
Trentuno euro e cinquanta centesimi.
Ada aggrotta la fronte, si sistema gli occhiali, racimola qualche spicciolo nella tasca della giacca a vento e allunga i soldi verso la commessa.
Trenta euro è la sua quota spesa per la settimana.
Ada guarda le solite cose sul rullo della cassa e rifà il conto: uova, latte, pane, una confezione di biscotti, una di schiacciatine al rosmarino, petto di pollo, un pacco di pasta, tre scatole di tonno, una passata di pomodoro, quattro mele, due pere, insalata in busta, pomodori, tre kiwi, un cartone di succo di frutta cento per cento arance italiane, un flacone di detersivo per i piatti, due pacchi di assorbenti. L’euro e cinquanta in più è finito in quelle due confezioni con la scritta bianca, pink soft grandi con ali per flussi abbondanti.
Sta per posare i pacchi di assorbenti, quando la commessa le dice: «Con una spesa superiore a trenta euro, oggi in omaggio c’è questo».
Tira fuori da sotto la cassa una scatola, l’avvinghia con le unghie lunghe laccate di rosso.
«Che cos’è?»
La commessa rigira la scatola tra le mani.
«Un monta cappuccino. C’è scritto così.»
Ada non chiede altro, lo prende. Trentuno euro e cinquanta centesimi siano.
Fuori piove, s’affretta verso la fermata dell’autobus con la borsa della spesa sotto l’ascella.
Trentuno euro, cinquanta centesimi e un monta cappuccino.
Si ripara sotto la pensilina mezzo sfasciata della fermata, accanto a lei si siede una donna con un bambino infagottato in un giubbino blu elettrico.
Ada guarda la borsa della spesa: uova, latte, pane, una confezione di biscotti, una di schiacciatine al rosmarino, petto di pollo, un pacco di pasta, tre scatole di tonno, una passata di pomodoro, mele, pere, insalata in busta, pomodori, tre kiwi, un cartone di succo di frutta cento per cento arance italiane, un flacone di detersivo per i piatti, due pacchi di assorbenti. Guarda anche la scatola del monta cappuccino, legge la scritta made in China e fissa il volto sorridente di una donna bionda che si gusta una tazza di cappuccino.
Sbadiglia, le si appannano gli occhiali.
Il bambino domanda qualcosa alla madre in una lingua sconosciuta, la donna non risponde, rimane seria con la borsetta stretta sul petto.
Quando vede l’autobus arrivare prende per un braccio il bambino e lo trascina verso gli sportelli semiaperti.
Salgono sull’autobus, Ada li lascia passare avanti e si siede al suo solito posto, in fondo.
Un ragazzo nero con una giacca di jeans troppo leggera ascolta senza cuffie una canzone sul cellulare.
Trentuno euro, cinquanta centesimi e un monta cappuccino.
Ada, colazione, non la fa mai. Si alza, prende giusto un caffè e corre al lavoro. A metà mattina, durante una pausa, Jonathan l’aspetta nel cortile del palazzo dove lavora, prendono un caffè e un cornetto dalla macchinetta e lo mangiano in silenzio.
Un monta cappuccino non le serve a niente. Si tocca gli occhiali e pensa che rivuole il suo euro e cinquanta indietro.
L’autobus parte.
Prende il telefono dalla tasca e cerca monta cappuccino. Uno uguale al suo costa otto euro e trenta centesimi. Potrebbe rivenderlo.
Guarda dentro la busta e prova a rifare il conto, poi lascia perdere. Appoggia la testa al vetro dell’autobus, s’incanta a vedere le file dei palazzi grigi scorrere lungo la strada. Stringe la busta della spesa e chiude gli occhi.
Una frenata brusca la risveglia, la madre e il bambino scendono svelti, lui le parla sempre, lei non risponde.
Piove ancora. Jonathan ha il turno di notte, non riusciranno a vedersi. Non le dispiace, se ne starà a casa, rifarà i conti, una doccia e poi a letto. Apre la confezione delle schiacciatine al rosmarino, ne sgranocchia una. Il ragazzo nero ascolta la musica e tiene il tempo con il piede sinistro; è una canzone caraibica che ricorda il mare e non c’entra nulla con quello che hanno attorno. Ada richiude gli occhi, un’altra frenata e il suono del clacson la fanno sobbalzare, per poco non le cade la busta della spesa, la scatola del monta cappuccino finisce vicino ai piedi del ragazzo che si china per prenderla.
«Scusa, grazie.»
