…».
«No. Tiè, pigliati ‘sti spicci».
«Ma dai, una moneta non è nemmeno da venti centesimi, ma che cos’è?».
«Posso vederla?» chiede Emanuele. Mano aperta, aveva aspettato che Pino gliela passasse.
«Ah, chissà dove l’ho presa…»
«Non lo ricordi? Qual è stata l’ultima cosa che hai pagato?».
«Sarà stato dal fornaio o al supermercato… Ormai pago tutto con la carta.».

Non ho mai capito quale fosse la testa e la croce di una moneta, da un lato aveva un uomo a cavallo che lotta contro un drago. Anno 1913. Dall’altro lato, il volto di un uomo dai pochi capelli, barbuto e baffuto, con un’incisione intorno al volto: erano anni? Luoghi? Non era chiaro, ma il nome del sovrano, sì.
«Fammi controllare su Internet».
Nella barra di ricerca di Safari, Emanuele aveva scritto: Moneta d’oro 1913 Georgivs.
«Fra’, il primo risultato è 6.500 euro».
Lo avevo guardato come guardo mia madre quando cerca i sintomi di una malattia su Google e pensa di essersi appena diagnosticata un tumore.
«Però questa è del 1911. Le altre sono tra i 500 e i 700 euro».
«Ma tu guarda il caso…».
«Perfetto, quanti calcetti mi vuoi pagare?».
«Ma no, raga, ma non varrà niente…».
«Ma chissene, mettila su eBay» aveva proposto Ema, restituendomi la monetina che riposi nel taschino del portafoglio. «Guarda!».
Aveva sfogliato gli annunci nella barra in alto incitandomi a vendere la moneta. Che ci credessi o meno, probabilmente valeva qualcosa.
«Ma quanto devi essere idiota per comprare una moneta su eBay? Il rischio truffa è dietro l’angolo, no?».
E poi la sera dopo era stato un mio collega giornalista  a suggerirmi due posti in zona Duomo.

Ci sono giorni in cui fare il giornalista da una postazione fissa diventa frustrante, soprattutto quando su Internet le notizie interessanti scarseggiano. Ma è più frustrante sapere che tra qualche giorno il mio contratto finirà e non verrà rinnovato. È così che funziona in questo settore e sapere che non dipende da me mi fa sentire impotente. Insomma avevo fatto una veloce ricerca su diverse agenzie, avevo anche provato a controllare se ci fossero particolari ricorrenze per il giorno dopo ma nulla. In questi momenti i giornalisti “senior”, miei colleghi, non sembrano essere particolarmente preoccupati e, anzi, sembrano quasi godere di quello spiraglio di leggerezza in cui l’unica cosa da fare è ingannare la notte. Si erano tutti dileguati nel cortile interno, chi per fumare una sigaretta, chi per bere un caffè all’aria aperta o per non rischiare di addormentarsi sulla tastiera. È stato allora che Guido mi ha chiesto di raccontare qualcosa della mia vita. Non capita mai e non ho molto da raccontare, da quando ho iniziato a lavorare su turni non ho molto tempo per fare nulla. E poi non mi piace parlare della mia vita personale, quando capita è tutto un Eh, boh, mmh….
Così Guido aveva affinato la domanda: «Cos’hai fatto ieri sera?».
Calcetto, facile. Una partita e poi la moneta. Avevo aggiunto questo dettaglio non perché lo ritenessi importante ma perché mi sembrava l’unica parentesi di vita degna d’attenzione.
«Ce l’hai qua?».
Avevo tirato fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans e scavato con l’indice tra le monete, cercando di riconoscerla a colpo d’occhio.
«Fa’ vedere».
Guido aveva appoggiato i piedi sulla cassettiera della scrivania ed era come affondato nella sedia girevole. L’aveva studiata con attenzione, arricciando i baffi. «Non varrà niente, un cassiere avrà provato a liberarsene e ha beccato me che non controllo mai il resto.»
«Non sai dove?».
«Ma va…».
Guido era entrato in modalità Barbero e aveva spiegato: «La prima moneta di re Giorgio V fu coniata nel 1910, tre anni prima di questa, fino al 1931, quando la Gran Bretagna uscì dal Gold Standard».
«E quindi?».
«Quindi sei andato in un negozio di numismatica?».
Avevo provato a spiegare a Guido la stessa teoria condivisa con Ema la sera prima, e cioè che una moneta di valore non capita per caso nel portafoglio di chiunque. Se è in libera circolazione vuol dire che non ha alcun valore.
«Te vai in un negozio di numismatica, e poi dimmi se non ha valore».
«Ma non saprei nemmeno cosa dire, dove andare…».
«Ciao, ho questa moneta, ditemi quanto vale». Facile. «E quando ti dicono una cifra, tu gioca al rialzo. Saprai contrattare, no?».
Mentre Guido mi mostrava due negozi su Google Maps, avevo pensato: Ma sì, non ho nulla da perdere. Sarei andato in quei negozi, avrei mostrato la moneta, mi avrebbero detto che ero stato fregato e tanti saluti.
Ripongo la moneta nel sacchetto di velluto e dico: «Non so dove l’ho trovata. Ma voglio farla valutare bene prima di venderla», senza dare troppe spiegazioni.
«Puoi andare dove vuoi ma il suo valore è l’oro».
500 euro non è una cifra da capogiro, ma alleggerisce un po’.

