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Infinite quest – Su PMA, figli, giovinezza e relazioni liquide. Dialogo con Caterina Perali (una rubrica a cura di Giulia Bocchio)

A ogni sfaldamento dell’endometrio, sembra scattare un conto alla rovescia nei confronti del tuo apparato riproduttivo.
Questo succede soprattutto se hai un utero ma non un figlio, come se le ovaie si trasformassero in una fatale clessidra, messa lì per scandire socialmente e biologicamente (ma soprattutto socialmente, diciamolo) il ruolo naturale del tuo corpo. Decidere di avere o non avere un figlio è una possibilità contornata da variabili diversissime anche se potenzialmente connesse fra loro e che hanno a che fare con macroargomenti che inglobano accessibilità, diritti, politica e condizione economiche.
L’autodeterminazione, però, passa sempre dalla possibilità di poter scegliere liberamente di come disporre del proprio corpo, o almeno dovrebbe. Quello della donna è da sempre normato, soggetto a vincoli e giudizi che rappresentano bias culturali ben radicati. Ma viviamo anche in un presente che non può non fare i conti con la tecnologia, e con le sue implicazioni (anche morali).

Mentre leggevo Come arcipelaghi, l’ultimo romanzo di Caterina Perali, edito da Neo Edizioni, sui giornali usciva la notizia che la GPA (la gestazione per altri), in Italia, diventa reato universale. Privatamente ho discusso con diverse persone riguardo al tema dei figli, della PMA, e della GPA. Ogni volta, al di là delle polarizzazioni che si incontrano quando ci si avvicina a decisioni che apparentemente sembrano binarie, quello che emerge sono le storie personali, ognuna con un nodo di dolore al suo interno, ognuna con la sua anima irrisolta e che aiuta a ricordare un aspetto che ci riguarda tutti e tutte: siamo figli e figlie della nostra stessa finitudine.

Anche qui di seguito c’è una storia.

 

 

G.B.: Chi è genitore di solito dice che c’è sempre un prima & un dopo la nascita di un figlio. Però c’è anche tutta una parte, forse più sommersa ma altrettanto cruciale, relativa alla decisione di averlo o non averlo, un figlio. Sembra binaria questa posizione, ma non la è, perché quando si tratta di figli nessun ragionamento o desiderio è davvero libero da bias culturali ed economici che ancora oggi ci influenzano. Jean e Chiara, i due personaggi principali del tuo romanzo, abbracciano due esistenze diverse, due differenti forme di autodeterminazione, la prima persegue una vita senza figli condivisa a distanza con il compagno di sempre, la seconda nutre un forte desiderio di maternità che trascende l’essere in relazione e che la condurrà verso un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita. Quest’ultima per una donna single, ma anche per le coppie omosessuali, non è legale in Italia e bisogna rivolgersi a cliniche estere, come quelle in Spagna, con tutte le difficoltà pratiche ed economiche del caso. Com’è nata l’idea di scrivere una storia legata al tema della PMA e che quindi affronta temi di giustizia, diritti riproduttivi, etica sociale e futuro delle relazioni familiari?

C.P.: La consapevolezza di parlare di diritti è arrivata dopo. La mia idea era raccontare il momento che precede la scelta di provare ad avere una discendenza o meno, prima ancora di verificarne la fattibilità, quando sembra che il mondo intero stia procreando e che tutto giri solo attorno alla maternità e ai figli, mentre tu ti senti ancora in seconda liceo. In un personaggio come Jean, con una relazione sospesa, quasi liquida, quel momento rappresenta la fine della giovinezza, o meglio, dell’illusione di un’eterna giovinezza. Quando in realtà il coraggio di decidere non toglie alcuna poesia alla vita, ma al limite ne accresce la consapevolezza. Il tema della PMA è arrivato in un secondo momento, quando ho iniziato a intervistare una donna che stava per intraprendere quel tipo di percorso in Spagna. Accompagnandola per più di un anno, tra preventivi, prescrizioni di farmaci, gioie e lacrime, ho trovato sempre più ingiusto che non potesse avvalersi di quei trattamenti in Italia. Ho sentito la sua solitudine e tanta ingiustizia. Questo libro parla anche di questo, il tutto dal punto di vista di Jean, che nella vita fa una diretta giornaliera su Instagram di Sostegno generico, in cui parla di tutto senza mai approfondire davvero nulla, ma non vive di quello, ci tiene a dire quando si presenta, vive di rendita. Ho cercato di alleggerire la tematica, senza per questo toglierne valore o profondità.

G.B.: Il corpo della donna è sempre al centro del dibattito: normato, giudicato, stereotipato. Da questo punto di vista l’Italia ha ancora molta, moltissima, strada da fare. Nel frattempo adesso, se hai un utero, socialmente e biologicamente, dovrai farci i conti. In un futuro in cui la procreazione medicalmente assistita potrebbe emancipare completamente l’essere umano dai vincoli biologici e dalle strutture di genere, possiamo immaginare una società in cui la riproduzione non sia più un processo legato al corpo in senso tradizionale, ma una scelta sociale, collettiva e tecnologica?