L’afferra svelta, sfiora la mano del ragazzo che le sorride, lei abbassa gli occhi sul pavimento sporco dell’autobus.
Speriamo che non si sia rotto, pensa.
Scende alla sua fermata, evita pozzanghere piene di fango, tombini intasati. Cammina veloce, regge la busta della spesa con due mani, supera il cartello sfasciato di una pubblicità, legge la scritta oscena fatta con una bomboletta sull’intonaco sgretolato del suo palazzo e scende una rampa di scale verso casa.
Prima di entrare si toglie le scarpe e cammina sul pavimento di piastrelle opache con i calzini bagnati. Apre la finestrella della cucina e guarda attraverso le grate nere. L’acqua stavolta non è arrivata fino a lì.
Svuota sul tavolo la busta e rifà i conti: uova, latte, pane, una confezione di biscotti, una di schiacciatine al rosmarino, petto di pollo, un pacco di pasta, tre scatole di tonno, una passata di pomodoro, mele, pere, insalata in busta, pomodori, tre kiwi, un cartone di succo di frutta cento per cento arance italiane, un flacone di detersivo per i piatti, due pacchi di assorbenti. Trentuno euro e cinquanta centesimi.
Sistema tutto, poi apre la scatola del monta cappuccino.
È un arnese lungo e stretto con una testina rotonda, sul manico c’è un pulsante. Ada lo spinge e la testina inizia a vibrare. Non sa cosa farsene, lo lancia sul divano, si sveste e decide di farsi una doccia.
Trentuno euro, cinquanta centesimi e un arnese inutile.
Il bagno è freddo, l’umidità ha formato delle macchie scure sul muro, l’acqua ci mette un po’ per riscaldarsi e diventare limpida. Ada rimane ferma ad aspettare. Mentre l’acqua scende dalla doccia, vede riflesso nello specchio opaco il suo corpo: i seni grandi e un po’ cadenti, le cosce grosse, i ricci disordinati e neri del pube. L’immagine piano piano viene offuscata dal vapore, Ada non pensa più al suo corpo, s’infila sotto il getto della doccia. Si insapona dalla testa fino ai piedi. Il bagnoschiuma è quasi finito, la prossima settimana dovrà ricomprarlo. Scala tre euro e cinquanta dai trenta euro per la spesa settimanale. Sarebbe più logico regalare qualcosa di utile tipo un bagnoschiuma anziché un monta cappuccino. Scuote la testa come quando non è convinta di qualcosa o di qualcuno e avvolge i capelli neri zuppi nell’asciugamano.
Esce in accappatoio ancora tutta bagnata, fuori diluvia, chiude bene la finestra della cucina, prende un’altra schiacciatina al rosmarino e si butta sul divano.
Distende le gambe, chiude appena gli occhi e mastica, ancora calda del vapore della doccia. L’odore dolciastro del bagnoschiuma agli agrumi è un po’ troppo forte, preferisce quello alla lavanda, ma costa settanta centesimi in più e non lo compra mai. Si strofina piano con l’accappatoio le braccia, le gambe, la pancia molliccia, chiude di nuovo gli occhi e sente qualcosa, una sensazione piacevole e inspiegabile, come una piccola scossa costante poco più sotto del sedere.
Sbarra gli occhi e si alza. Sul divano vede il monta cappuccino vibrare, ci si è seduta sopra, spera di non averlo rotto.
Ada lo prende in mano e lo spegne, lo osserva attraverso le lenti umide degli occhiali.
Si guarda intorno, la casa è semibuia, si gira verso la finestra per vedere se è chiusa, poi riaccende il monta cappuccino e lo passa sulle gambe. La sensazione è meno intensa, ma piacevole come un leggero solletico che le fa drizzare i peli neri e corti, sulle cosce è più forte, quando sale più su si ferma. Rimane con il monta cappuccino a mezz’aria, poi piano lo avvicina alla pancia, sfiora i peli lunghi dell’inguine e s’avvicina al monte di Venere. Da bambina lo faceva spesso, si metteva una mano in mezzo alle gambe e spingeva, da sola, senza farsi vedere da nessuno. Oppure si sfregava i pantaloni sulle mutandine.
Poi è cresciuta e non l’ha più fatto. Perché lì non si tocca, ci si fa male e poi è una cosa che fanno i maschi. Le ragazze non si toccano là sotto.
Ma ora non c’è nessuno a dirle queste cose.
