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Frammenti di un’estate futura – Di Francesco Marangi

Non è detto che il suono di un’estate passata non possa ricordare quello di un’estate futura. Qualcosa può essere ancora rivelato, un frammento esistenziale che si biforca, si moltiplica in corpi illuminati, scolpiti, sciolti, magmatici. Volti che si confondono gli uni negli altri, fra maschere e apparizioni. Questi che si raccontano sono i primi abitanti del mondo e forse gli ultimi. Amano e odiano come noi, ma parlano per visioni, cantando, pregando, giocando con incubi e sogni. Si lasciano cullare dalle possibilità del linguaggio, nei suoni si incastrano e fondono, attori di uno spettacolo senza fine. Non hanno pudore, si mostrano nudi, si uniscono in orge deliranti. Non ci sono più coordinate, latitudini o longitudini, vagano in preda alle proprie ossessioni, attraverso un labirinto di bocche e lingue e radici e costellazioni senza nome.
Ripartiamo dall’anno zero, dal principio, in una terra desolata, popolata da nuove creature, ibride, polimorfe, ingannevoli. Nuovi dei e nuove forme di ferocia, di dolore, ma anche di compassione e di bellezza. E celebriamo così le possibilità del tempo che vivremo: uno spazio infinito, un mondo trasformato.
Quel mondo che aspettava solo il nostro risveglio.

 

 


#Frammento1

Guardatemi, sono la creatura del mondo che verrà, il mio corpo è un moltiplicarsi di cieli e orizzonti, la mia fronte solcata da rapide, scogli e cascate, il fiume della mia memoria sfocia nella palude scura delle mie interiora, il mio volto un intrico di sabbie mobili e giungle senza tempo, liane e coccodrilli, colonne di formiche mi camminano sulle ciglia, il cranio spaccato in due, al suo interno un intarsio di larve e bozzoli, frullio di moscerini e falene, fra i denti aspettano immobili i gechi, posso amare il giorno e la sera, posso amare le tombe e le cripte nascoste all’ombra delle mie ascelle, le ossa partecipano alle danze geologiche, tibia e perone in cristalli di granito, fra scisti e vertebre si insinua il presagio della risacca, scosse sismiche, placche terrestri innestate al di sotto dell’epidermide, formazioni calcaree, rocce antiche, trilobiti, fossili del pleistocene, il mio ombelico trattiene l’acqua piovana, conca fangosa dove nuotano pigramente rospi e galleggiano ninfee, piccoli pesci e trote, lungo la linea delle mie labbra marciscono i fichi caduti, le mie narici inspirano ed espirano l’odore degli incendi passati e di quelli futuri, fra le mie cosce è quasi autunno e i miei seni raccontano il movimento degli ulivi al vento sordo di tramontana, attorno ai capezzoli volano aironi e aquile coronate, verso l’azzurro strappato dai cirri, cumulonembi, tempeste, monsoni, mentre all’interno delle mie clavicole si spostano le dune dei deserti, piccoli rettili sepolti dalla sabbia risalgono il collo verso la punta del mento, c’è un silenzio irreale, gli angeli mi cantano nelle orecchie canzoni terribili, trombe e corni da guerra, sulla piana del mio ventre gli eserciti marciano verso la battaglia, migliaia di uomini e carri, lance spade cannoni moschetti mitraglie granate, palizzate di legno, accampamenti, nello sterno, fra le costole, lì scivola il sangue dei morti e dei feriti, le urla e il fumo, sorgono città sulle mie ginocchia, mura e castelli, l’oceano chiuso fra i miei fianchi, squali e carcasse di balena, schiume e correnti, in fondo al mio ano si spostano gigantesche piovre e mostri marini.


 

#Frammento2

Mentre sistemavo i lettini e le sdraio, stasera, i clienti mi hanno fatto notare il segno della canottiera sulla mia pelle abbronzata. Ho visto il Capo salutare e uscire, la luce svuotarsi sul mare, e perdersi, in un istante. Allora mi sono fermato. Davanti a me, fra i lettini rossi, un bambino giocava a impilare i sassi uno sull’altro. Ho visto il vento cucire un orlo di schiuma e poi sprofondare al largo. Ho visto il mio cuore diviso in ventricolo destro e sinistro, lo teneva un gabbiano nel becco, aveva uno sguardo cattivo. Mi sono voltato, ho sentito il mio nome pronunciato più volte dallo scirocco. Il mare cingeva i fianchi di un castello di sabbia. Il mare, ginocchia di schiuma, univa le mani in preghiera. Forse sono le sette, forse le sette e mezzo. L’estate brucia in fretta, in roghi di luce, mucchi di sterpaglie, corone d’ulivo sopra la testa di vecchi ubriachi che giocano a scopa, seduti su sedie bianche di plastica. Asso pigliatutto e quartetti di ingiurie e bestemmie. Rimango qualche secondo immobile. Il sole ammira la mia fronte scura. Nessuno sdraiato si scalda la pelle, gli ombrelloni sono chiusi e legati. Dalla passeggiata si fermano facce curiose, turisti indugiano, mi studiano, lasciano perdere. Sono pochi quelli che mi vedono davvero. Sono quasi invisibile fra le buche lasciate da piedi annoiati. Passo il retino, raccolgo le cicche di sigaretta, i miei piedi danzano danze invisibili. Solo la sabbia ricorda il mio passaggio, aspetta paziente e segue alle spalle ogni mio movimento.
Ho sciacquato il bagno, puzzava di piscio. Ho riavvolto la canna dell’acqua e dato una spazzata alle scale e al pavimento. Le chiavi delle cabine ci sono; il megafono e il cannocchiale ci sono; le felpe, le canottiere rosse ci sono. Non ho dimenticato nulla spero. Il Capo mi ha già fatto il culo quest’anno. Avevo dimenticato di togliere una delle bandiere. Il Capo ci tiene alle sue bandiere. Il sole già dietro al palazzo. Soffiano delicate le prime ombre, le sento strisciarmi fra le scapole. Mi ricordano che devo dormire. Ho portato il bidone dell’indifferenziata su dalle scale, vediamo se domattina lo svuotano; il Capo ha detto che se non glielo svuotano lo va a rovesciare lui stesso fuori dai cassonetti, come protesta, con quello che paga di tasse sull’immondizia. Ho messo il lucchetto al cancello. Oggi ho finito in anticipo, di solito non chiudo mai prima delle otto meno un quarto. C’è tempo di una birra al volo con L., prima di cena; magari due, lo chiamo per vedere se è libero.

 

 

Continua…


In copertina: Anders Zorn, Il bagno, (part.) 1890


 

2 risposte a “Frammenti di un’estate futura – Di Francesco Marangi”

  1. Vi segnalo il mio “L’aria è una”, Einaudi nov.’22. E vedi il resto su google. Mi piacerebbe apparire su Academia. Anna Maria Carpi

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