Di Annachiara Mezzanini
Con insolita fame, trascorro questi giorni estivi tra le pagine di qualche manuale, spingendo il naso affondo nel tessuto delle parole, senza capirne davvero il significato. Trascino i giorni e aspetto le ore, osservando con occhi liquidi la goccia che scivola oltre il vetro della finestra.
Questi occhi parlano da soli, comunicano il caldo, descrivono la stanchezza: sembrano già pozzanghere autunnali, dentro le quali stagnano le parole non dette, che affiorano dalla superficie a intervalli regolari, come rospi gonfi che non sanno più saltare.
Arriva quel pensiero, improvviso, mentre stendo i panni prima del temporale: un sospiro che leva il fiato, l’adrenalina che prende lo stomaco prima della curva, un prurito intenso che poi svanisce, le mani agitate che non sanno dove stare, la staticità forzata del corpo, imbalsamato tra le lenzuola umide del letto. E poi, com’è arrivato, svanisce.
La colla degli ultimi esami, la svogliatezza dei saluti finali.
E poi, come sono arrivati, svaniscono.