La testina del monta cappuccino continua a scendere, Ada l’aiuta a farla passare attraverso i peli, fino ad arrivare proprio dove dovrebbe essere quel punto. Lo sa perché ha letto un articolo su una rivista intitolato: come trovare la clitoride. Ha riso insieme a una collega di come fosse scemo quell’articolo, anche se neanche lei ha mai capito bene dove fosse e a cosa servisse quella cosa che ogni tanto sente laggiù. Ora, forse Ada ha capito e continua a cercare tra i peli. Si muove su e giù con il monta cappuccino, lo allontana e lo riavvicina, asseconda sempre di più quella sensazione di solletico, simile a un grattino, ma più intensa, quasi dolorosa se non fosse per delle scosse calde che iniziano ad attraversarle il corpo. Ada si svincola dall’accappatoio, apre le cosce, la casa è diventata buia, dalla finestra arrivano i rumori delle macchine sulle strade bagnate. Vorrebbe allontanare la mano, ma Ada si rende conto che non può farlo, non può più fermare quello che sta per succedere, deve solo seguirlo. Si morde le labbra confusa, quasi le viene da piangere o da gridare, sbuffa o è un gemito, non riesce a capirlo. Socchiude appena gli occhi e nota in un angolo del soffitto una ragnatela con un ragno, sente i suoi occhietti neri che la fissano mentre sta facendo quella cosa, si ferma, ma è troppo tardi. Quello che succede non appartiene più a lei, è il suo corpo che prende vita come uno di quei palloncini flosci che man mano che si riempiono d’aria salgono su per il cielo. E ora anche Ada è su nel cielo, attraversa la ragnatela, il ragnetto, il soffitto scrostato della sua casa, si ritrova più in alto delle nuvole grigie, sopra tutta la città e la vede sparire piano piano, farsi minuscola e poi evaporare. Nel cielo ora c’è solo lei, trasformata in un puntino perso nel silenzio delle orbite.
Ada ruzzola giù dal divano e sbatte la testa per terra.
«Ahi» dice, poi poggia la guancia sul pavimento e chiude gli occhi.
La pioggia è meno intensa, sui vetri della finestra è un ticchettio leggero e costante, il cuore le batte forte mentre tutto il resto del corpo è diventato molle come una nuvola di zucchero filato.
Un tuono la risveglia, si rialza e si guarda attorno confusa. Le fa male un po’ la testa, si raddrizza gli occhiali e fissa a terra i piedi nudi, bianchi. D’improvviso sente freddo, vede il monta cappuccino che ancora vibra sul pavimento, lo prende e la vibrazione dalla mano inizia a scendere per tutto il corpo. È quasi sul punto di ricominciare, le gambe le si sciolgono, il respiro rallenta, chiude gli occhi, ma trilla il campanello.
Ada è nuda nel soggiorno di casa con il monta cappuccino in mano.
Sente le cosce bagnate, nasconde i capezzoli dritti e scuri sotto l’accappatoio.
Guarda dallo spioncino della porta, è Jonathan fradicio.
Ada apre e rimane a fissarlo muta.
«Che fai? Non mi fai entrare?»
Si stringe forte la cinta dell’accappatoio intorno alla vita e lo lascia entrare.
Jonathan impreca.
«Con questo tempo ci hanno mandato tutti a casa. Cinquanta euro persi.»
«Mi dispiace» sussurra Ada e stringe le cosce umide, copre con una mano i capezzoli duri che stridono contro la stoffa dell’accappatoio e le fanno male.
Va al bagno, si lega i capelli e s’asciuga in mezzo alle gambe con la carta igienica. Davanti allo specchio vede il suo volto, limpido, le labbra sottili sono più rosse, le gote più colorite. Guarda là sotto e vede i peli del pube scomposti, appiccicati tra di loro.
Se Jonathan avesse usato le sue chiavi, l’avrebbe trovata nuda distesa sul pavimento e se fosse arrivato qualche minuto prima…
Non ci vuole nemmeno pensare. S’infila il pigiama e torna da lui.
Si sente addosso gli occhi del ragno che si muove nella sua ragnatela. Lui sa cosa ha fatto.
Fa finta di trafficare con qualcosa in cucina, ogni tanto stringe appena i muscoli delle natiche e serra le labbra.
«Che è questo?»
Si gira verso Jonathan seduto sul divano con il monta cappuccino in mano.
Rimane immobile.
«Niente. Me l’hanno regalato con la spesa.»
«Sai come si usa?»
Ada ci pensa su, poi risponde: «Sì, l’ho provato prima».
Elena Cirioni
Poetarum Silva + Collettivo Montag
