Monologo di Penelope – Di Paola Deplano

(Penelope in cucina, con una sorta di turbante in testa, gira il sugo con un mestolo di legno. Le
suona il cellulare e risponde tutta allegra)

Ciao Eco, amore bello di zia, come stai?

(Pausa per la risposta della nipote) 
(Penelope passa a un tono di voce preoccupato e anche un po’ arrabbiato)

Piangi? Per quell’imbecille di Narciso? Ma smettila, è un cretino, lascialo. Mi devi dare retta, sennò te ne penti, un domani non venirmi a dire: “Zia Penelope, se ti avessi dato retta…”. Guarda, io che ho divorziato ti dico che non è una bella cosa. Zio Ulisse, con tutto che aveva torto, in tribunale me ne ha fatto passare di tutti i colori, ma io ho tenuto duro e adesso quello che dorme in macchina e va a mangiare alla Caritas è lui, che io mi sono tenuta Itaca, il titolo di regina e tutto il resto.

(Pausa)

No, che lo ami troppo non si può proprio sentire. Finiscila.

(Pausa)

Senti, quel Narciso è un narcisista, lo dice pure il nome e coi narcisisti non c’è storia punto e basta.
Io lo so bene, che tuo zio Ulisse che ti credi che sia? Uno che si mette gli occhiali scuri anche alla
messa di mezzanotte secondo te cos’è? – Si mette a cantare- : “C’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero…”. Beh, tuo zio è così, e Narciso pure.

(Pausa)

Non si piange per un imbecille, smettila. E poi finiscila con la dieta che ti stai riducendo pelle e
ossa, che tra un po’ ci resta solo la voce. Non te l’ha detto nessuno che agli uomini piacciono le
forme?

(Pausa)

No, che non è l’unico uomo al mondo. Vedi di finirla. Il mondo è pieno di uomini.

(Pausa)

Basta. Smettila di frignare e ascoltami. Cominciamo dall’inizio. Tuo zio non si capisce perché è
venuto così, uno scassacazzi incredibile, che noialtri siamo tutti seri: in primis zio Laerte e le sue
sorelle, mia madre e tua nonna, ma zio Ulisse…Posto che la madre era una santa donna che Laerte non l’ha mai tradito, secondo me Ulisse lo hanno cambiato all’ospedale, altrimenti non è possibile, scusa. Uno proprio fuori razza, dai. E con una speciale perversione per rendermi la vita difficile.
Non mi ha lasciata in pace, MAI e poi MAI e per MAI s’intende MAI. Ti basti pensare che ero
appena nata, bella, pulita, profumata e messa lì nella culla della nursery che mi hanno sentita
piangere. Mi avevano tolto il ciuccio. E indovina chi se l’era preso? Il prode Ulisse, che scorazzava
nei corridoi della clinica e aveva avuto la bella idea di vedere per primo la cuginetta. E di rubarle il ciuccio. Ma dico io. Insomma, proprio uno scassacazzi.

(Pausa)

