Un libro è un luogo da esplorare con lentezza e cura. Il suo è un valore a lungo termine che non teme né trend letterari né la mole dei volumi che si trovano sugli scaffali. Osare una durata è l’obiettivo che si pone una casa editrice di progetto come Italo Svevo Edizioni.
Dario De Cristofaro, suo direttore editoriale, ci racconta come la selezione di un manoscritto avvenga sempre sulla base di un criterio di coerenza rispetto al catalogo e che proprio questo tipo di scelta rende la proposta di un editore – che sia capace, allo stesso tempo, di contenere titoli e voci che brillino anche singolarmente – riconoscibile rispetto a ogni altra. Dopo il lavoro decennale di scouting con la rivista effe, De Cristofaro continua a portare avanti una ricerca, spesso estrema, sulla lingua, lo stile e l’immaginario, con l’intento di lasciare un segno nel nostro panorama culturale.

Quando si entra in libreria e si vede la mole dei volumi sugli scaffali, sembra quasi che l’industria editoriale concepisca il pubblico come una maggioranza impersonale in nome di un unico valore: il numero di copie vendute. Tu che ne pensi?
È necessario fare almeno due distinzioni. La prima è quella fra librerie di catena e librerie indipendenti. In questo caso il paragone più semplice è quello con i supermercati e gli alimentari sotto casa: nel primo posso acquistare potenzialmente di tutto, con una prevalenza schiacciante di grandi marche e una tendenza sempre più diffusa alla brandizzazione del prodotto; nel secondo trovo qualcosa di più specifico, spesso mi affido al negoziante che magari impara a conoscermi quotidianamente e sa cosa consigliarmi di volta in volta. Lo stesso discorso vale per la seconda distinzione che occorre fare tra case editrici generaliste e commerciali e case editrici così dette di progetto: le prime si rivolgono a un pubblico più disparato, un pubblico non sempre consapevole (ma del resto non è necessario esserlo per definirsi grandi lettori), a cui propongono una vastissima gamma di titoli e di generi; le altre non considerano il pubblico come una massa informe ma come un insieme eterogeneo di individui avveduti in grado di comprendere la coerenza delle scelte e il percorso che ne consegue. Secondo un’idea che guarda al valore più a lungo termine del prodotto libro.
In centinaia di pareri di lettura resi quando collaborava con Einaudi, Bazlen si poneva queste tre domande: il libro contiene un elemento di novità? Piacerà ai lettori? Durerà nel tempo? Cos’altro aggiungeresti?
Credo molto nel concetto di coerenza, per questo una domanda chiave che mi pongo mentre leggo un manoscritto è se possa essere adatto o meno alla realtà con cui sto collaborando, dialogare con i titoli pubblicati fino a quel momento. Per una casa editrice come Italo Svevo Edizioni questo aspetto è molto importante e non potevo non tenerne conto quando l’editore Alberto Gaffi mi ha chiesto di progettare una collana di narrativa da affiancare alla saggistica particolare di Biblioteca di Letteratura Inutile. Mi è subito stato chiaro che la selezione dei titoli sarebbe dovuta andare in una direzione di continuità con quanto portato avanti dal lavoro della Gaffi Editore, che si era distinta in passato per lo scouting letterario, oltre che per una certa dose di coraggio. La riconoscibilità di una collana è data proprio dalla coerenza delle scelte e dalla proposta di libri che brillino singolarmente ma anche all’interno della serie di cui fanno parte. Credo che questo accada con i titoli di Incursioni, il cui nome, nelle mie intenzioni, era già una proclamazione d’intenti: fare ricerca, anche estrema, da un punto di vista linguistico, stilistico e d’immaginario, con l’intenzione di lasciare un segno a lungo termine nel panorama letterario circostante.
Nel 2019 nasce appunto la collana Incursioni, che è frutto del tuo lavoro di scouting su “effe – Periodico di Altre Narratività”. Quali sono le altre vie che consigli di percorrere a chi volesse pubblicare un libro?