Mi chiedo se è una follia trovarmi in questo posto mai notato prima a chiedere il valore di una moneta con il timore di farmi fregare, ma finalmente la certezza che vale qualcosa. Ogni uomo crea la sua fortuna solo se sa cogliere nel caso l’occasione da sfruttare. E io che non credevo in nulla di tutto ciò, avevo scelto di seguire l’istinto. Ma fino a un certo punto. «Ok, grazie».
Sento macchie di sudore sulla schiena che provocano brividi di freddo nei momenti in cui mi sposto sotto il getto dell’aria condizionata.
Esco di fretta e mi dirigo verso il secondo negozio di numismatica qui in zona. Tanto vale tentare la fortuna per la seconda volta.
Indosso gli occhiali da sole ed evito il marciapiede invaso dai primi turisti dell’estate. È ora di pranzo e il profumo della pizza si mescola all’odore della frittura o della cipolla, della carne alla brace. Ma non ho fame.
Quella sera in macchina Ema mi aveva chiesto: “Quindi con i soldi della moneta cosa faresti?”.
Non sapevo cosa rispondere. Farla valutare non era nemmeno un pensiero remoto, né sapevo quanto avrebbero potuto darmi – se 500 euro o davvero 6.000 – figuriamoci se avevo in mente qualcosa di specifico. Non ci pensavo proprio. Pensavo solo al fatto che è difficile trovare un altro lavoro in pochi giorni. Ma era un dilemma senza soluzione.
Ho iniziato a pensarci, credo, solo adesso che il rischio è diventato possibilità: se questa è fortuna, meritarla vuol dire non cedere al primo tentativo ma giocare al rialzo con la vita.
La bussola di Google Maps sembra aver perso l’orientamento. Alzo gli occhiali sulla fronte, tiro indietro i capelli, per vedere meglio lo schermo. Individuo la via e mi trovo davanti a un negozio ben diverso dal precedente.
È molto più grande e ombroso, da fuori intravedo il disordine che regna al suo interno.
Entro e ci sono altre persone in attesa. Due donne contrattano in inglese sul valore di alcune lire da comprare a quest’uomo sulla sessantina, un po’ sovrappeso, con una t-shirt grigia scura e scolorita, come i capelli ricci e lunghi che tiene legati dietro il collo.
Sento puzza di truffa da qui, davanti alla porta di vetro. O forse è vernice.
Mi chiedo il perché i turisti abbiano questa smania di comprare vecchie lire mentre si trovano in viaggio in Italia, ma proprio quando sono certo di aver distinto se il loro è un accento britannico o americano, ecco che un ragazzo poco più alto di me, ma più giovane, fa il suo ingresso nel negozio, ignorandomi. Capisco che è del posto perché spalanca la porta e sposta una scatola per fermarla. L’uomo al bancone  gli chiede: «Hai dimenticato qualcosa?».
Il ragazzo è di fretta: «Dove hai messo la borsa?» chiede mentre scompare in una stanza laterale.
L’uomo apre le braccia e alza le mani come se volesse pesare l’aria. Le due donne ripongono i portafogli dentro le borse e fanno per uscire, si sussurrano frasi che non riesco a sentire.
«Prego» dice a me l’uomo.
«Buongiorno. Volevo sapere il valore di questa moneta.»