Ridi? Mi fa piacere che ridi, gioia di zia. Ma ora senti il resto.
Da piccoli, si fotteva tutti i miei giocattoli, bambole comprese, che a un certo punto zio Laerte si era un pure preoccupato ed era andato dal pediatra a chiedere lumi sui gusti sessuali del pargolo. Poi mi tirava le ranocchie addosso. Poi voleva sempre giocare a pallone. Poi mi costringeva a fare le gare con la bicicletta così vinceva sicuro, perché era più grande. Una tortura.
Avevo quindici anni quando papà mi disse: – Sposerai Ulisse. – e io: -No-no-no- (sbatte il mestolo, in ricordo dell’antica rabbia). Poi, non sapendo che aggiungere, ho detto: – Piuttosto mi faccio suora -. Era una parola nuova, che manco sapevo che voleva dire, ma mamma e papà mi hanno guardata allibiti, dicendo in coro: (Non se ne parla nemmeno)
Una settimana dopo, ero sposata. Prima del matrimonio, zio Ulisse era stato mandato a fare uno
stage di sei mesi in una scuola fondata da Rocco Siffredi. Secondo me, dopo la storia delle
bambole, zio Laerte aveva ancora dei dubbi e non voleva fare brutta figura con la sorella e ancor di più col cognato. Dopo lo stage è tornato pallido e smagrito – se conosco i miei polli pure a
malincuore – ma, come si dice, “Parigi val bene una messa”. E ora senti il resto. Dopo la cerimonia, entra in camera da letto tutto pimpante e dice questa frase, che è stato il massimo del romanticismo a cui sia mai arrivato: “Penny, te lo dico prima: non abbiamo molto tempo.” Io sono stata zitta e ho perdonato un uomo tanto tanto impegnato. Come fa un re a non essere impegnato? Ormai mio marito era lui, e dovevo cercare di farmelo andare bene per forza.
Che poi – per incidens – ci sarebbe da aprire un’altra parentesi: tutte le volte che mi chiama Penny, sta per fregarmi (ma allora non lo sapevo).
Quindi, dopo aver consumato, mi guarda con gli occhi spiritati, agitandosi nel letto, come uno in
cerca di conforto. Ci sarebbe stato da spiegargli che eventualmente quella in cerca di conforto ero
io, che nonostante il tirocinio da Siffredi avevo sentito male e basta, ma vabbé. Ho fatto la nobile
(sono sua cugina, il sangue blu ce l’ho anch’io): “Cosa c’è, Ulisse?” Lui, con gli occhi fuori dalle
orbite: “Sono ore che non fumo.” Io, sempre più nobile e comprensiva delle umane debolezze:
“Tranquillo, vai vai”. È scappato come una lepre sul terrazzo. Beh, almeno questo bisogna dirlo, a
onor del vero: non mi ha mai ammorbato la casa di fumo. Anche perché in casa c’è stato sempre
poco.
Comunque, la prima notte è andata così. Le seguenti sono state meglio… (ridacchia) …beh, Laerte aveva speso un sacco di soldi per pagare lo stage da Siffredi ed è ovvio che i risultati si sono visti, no? Ci siamo dati… un po’ da fare …lo abbiamo fatto anche appesi al lampadario ed è stato bravo, dai, non mi posso lamentare. Insomma mi stavo abituando… male.
Poi una mattina si è alzato, lavato, sbarbato, colazionato, fumato eccetera e mi ha detto: – Penny
cara, vado a fare un lavoretto. – Mi sarei dovuta insospettire, e parecchio: “Penny” e “cara” nello
stesso periodo erano da allarme rosso. Invece no, non mi sono insospettita e l’ho salutato alla porta con un bacetto da mocciosa dell’asilo di cui ancora oggi mi pento. Insomma, se la stava svignando – e in grande stile, pure. Tutte le volte che ci penso, mi viene un travaso di bile: “Penny cara, vado a fare un lavoretto”, ed è emigrato per vent’anni. Ora è vero che noi donne calabresi ai mariti emigrati ci siamo abituate. Qui è una cosa all’ordine del giorno. Ma non funziona così che uno si alza dal letto una bella mattina, dice che va a fare un lavoretto e poi torna dopo vent’anni. No-no-no (sbatte il mestolo, in ricordo dell’antica rabbia). Non funziona così ma lui l’ha fatto. Come si dice in inglese? Stronzo? Sì, stronzo.

(Pausa)

Sì, certo che è stronzo anche il tuo, ci mancherebbe, uno stronzo non si nega a nessuna. Ti dicevo, tuo zio dice che esce per un lavoretto e sparisce. Ma quel che è peggio è che io quella sera gli ho anche cucinato. E non è tornato. La sera dopo, idem. A questo punto, che dovevo fare? Il mangiare non lo potevo buttare che è peccato, come diceva la bisnonna Assunta buonanima, che Gesù piange.
Allora ho invitato i Proci. Tanto, mi sono detta, cosa rischio? Che mi possono fare? E invece… dopo un mese avevo tutte le ancelle incinte. Ma, dico io, un sistema contraccettivo? Non lo so, fatto sta che sono rimasta senza cameriere, perché poi nessuna voleva venire dalle altre isole a fare le sostituzioni, per non trovarsi con un bebè in braccio senza manco il tempo di dire amen.
E, a proposito di sesso, a questo punto l’Ulisse mio non era più tanto mio, che era andato a fare
beneficienza altrove, così, giusto per ammortizzare i soldi dello stage da Siffredi. Tutte se l’è fatte,
tutte: Circe, Calipso, Nausicaa…no, anzi Nausicaa dice di no che era minorenne e aveva paura della galera, ma permettetemi, conosco i miei polli e non ci metterei la mano sul fuoco. Di una di cui si vanta al bar con gli amici ma io non ci credo, invece, è la Sirena. Non ci credo perché è impossibile, diciamo così, logisticamente. Ma se minimamente fosse stato possibile, gli do ragione: si sarebbe sbattuto pure lei.