C.P.: Sì che la possiamo immaginare, non so se mi piacerebbe, ma per come si stanno evolvendo le cose, di sicuro non succederà in Italia, almeno nel breve periodo. La PMA al momento mette già la relazione uomo – donna a non essere più la condizione ineludibile per avere figli. Inoltre scinde la sessualità dalla riproduzione, e la genitorialità biologica da quella sociale, dove i vincoli di sangue non rappresentano più una condizione necessaria per essere genitori ed esercitare le responsabilità genitoriali. Anche per questo è importante che ci sia un riconoscimento sociale e normativo dei nuovi modelli familiari, questo a prescindere da un giudizio personale sulla questione.

G.B.: C’è un capitolo che ha un titolo piuttosto eloquente: In una finta giovinezza che non riesce a evolversi in maturità. Noi Millennials siamo incastrati in questa definizione, la subiamo quasi. Tutto si dilata, anche se la percezione del mondo oggi passa attraverso lo strumento che ha fatto della velocità la sua caratteristica preminente: internet e, va da sé, i social.

C.P.: Il titolo del capitolo è tratto da un passaggio di Pier Vittorio Tondelli che sintetizzava esattamente l’incastro di una generazione. Un eterno presente, un’eterna giovinezza che spesso fa a pugni con la realtà. Come se anche solo pensare se avere figli o meno facesse invecchiare. Jean, la protagonista, è abituata a vivere una vita in cui nulla sembra finire mai. La sua diretta giornaliera prosegue nei commenti post puntata dei follower. Non ha mai messo in discussione la sua storia d’amore a distanza andando a convivere. Ha quarant’anni come Chiara, la co-protagonista, ma si sente ancora troppo giovane per parlare di figli. Jean che paradossalmente vive con la velocità dei social network, intimamente, è granitica, minerale. Vorrebbe che nulla cambiasse mai. Nelle sue dirette parla indistintamente di come riordinare gli armadi nel cambio di stagione, di intolleranze alimentari e di solitudine, ma sempre a un livello superficiale, approfondendo solo quel giusto che le serve per piacere e creare consenso. Citando Jean: Le relazioni dovrebbero essere punti di incontro nell’universo dell’altro. Siamo arcipelaghi, non isole, per questo la mia Rubrica di sostegno generico funziona: è un approdo per profughi dell’anima, uno scalo per un altrove lontano, una possibilità di relazione tra tante solitudini connesse. L’apice dello sviluppo narrativo del suo personaggio si ha durante la tanto agognata puntata Instagram sulla maternità, quando finalmente si libera dall’idea che vorrebbe dare di sé e dalla paura del giudizio degli altri. Da quel momento diventa libera e grande. Forse più felice.

G.B.: L’evento cardine del romanzo si concentra all’interno di una clinica di Valencia, però è Milano a essere protagonista all’interno del romanzo, perché in qualche modo è una città che interagisce con la protagonista, con la sua voce narrante: una metropoli ambiziosa, vorticosa, dallo slancio europeo, eppure fragile dal punto di vista delle relazioni. Ci sono luoghi del mondo dove tutto sembra possibile, o più facilmente raggiungibile, fino a quando non ti rendi conto che ognuno cerca soltanto la propria uscita di sicurezza da questo labirinto di presenzialismo, apparenze e performance…

C.P.: Sì a Valencia succedono le cose più importanti. Ma è Milano la vera protagonista. Come arcipelaghi è ambientato in una casa a ringhiera nel quartiere Isola, proprio come i due precedenti, Crepa e Le affacciate e chiude la Trilogia della casa di ringhiera. In questa poetica del ballatoio (che per me è quasi patologica), in cui non esiste un vero e proprio dentro e un vero e proprio fuori, i condomini diventano una comunità, in cui tutti osservano e sono osservati. Si passa davanti alle porte, si guarda dalle finestre, si sente la musica degli altri e le solitudini sono più condivise. Rispetto ai libri precedenti, in questo, racconto un quartiere di Milano che ha già accettato i suoi cambiamenti, uno tra tutti la presenza di affitti brevi e di conseguenza relazioni più estemporanee tra il vicinato. Ci sono capitoli in questo libro che sono delle vere e proprie dichiarazioni d’amore a Milano. Racconto del percorso della 60, della Biblioteca degli Alberi, dell’ospedale Macedonio Melloni. Parlo molto anche di soldi e anche questo l’ho imparato a Milano. Jean guadagna 1500 euro con la Rubrica di Sostegno generico che sommati ai 1500 euro della rendita della casa della nonna, netti ovviamente, le permettono di vivere senza troppi problemi nel quartiere che ha scelto. Chiara, fa i conti precisi di quanto costano farmaci, trattamenti, viaggi per il suo percorso in Spagna. Essendo una città piuttosto cara, per viverci non si può non avere un rapporto stretto con i soldi. È una città che mi ha dato tanto e per fortuna l’amore che provo è ricambiato. Questo libro è dedicato a lei.

 

Infinite quest,
rubrica a cura di Giulia Bocchio


Caterina Perali è nata nel 1975 e vive tra Treviso e Milano.
Lavora come Producer e Coordinatrice di Produzione per video, cinema e spot pubblicitari.
La scrittura di questo romanzo è stata accompagnata da ricerche, interviste a medici, associazioni e studi legali che sostengono e studiano i nuovi modelli familiari. L’autrice ha seguito per più di un anno il percorso medicalmente assistito di una donna single, condividendo paure e cartelle cliniche. Come arcipelaghi  chiude la Trilogia della casa di ringhiera, iniziata con  Crepa  (13Lab Edizioni, 2015) e proseguita con  Le Affacciate  (Neo Edizioni, 2020).

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