, ,

Just dropped in – Intervista alla casa editrice Orecchio Acerbo (a cura di Giulia Oglialoro)

Quando le chiedevano che senso avesse scrivere, Anna Maria Ortese rispondeva che dovremmo immaginare i libri come «strutture di luce» da gettare sulla terra, «perché essa non sia più quel luogo buio e perduto che a molti appare, o quel luogo si schiavi che a molti si dimostra». Sfogliando il catalogo di Orecchio Acerbo, casa editrice per l’infanzia e i ragazzi, fondata a Roma nel 2001 da Fausta Orecchio e Simone Tonucci, si ha davvero l’impressione di toccare con mano le «strutture di luce» evocate dall’autrice: ne Il giardino incantato scopriamo per esempio che una statua può di tanto in tanto abbandonarsi a lunghe passeggiate, quasi invidiando la precarietà di ogni cosa viva che la circonda; in L’albero di Anne N.E. un ippocastano conserva nella sua linfa il ricordo di un’amica umana, e lo difende con ostinazione contro «i tarli della memoria», mentre in Viaggio d’inverno di Anne Brouillard, vincitore dell’ultimo Premio Andersen, un treno sfreccia senza sosta nelle terre innevate del sogno. «Pensa che quando abbiamo fondato la casa editrice» racconta Fausta Orecchio dalla sua luminosa casa romana, «ancora non sapevamo che avremmo fatto libri per l’infanzia. Il nome viene da una poesia di Gianni Rodari che il padre di Simone gli recitava da bambino, e parla proprio di un signore maturo con un orecchio acerbo. Evidentemente fu un nome profetico».

 

Artwork by Horacio Quiroz

È noto che i vostri libri siano così riusciti da non essere adatti solo ai bambini. Spesso di tratta, per la raffinatezza delle illustrazioni, di autentici libri d’arte, godibilissimi da ampie fasce di pubblico. Dunque che cosa contraddistingue un buon libro d’infanzia?

Dall’infanzia proviene sicuramente l’attenzione alle immagini. Credo sia qualcosa che i grandi hanno dentro, ma che nel tempo dimenticano. Tutti siamo stati piccoli, poi, a un certo punto, accade che la parola diventa il linguaggio predominante. Perdiamo così la capacità di leggere le immagini e anche di incantarci di fronte alle immagini. I nostri libri cercano di riportare i grandi là dove hanno perso qualcosa. I libri per bambini, inoltre, devono essere molto semplici nella loro difficoltà. Il linguaggio deve essere povero di aggettivi, ma soprattutto privo di vanità: deve esserci il desiderio di raccontare delle cose, anche molto difficili, ma senza giudizi o assertività. Il tentativo, anzi, è quello di porre domande attraverso delle storie. Una sfida molto difficile, tanto che i più grandi scrittori di tutti i tempi hanno sentito il bisogno di misurarsi con l’infanzia.

A questo proposito, la collana “Pulci nell’orecchio”, curata da Fabian Negrin, raccoglie racconti di infanzia firmati da grandi autrici e autori come Matilde Serao, Anton Čechov e Julio Cortázar. Si tratta di testi puri, in cui l’illustrazione compare solo due volte, all’inizio e alla fine del libro. Un progetto molto diverso da ciò a cui siete abituati…

Con quella collana volevamo fare un esperimento per i bambini tra gli otto e i dodici anni, proprio quell’età in cui si abbandonano le immagini e ci si dedica alla parola scritta, come un modo di diventare grandi. L’intento era, da una parte, ricordare ai bambini la meraviglia del linguaggio delle immagini, e dall’altra dare un piccolo oggetto prezioso in cui immagini e testo non si incontrassero mai. L’illustrazione iniziale, in copertina, è una sorta di benvenuto o di prologo, mentre quella finale è una sorta di arrivederci o di epilogo: nel mezzo, chi legge ha possibilità di immergersi nel testo, creando da sé le proprie immagini. Aggiungo che molti racconti della collana sono tristi, ma io trovo che il momento del pianto – come quello del riso – sia incredibilmente benefico per i piccoli e per i grandi: stai piangendo per qualcosa che non appartiene alla tua storia personale, ma che ti viene raccontato da un altrove, alle volte dal passato, da grandi scrittori che non ci sono più. Entri in totale empatia con personaggi che vivono solo dentro di un libro.

Infatti le storie che pubblicate rifuggono spesso da un’immagine edulcorata dell’infanzia: si muovono anzi da un mistero, da un vissuto profondo che è difficile esprimere a parole.

Mi sembra che proprio Antonio Faeti, grande studioso della letteratura per l’infanzia, sosteneva che i libri per bambini devono essere perturbanti. Magari riuscirci sempre, ecco, perché non è facile trovare scrittori e scrittrici con questo tipo di visione. All’ultima Fiera del libro di Bologna, per esempio, abbiamo presentato la nuova collana “Terremoti”, che racconta proprio il continente sismico dell’infanzia, di tutti i terremoti che da bambini dobbiamo affrontare, le distruzioni e le necessarie ricostruzioni per diventare come siamo. L’infanzia non è per forza una terra meravigliosa. È anche impervia, difficile, fatta di momenti in cui tutto si azzera e tu devi improvvisamente cambiare, a partire dal tuo corpo, che fino alla fine dell’adolescenza cambia con una rapidità molto maggiore di quanto non accada dopo.

Parlando proprio di perturbante, un libro molto prezioso è Stardust: scritto e illustrato da Hannah Arnesen, tratta temi molto delicati e complessi come il cambiamento climatico e la minaccia di un’estinzione di massa. È dunque possibile raccontare anche temi molto difficili nella letteratura per ragazzi, evitando la morale?

Per me assolutamente sì. Nel caso di Stardust la cosa più interessante non è tanto il tema del cambiamento climatico, ma il modo in cui questa giovane autrice ha deciso di affrontarlo, intrecciando filosofia, sociologia, politica, arte e pittura. Non so nemmeno dire se una singola immagine sia bella o brutta, proprio non lo riesco a dire, perché il libro pretende un’immersione totale dalla prima all’ultima pagina. La prima volta non ho potuto fare a meno di soffermarmici per molti giorni, per ascoltarlo, per capire da dove proveniva questa voce molto intima, molto sofferta, una sorta di requiem o di diario. Ecco, affrontare la scienza attraverso la poesia secondo me è uno dei modi migliori per raccontare ai ragazzi cosa sta accadendo. Poi certo, la decisione di produrre un’opera così costosa e di così tante pagine è stata sofferta, perché ti chiedi veramente se un libro come Stardust arriverà nelle mani di qualcuno. Però mi sembrava un libro così importante che non potevamo fare a meno di pubblicare.

Gli sconvolgimenti del clima ci portano a immaginare un rapporto diverso con le alterità non umane. Che ruolo hanno gli animali nei libri per l’infanzia?

Rivedere il rapporto che gli esseri umani hanno con le altre specie per noi è essenziale, una delle aree tematiche che abbiamo individuato fin dal nostro esordio. Del resto, i bambini sono proprio quelli che possono farsi portatori di questo spostamento del punto di vista, perché hanno un rapporto con gli animali molto speciale, che riguarda anche le creature a cui noi non prestiamo attenzione, a partire dai piccoli animali come le formiche fino a topolini che magari a volte ci troviamo in casa. In questo, siamo noi che dobbiamo davvero metterci in ascolto e imparare.

 

Just dropped in
Intervista a cura di Giulia Oglialoro


In copertina: artwork by Julia Soboleva


 

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.