(Pausa)

Ma davvero sei sicura di voler sapere come ho fatto a resistere tutto questo tempo? Eh, come ho
fatto… ti posso dire un segreto però…(canta un brano della famosa canzone): “Nun lo dì a nessuno, tiettelo pe’ te.”

Beh, bando alle ciance: con tutti i Proci in giro, anche io ho sentito il richiamo della foresta. È normale, no? C’era un certo Anfinomo…”Bello era biondo e di gentile aspetto”, come dice Dante di Manfredi di Svevia, ad occhio e croce un altro bonazzo. Anfinomo è biondo che la mamma è di
Helsinki e dopo il parto glielo ha mollato al marito e quello ha fatto da ragazzo-padre e se l’è
cresciuto solo. Queste sì che sono donne. Che invidia. Ma torniamo al pischello: biondo, fine,
completamente diverso da tuo zio ma qualcosa in comune con Ulisse ce l’aveva: la parlantina facile, che altrimenti non se ne parla nemmeno, manco un bicchier d’acqua mi faccio portare, altro che finire a letto, o sul lampadario.
Così mi sono fatta il biondo, avendo (si fa per dire) il bruno. Fisicamente, ti ripeto, erano come il
giorno e la notte, ma quando una vuole cambiare, deve cambiare e basta, sennò, come diceva sempre la bisnonna Assuntina buonanima: “Pe’ Peppe e Peppe è miegliu u Peppe miu”. Biondo, con gli occhi azzurri, quando tuo zio Ulisse – lo conosci – è il classico maschio nostro: nivurieddu, picciriddu e cu a varva. Insomma, mi sono fatta il biondo, alla faccia del bruno. E ti devo dire che anche senza stage da Siffredi se l’è cavata bene, il giovanotto ahahahah.

(Pausa)

Ah, mi fa piacere che mi dai ragione. Anche perché ce l’ho, la ragione, mia cara, me l’hanno data
pure in tribunale, a suo tempo. Anche se la questione di Anfinomo, ovviamente, non è venuta fuori, mica sono scema come tuo zio io, che pur di vantarsi è andato da Alcinoo a raccontare tutte le sue storielle piccanti che il pover’uomo come ex-voto a santa Maria Goretti che gli ha risparmiato la verginità della figlia poi è venuto in tribunale a testimoniare a mio favore e il prode Ulisse ha avuto il divorzio con addebito. Quello non è stato un bel momento manco per me, ma ne sono uscita meglio di lui, a testa alta. Che c’entra che poi uscendo dal tribunale le corna erano così alte che mi si sono incastrate nello stipite della porta, ma tant’è.

(Pausa)

Che ti devo dire? Alla fine la mia vita è stata bella, anzi bellissima. Alla fine, però, che in mezzo quello stupido del mio cugino-marito ci aveva provato a rovinarmela. Ma non c’è riuscito. E lo
stesso dico a te, tesoro: fai in modo che Narciso non rovini la tua di vita, gioia mia bella. Mollalo, che sei giovane e ne trovi quanti ne vuoi. Oppure ti fai suora, che ora lo so che vuol dire e come
carriera non è male, con un marito sempre lontano a cui non bisogna stirare camicie. Vuoi mettere?

(Assaggia il sugo).

Beh, Eco, amore di zia, il sugo è pronto e mi è venuto da dio, come sempre.
Vieni a mangiare da me?

 


In copertina: artwork by Renato Guttuso


 

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