Sulla fronte stringe degli occhiali da vista dalle lenti spesse, gli basta alzare le sopracciglia per ritrovarseli sul naso. Inclina leggermente la testa, guarda meglio la moneta che stringe tra pollice e indice e afferma: «230».
E in questo momento vorrei avere lo stesso sguardo imperscrutabile di Guido. Altro che saper contrattare, qui serve fiutare la truffa.
«Mi hanno detto che l’oro vale di più».
«No, questa non può valere di più. Non è una moneta rara».
«A dopo». Non avevo sentito il ragazzo alle spalle sorpassarmi con uno zaino tra le mani.
Stringo in pugno la moneta mentre saluto ed esco, consapevole che arriverò in redazione con cinque minuti di ritardo. Ma avrò questa storia da raccontare.
Cosa faccio, cerco un terzo negozio o, come suggeriva Ema, pubblico un annuncio su eBay? Se la fortuna dipende da me, non ho nessuna fretta di scegliere adesso chi sarà il prossimo proprietario di questa moneta. Sfruttare questa occasione non vuol dire risolverla il prima possibile e nemmeno aspettare il miglior offerente, credo che aspetterò il momento in cui questi 500 euro mi serviranno davvero.
Se c’è una cosa che mi ha sempre dato fastidio sono i modi diversi in cui definiamo il caso o il destino: quando succede un’imprevedibile cosa bella diciamo che è un caso, quando la vita prende una piega imprevista è destino. Come se nulla dipendesse di fatto di noi. Io non credo che sia così. Credo che la vita si un infinito match point, sono e nostre azioni e distrazioni a determinare il gioco. Diamo una tale importanza ai piccoli gesti che le grandi decisioni le prendiamo talmente d’impulso da cadere nel tranello della scelta peggiore, quella che sembra un’ottima idea e invece è soltanto fretta di… non so bene cosa. Ogni scelta di per sé è potenzialmente un errore.
Io vorrei solo dimenticare che tra qualche giorno potrei non avere più un lavoro. E dove si parte per ricostruire il futuro?.
Sono davanti alla vetrina quando noto che il ragazzo sale su un motorino. Prova a incastrare lo zaino tra la schiena e il bauletto mentre mette in moto senza vedere che di fronte a sé c’è un taxi fermo, in attesa della salita delle due clienti di prima. E io non faccio nulla per fermarlo. Ho come perso la forza. Lo vedo che accelera e sento una voce dentro di me che vorrebbe gridare: “No!”, mentre una forza contraria mi immobilizza.
È un attimo e, nell’impatto di vetri infranti, il motorino crolla a terra ma il corpo rimane incastrato nel lunotto.  Un gruppo di persone si avvicina alla macchina e al corpo, faccio appena in tempo a scorgere il sangue macchiare i vestiti, mentre tutto ciò che vorrei fare è tornare indietro, indietro, indietro. Se c’è una cosa che mi spaventa è la superficialità delle nostre azioni: la vita ci sfiora e ci sfugge, come in una pessima roulette russa in cui solo all’ennesimo colpo vuoto capisci di avere tra le mani una pistola giocattolo. Oppure, fatalità, muori al primo colpo e del tuo passaggio sulla Terra non resta nulla.
Sono troppe le vite che incrociamo e poi scivolano via. Solo ora mi rendo conto di non avere mai fatto attenzione al volto del ragazzo. Penso alla moneta e mi rendo conto che la sto stringendo in un pugno. Sento pulsare i segni delle unghie sul palmo. In un momento inizio a odiarla, ed è come una liberazione. Perché adesso di quella fortuna che intravedevo nella misteriosa scoperta di un oggetto nuovo non resta che un alone, l’ombra di un’occasione ormai sbiadita. 

 


Serena Votano, classe 1996, ha pubblicato diversi racconti per QuaerereMalgrado le moscheAltri animali, Palin magazine, Topsy Kretts e L’Indiscreto. Fa parte della redazione Poetarum Silva.


In copertina: César Baldaccini, Compression, 1990, bicicletta compressa

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.