
Quando correvo incontro a un sacchetto di gelati
che portavi nell’ora del tramonto o sotto il sole d’estate
e tu guardavi di sbieco le cose e ti soffermavi
sulla mia mano tesa come quella di uno zingaretto
sembravo la freccia che mira al cuore
le ginocchia macchiate di terra
le fiamme
incurvate dentro gli occhi
il braccio che implorava la benedizione
di quell’oro da succhiare a morsi
abitavamo allora
in un’immondizia di palazzi edificati
come macerie
Roma distava un pezzo di campagna, un’ansa di fiume
una corsa d’autobus su una valle di sterpaie
quei palazzi di borgata preservavano
la schiena della mia infanzia
come una chioccia grassa o il petto di una balia
ti ho visto ieri arrivare senza provviste
malato della tua follia della tua furia
correvo da te come un orfano in cerca
del mike blond della eldorado
non ho nemmeno una lettera
in cui ho riposto i miei riccioli, le scarpe
bagnate di pioggia
l’odio
quel vento che non era nostro
quel tempo che non era
nostro
Andrea Pomella

13 risposte a “Non ho nemmeno una lettera”
sono felice di averla anche qui.
grazie Andrea.
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E’ nata per poetarum silva, e da lei dovevo ripartire.
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mi piace la scrittura di Andrea e dunque questo testo per quel partire da “passi” del passato allargando poi lo sguardo, il momento, in una visione che si amplia e di cui il lettore può ampiamente partecipare
grazie, elina
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E’ vero, come afferma Elina, il lettore è partecipe non solo visivamente.
Nella scrittura di Andrea la realtà in un passato “non nostro” sa diventare presente nella logicità della poesia che non trascina, ma ti prende (delicatamente) per mano e ti conduce…
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Grazie Elina, grazie Anima, voi avete usato la parola “partecipazione” a proposito della mia scrittura e la cosa, confesso, mi inorgoglisce. Ho sempre pensato infatti che il dovere dello scrittore si restituisca nel gesto dell’invito. Solo se il lettore accoglie questo invito c’è partecipazione e quindi l’esperienza della lettura diventa una scambio vantaggioso per ambo le parti. Sapere di essere riuscito a rendervi partecipi mi rende fiero.
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distava un pezzo di campagna, un’ansa di fiume
una corsa d’autobus su una valle di sterpaie
quei palazzi di borgata preservavano
la schiena della mia infanzia
come una chioccia grassa o il petto di una balia
ti ho visto ieri arrivare senza provviste
malato della tua follia della tua furia
correvo da te come un orfano in cerca
del mike blond della eldorado
non ho nemmeno una lettera
in cui ho riposto i miei riccioli, le scarpe
bagnate di pioggia
l’odio
quel vento che non era nostro
quel tempo che non era
nostro
pensa che, a distanza di alcuni edifici, ho riscritto sulla porta della mia adolescenza,le stesse sintesi…vitali.
Grazie,ferni
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Ciao Ferni, grazie a te.
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La trovo stupenda,toccante.Un ritratto scritto con stile e grande umanità.Ciao Andrea
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Vincenzo grazie, è un grande complimento quello che mi fai. Grazie davvero.
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io in silenzio la leggo e la rileggo…bellissima andrea
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Grazie Antonella, davvero.
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Mi sembra di vedere un corto di Pasolini, ogni parola buca lo schermo e mi avvolge mischiando i ricordi…
mi tocca profondamente questo testo Andrea e lo rileggo per convincermi che non sono io quel ragazzo della borgata di Roma ma mi pare inutile perché Roma o Catania, cosa cambia se il nodo alla gola è lo stesso.
Grande Andrea, davvero grande.
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Sì, è bella…
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