
[…]
Lasciamo che il verso trovi
per sé e per noi la sua strada, il suo senso.
Tutto, perfino il nulla, ha corpo nella parola,
e la sua assenza di sostanza è pietà,
misericordia nella tortura che ci consuma,
il “foco che ci affina”. […]
poesie di Ivano Mugnaini
Un sole ritrovato
Il tempo, tarlo ilare, ti lascia spossato, sereno
quasi, a chiederti come, per chi, per cosa si possa
ancora resistere. Nel trionfo di ombre ricurve,
sorrisi acquistati in negozi blu metilene,
nel riemergere di relitti adulanti, vedi
riflesso un cielo senza tempo umano, liturgia
becera e ostinata del nulla interrotto soltanto
da auto, caffè, creme antirughe, deodoranti
dai taumaturgici poteri. Ma nell’atto del cedere,
nel riso spento, vano di resa, ti squarcia, ti salva
rabbia densa, lava, coscienza, molecola, un bosco,
una fuga, il gelo, il fuoco, paura e fame
di respirare. C’eri anche tu, ci sei
nei boschi, nelle macchie, nelle vie esposte
agli occhi d’acciaio delle finestre, è tuo il sangue,
il tremore, non è dispersa la lama di un sole
ritrovato. Oggi è ancora fitto il buio, urla
grida soffocate di iena, di faina, avanza
astuta la minaccia camuffata, veli di tulle e organza.
Non resta che guardarci in faccia, risalire
zaino in spalla antiche mulattiere della mente,
offrire al piombo e al vento il petto e un riso
d’alta quota, canto assurdo, che sa di futuro:
dire ancora con avida gioia un sì e un no, l’orrore,
la speranza di un eterno divenire, la certezza,
volo di farfalla che smuove il cosmo, il tonfo, la rincorsa,
quasi dolce, quasi lieve, del ricominciare.
***
Inetto a raccontare
Inetto a raccontare la propria verità,
finì per non credere, neppure lui,
il naufrago, al sale dell’onda
che gli bruciava le labbra
e gli chiudeva la gola.
Soltanto una visione, gli restava,
una sola: l’attimo, fulmineo,
della caduta. La testa lieve, quasi
dolce il sangue, il corpo che si adagia,
inerte, ad una specie di riso
che ti prende, mortale.
Le braccia distese, sconfitte, a cercare
l’abisso. Ma neppure questo era concesso
in dono. L’onda, dura come marmo,
si fece soffice, per accoglierlo,
soffocandolo di lentezza infinita.
Nel dondolio incessante, irridente,
riesplose nella testa la domanda
di sempre; speranza, forse, di trovare
una ragione. C’era solamente l’urlo
del sole ad ascoltare.
Dopo giorni lunghi come anni
gli sembrò una beffa il saluto della nave
mercantile passata per caso nel suo tratto
di mare, pronta a raccoglierlo, a salvarlo,
quando, quasi, era riuscito a dimenticare.
***
E’ gia passata
Il segreto è capire, che siamo
gesti distratti, lembi di stoffa,
tessuto, cotone, mani che
si allontanano mentre cercano
di sfiorarsi, osservati da occhi
gelidi, distanti.
Siamo due dei tanti, sherpa
storditi da vane infinite salite,
cani feroci, azzannati, straniti,
corpi buoni per fare da sfondo
al sorriso di pietra dei palazzi
bombardati di foto dai turisti,
niente di più, erba dei prati,
asfalto di vicoli imperfetti,
troppo aspri o troppo lisci,
cibo di lente mandibole nere
o di una sola avida vampata
sospinta da un ghigno di vento
curioso di folla che guarda,
ride, ed è già passata.
***
VLADIMIR: Questo ci ha fatto passare il tempo
ESTRAGON: Ma sarebbe passato in ogni caso
VLADIMIR: Sì, ma non così velocemente
S. Beckett, Aspettando Godot
La speranza di settembre
Ora che sono finiti gli spunti antichi
e le idee adeguate annotate con cura
hanno ridisceso una per una scale di ferro
senza ringhiera, ora che perfino l’afa
lascia spazio alla coscienza della sera,
sarebbe tempo di scrivere solo del tempo,
come un naufrago che si innamora
dell’acqua che lo strangola e si abbandona
ad occhi aperti ad un infinito abbraccio.
Sarebbe tempo di percorrere le strade
dei perché lasciando a casa le borse
dei come, cercare una voce, una chiave
nelle ossa spezzate dei cani o nella carne
soffice di ghignanti puttane. Sarebbe tempo,
se il tempo non fosse fragile, imperfetto,
regolato da cronografi tarati male, ancora
soggetti a salti e arresti, orgogli e terrori,
costretti a fare algebra dell’aritmetica,
sbagliando i più elementari teoremi,
contenti, in fondo, di fallire gli schemi
essenziali, le basi, i calcoli, le proporzioni,
felici, nonostante tutto, di sprecare un’altra
estate fingendo di studiare, per poi tornare,
assetati, vibranti, al primo giorno di scuola,
immutabilmente, finché sussiste la speranza
di settembre.