Trovo che sia stato molto importante per me il lavoro decennale di scouting con la rivista effe, perché mi ha permesso di entrare in contatto e confrontarmi con molti autori, sia esordienti che emergenti, alcuni dei quali fanno o faranno parte della collana. Con diversi altri rimane un dialogo aperto, fondamentale per il lavoro di editor. Se infatti è vero che conoscere e vivere il mondo delle riviste è essenziale per un esordiente, lo è altrettanto per chi è alla costante ricerca di nuove voci. Oltre alle riviste, ormai da tempo esiste una realtà interessante come il Premio Italo Calvino, che nel corso degli anni ha scoperto e accompagnato alla pubblicazione decine di scrittori di valore.
Penso ad alcuni titoli della collana come Nostalgie della terra, Lingua madre, Spirdu, o I morticani, che si distinguono per il lavoro importante sulla lingua e sul linguaggio e sono fortemente caratterizzati da regionalismi e gergalismi: come fosse un tentativo di esplorare certi margini del canone letterario. È così?
La questione della lingua è sicuramente uno degli aspetti di cui più mi occupo nel lavoro che sto portando avanti in questi anni con Italo Svevo Editore. Nello specifico mi interessa la lingua che si fa mitopoietica. Orazio Labbate (Spirdu, 2021) e Francesco Maino (I morticani, 2023) sono un esempio calzante di questo processo creativo. Ma anche Andreea Simionel (Male a est, 2022), che, partendo da una lingua diversa dalla nostra, crea associazioni di parole e d’immagini inusuali per un madrelingua italiano. Così come diventa mitopoietica anche la lingua ibridata col dialetto – penso a Mauro Tetti (Nostalgie della terra, 2021), Manuela Antonucci (Murene, 2020) e Giuseppe Nibali (Animale, 2022) – e con le lingue straniere, come nel caso di Maddalena Fingerle, che inserisce nel suo romanzo (Lingua madre, 2021) intere frasi in tedesco. Questa ricerca, spesso ostica ma sempre affascinante, dell’elemento linguistico non è una prerogativa della collana, ma è sicuramente una sua caratteristica identitaria.
Chiudo con una domanda che riguarda il libro come oggetto in sé. Le pubblicazioni di Italo Svevo hanno un impianto grafico molto curato, carta di pregio, rilegatura a filo rete e i tagli laterali delle pagine intonsi. Ti chiedo allora: è sempre vero che un libro non si giudica dalla copertina?
Una casa editrice di progetto risponde per sua natura all’imperativo di osare, assumendosi rischi a volte incomprensibili e con un’ostinazione che ad alcuni può sembrare mal riposta, bislacca. Eppure non può fare altrimenti, se non vuole avere vita breve. Penso a Iperborea, con il suo formato inconfondibile, o alla prima Sur, con i cartonati colorati. È stato così anche per Italo Svevo Edizioni, che fin dagli inizi ha voluto che i suoi libri arrivassero con le pagine intonse nelle mani dei lettori. Le sue collane hanno sempre avuto quest’aspetto di inviolabilità impermanente, senza alcun altro fine se non quello di presentare un oggetto – come un luogo – da esplorare con lentezza e cura, un testo con cui tessere un dialogo personalissimo. Forse anche per condividere con chi legge la stessa fatica, lo stesso impegno, di chi ha scritto e di chi ha costruito materialmente il libro. I volumi di narrativa italiana Incursioni hanno seguito il medesimo corso. Fino all’undicesimo titolo della collana che ha aperto una nuova strada, consegnandosi al pubblico con le pagine rifilate, pronte a far entrare subito il lettore dentro scritture che già sfidano con la loro complessità. A lasciare una traccia sullo scaffale della libreria, col suo dorso nero che spezza la catena bianca della prima decina, è stato scelto un libro che è una turbolenza già nel titolo: I morticani è il ritorno di Francesco Maino, nove anni dopo l’esordio con Cartongesso. Un romanzo splendidamente feroce, come il dinosauro fluo sopra la copertina in serigrafia. Una nuova strada, sì, quindi, ma la stessa idea di ricerca.
Just dropped in
Intervista a cura di Annachiara Atzei
In copertina: artwork by Horacio Quiroz

