«Una strana amicizia, i libri hanno una strana amicizia l’uno per l’altro. Se li chiudiamo nella mente di una persona bene educata (un critico è soltanto questo), lì al chiuso, al caldo, serrati, provano un’allegria, una felicità come noi, esseri umani, non abbiamo mai conosciuto. Scoprono di assomigliarsi l’un l’altro. E ognuno di loro lancia frecce, bagliori di gioia verso gli altri libri che sembrano (e sono e non sono) simili. Così la mente che li raccoglie è gremita di lampi, di analogie, di rapporti, di corti circuiti, che finiscono per traboccare. La buona critica letteraria non è altro che questo: la scoperta della gioia dei libri che si assomigliano».
Mario Praz

LA TRAMA E L’ORDITO
Penelope non era sempre felice.
Fin da bambina poteva profetizzare il futuro
ma senza distinguerne i particolari
come un cieco che indovina un volto sfiorandolo con le mani.
Si faceva cucire nuovi mantelli dalle serve
assaggiava grossi acini viola con le punta delle dita
poi respingeva il vassoio seguendo il suo capriccio.
Faceva preparare nella grande vasca l’acqua fumante di cenere e argilla.
Dopo lunghi lavaggi del corpo
si arrendeva a estenuanti massaggi con olio di nardo e di rose.
Si confidava con le ancelle, beveva una tazza di kykeon
sostava nel cortile seguendo il filo dei pensieri
ma congedava tutti prima di tessere la tela.
Per quel momento sacro
non sopportava il suono di passi sulla terra battuta
non desiderava ascoltare la voce di nessun umano,
fosse stata anche quella del suo amato Telemaco.
Preparava tutto da sola, nel silenzio del pomeriggio
ogni giorno che Atena le concedeva:
accendeva solennemente le lampade per aumentare la potenza dello sguardo
si denudava, per indossare una tunica ricamata di pietre preziose
scioglieva i lunghi capelli profumati
si sedeva infine al telaio dei pesi
impugnava la navetta
chiudeva le palpebre dipinte d’oro
un sospiro
un brandello di sogno, una speranza lieve e atroce
subito ignorata con maestria;
poi cominciava il lavoro.
Fra la sua morte e la sua vita esisteva un cuneo d’ombra
fra la morte e la vita la gara dell’intreccio.
Non pensò mai, neppure una volta
durante la sua impresa
alle tenebre che contiene la notte
all’imprevisto del ghiaccio
alla dolcezza numinosa del bene corrisposto
all’eterno disfarsi e rinascere del destino.
Inedito di Patrizia Caffiero
II
Pues en verdad si Ulises
no planta su voz frente a la aurora
y llena estas estancias
quiere decir que Itaca no ha sido
ni siquiera un deso:
Penélope no existe y todo lo tejido
es gracia de la muerte
a mayor historia de mi soledad
II
Se davvero Ulisse
muto rimane davanti all’aurora
e le stanze restano vuote
allora Itaca non è
nemmeno un desiderio:
Penelope non esiste e tutto il suo tessuto
è un dono della morte
ad esaltare la mia solitudine
Da I viaggi di Penelope di Juana Rosa Pita
(traduz. di Martha L. Canfield e Alessio Brandolini)
LA DISPERAZIONE DI PENELOPE
Non era possibile che non lo riconoscesse alla luce del focolare; non c’erano
i panni logori del mendicante, il travestimento, no; segni certi:
la cicatrice sul ginocchio, la forza, la furbizia nell’occhio. Terrorizzata,
appoggiando la schiena al muro, cercava una giustificazione,
ancora un intervallo di tempo di breve durata, per non rispondere,
per non tradirsi. Per lui, dunque, aveva speso vent’anni,
venti anni di attesa e di sogni, per quest’infelice,
per questo vecchio grondante sangue? Si lasciò cadere su una sedia
guardò lentamente i pretendenti morti sul pavimento, come se guardasse
i suoi propri desideri morti. E: “Bentornato”, gli disse,
sentendo estranea, lontana la sua voce. Sulle ginocchia il telaio suo
riempiva il soffitto di ombre a forma di grata; e quanti uccelli aveva tessuto
con cuciture rosse lucenti su fogliame verde, all’improvviso,
quella notte del ritorno, finirono in nera cenere
volando basso nel cielo piatto dell’estrema sofferenza.
Da Pietre ripetizioni sbarre di Yiannis Ritsos
(Traduzione di Nicola Crocetti)
