Di Serena Votano
La sensazione di leggerezza, lo stimolo nervoso dopo ogni bracciata, l’odore del cloro. Ho di recente ricominciato a nuotare perché mi sono ricordata la sensazione di beatitudine che ho provato i primi anni in piscina, prima che nuotare mi fosse imposto come una preparazione alle gare a cui non avrei mai voluto partecipare: io non nuotavo per vincere, io nuotavo perché era l’unica cosa in cui ero sicura di essere brava.
È stato per questa associazione di casualità che ho scelto di leggere Quelli che restano (Iperborea) di Gerbrand Bakker, per quei nuotatori che si tuffano in una copertina blu, che ricordano la solitudine di un nuotatore senza squadra o allenatore, la stessa che ho riconosciuto in Simon, il protagonista di questa storia.
«Simon ci ha messo anni per riuscire a nuotare come nuota adesso. E per anni ha maledetto quello sport, non capiva che senso aveva passare ore in quell’acqua clorata senza motivo. Adesso ci riesce, a nuotare per il gusto di nuotare, ed è contento di non avere mai smesso».
Simon di professione è un parrucchiere, come suo padre e suo nonno Jan, e da quest’ultimo ha ereditato il salone Chez Jean. Riceve pochi clienti, selezionati, in un salone rimasto immutato dagli anni Settanta. Vive al piano di sopra in un quartiere bohémien di Amsterdam, la sua è una vita leggera, abitudinaria, che sfiora le vite degli altri ma mai davvero. Un po’ come l’acqua in piscina che sembra infrangersi a ogni bracciata e poi torna piatta, come se niente potesse ferirla.
La verità è che Simon è già stato ferito: non ha mai conosciuto suo padre Cornelis, morto in un incidente aereo nel 1977. Si tratta di una storia di cui non si parla volentieri nella famiglia di Simon, o almeno la madre si rifiuta di parlarne – l’uomo è salito sul volo per Tenerife senza dare spiegazioni quando lei era al terzo mese di gravidanza – mentre il nonno si lascia andare alla nostalgia a distanza di quarant’anni.

«Lui si è sempre tenuto a debita distanza da tutta la storia del padre», ma quel passato torna a bussare proprio quando uno scrittore, cliente del salone, spiega a Simon di voler scrivere un romanzo: «Il protagonista è un parrucchiere» dice, e chiede di poterlo osservare per qualche giorno mentre lavora. Una piccola casualità per lui che non ama dialogare con i clienti, eppure quella presenza spinge Simon a interrogarsi sull’uomo mai conosciuto, sull’incidente aereo: perché il padre stava andando a Tenerife? E perché l’assistente del padre, che mal tollerava, era sul suo stesso volo? Lo scrittore è affascinato dalla storia di suo padre, ma anche dall’attrazione che Simon prova nei confronti di Igor, un ragazzo con disabilità intellettive che assiste in piscina. La madre gli ha chiesto di sostituire un’amica – partita proprio per Tenerife – una volta a settimana per aiutarla con alcuni ragazzi e ragazze disabili, in piscina. Non deve fare nulla di che, solo supportarli ed evitare che affoghino. E in quegli attimi, mentre sembrano ripetere gesti impulsivi, versi o frasi incomprensibili, mostrano a Simon e alla madre Anja una leggerezza inconfutabile che non raggiungeranno mai. «Poco dopo, mentre è sotto la doccia, pensa allo scrittore. E all’uomo dai capelli rossi. E a Igor, naturalmente. E poi a suo padre, in un modo confuso. Non lo conosce, ha solo qualche sua foto. Foto di un bel giovanotto. Un bel giovanotto che gli sarebbe piaciuto conoscere meglio».
Un romanzo fatto di solitudini che faticano a trovare un’onda radio su cui sintonizzarsi per comunicare, forse perché l’elemento che accomuna tutti è piatto e inscalfibile come il freddo olandese e l’acqua clorata. Ma ormai Simon ha scavato troppo a fondo dentro di sé per continuare a scivolare oltre le cose che gli accadono. Ha bisogno di capire. Quelli che restano è un romanzo a più voci su un’assenza, sui legami familiari, sul desiderio e la ricerca di un contatto fisico a cui aggrapparsi. A un certo punto della storia, Bakker alterna un racconto nel racconto – forse opera dello scrittore? – una sliding door che resta sospesa, irresoluta, ma pur sempre una possibilità.
Un libro consigliato a chi cerca nella solitudine la via per uscire dal labirinto esistenziale dei propri “E se…” – come se fossimo clienti nel tranquillo salone di Simon, di fronte allo specchio –, a chi s’inceppa nei silenzi degli altri. Dedicato a chi ha smesso di dire “Va tutto bene”, perché ci vuole talento anche per affrontare, con un certo orgoglio, le proprie ferite e uniche solitudini.
In copertina: Portrait of an Artist (Pool with Two Figures), David Hockney