***
Con sollievo
Sì, lasciamo che il testo
trovi la sua strada, l’oggetto, il messaggio.
Niente sarà sprecato, non un gesto,
un sorriso, uno slancio, un pensiero
dedicato a lei che, ferma di fronte
al portone serrato del sogno, ci dava
appuntamenti per il giorno sbagliato,
ridendo, giocando a scardinare il tempo
che giocava a dadi, distratto, muto.
Lasciamo che il verso trovi
per sé e per noi la sua strada, il suo senso.
Tutto, perfino il nulla, ha corpo nella parola,
e la sua assenza di sostanza è pietà,
misericordia nella tortura che ci consuma,
il “foco che ci affina”.
Forse, magari nel regno del sonno, quando
sarà pace il silenzio e prato il respiro,
ci sarà detto dove conduce il sentiero
e diverremo noi il cammino, saldo, sicuro,
ignaro di abissi di tornanti. Tutto avrà scopo,
ed ogni interrogativo irrisolto sarà arte
arcana di filosofia astratta e carnale, volto
incrociato lungo un viale straniero, quando
è già quasi sera, e, con sollievo, non si è certi
di distinguere buio e luce, falso e vero.
***
E’ meglio scrivere di riso che di lacrime.
Perché il riso è il segno dell’uomo.
F. Rabelais
I bambini là fuori
I bambini là fuori, ridono di gioia
vedendo uno sprazzo di sole
che sbuca tra le nuvole.
Sono gli stessi con cui, tra qualche anno,
dividerai il buio degli sguardi e il silenzio
delle parole.
Sono gli stessi che sfrecceranno sulle strada,
ombre tetre, mutilando la carezza
delle foglie.
Forse lo sono, anzi, lo sono certamente.
Ma intanto ridono, e alzare la testa
per vedere il sole, è anche per te, ora,
una forma vitale di follia.
***
Strade
Come se si potesse scarnificare la parola,
irriderla, violentarla e lasciarla lì, occhi
gelidi, incolume, feroce, ancora serena.
Inebriarsene, sfregiarla di carezze di vetro,
senza pagare lo scotto, la ruga che scava
la pelle, lasciandola bella di bellezza ineffabile.
Passarle addosso il peso del corpo e lamiere
squadrate come si fa con l’asfalto, confidando
nella pazienza dell’eterno, l’immutabile.
Ma l’asfalto si squama, si sgretola.
La strada non è la stessa. Lacera, deborda
la rabbia dei pini, affiorano grida di radici.
Passi al mattino nell’abitacolo surriscaldato,
e ride l’operaio del cantiere stradale guardandoti
blaterare tra i denti frasi che si schiantano
sui finestrini. Ride, lui che sa, conosce la consistenza
del bitume, sonda l’amalgama con i piedi,
una danza imparata da bambino, gambe
salde tra i grumi e l’aria, cosparge
cantando la strada al giusto livello, la quantità
ideale. Ride, mentre il cervello si tritura, pasta
farinosa, impalpabile, e prosegui, lento, a un palmo
dalla striscia della mezzeria. Scruti il guard-rail
con la coda dell’occhio lasciando solo un esile
spiraglio al sogno, Il sorpasso, il mare verde
di Castiglioncello, l’urlo di un’onda fulminea,
sole, vivo, abbacinante, sulla strada salmastra
del tutto, del niente.
***
Qualcosa dentro
Qualcosa dentro ancora non si adatta,
non si adegua, continua a pulsare per moto
proprio, ad ammalarsi, a guarire, con impulso
autonomo, indipendente; scorre la vita
a dispetto di te, ti porta, immobile, su lidi
secchi, inattesi, proprio nell’attimo in cui
senti che niente muta il niente che, lento,
divora.
Ma qualcosa ancora non si attaglia,
non si allinea. Sfiora la superficie un pensiero
cristallino, perla di luce ignota, tanto salda
da farti oscillare, scivolando via da te
con riso stranito, sognando il tonfo, il crepitio
sarcastico dello schianto, il profilo cupo
dello scoglio. O un prato semplice, bambino,
dove la distanza è solo
il salto di un fosso, di slancio, ad occhi chiusi;
l’attimo in cui la mente diventa riflesso dorato
di sole, riso profondo, leggero, del cuore.
***
Non è più concesso
Non è più concesso, o almeno opportuno,
lasciare spazio al rimpianto. Visi che erano
sogno, brivido che squassava la schiena,
speranza, pazzia. E’ bene guardare, ora,
la foglia che cade sul tratto di via
che hai di fronte, prendere il sole che c’è,
amaro o scialbo, non importa.
Adesso c’è il vento che sposta la foglia
sfiorandoti i piedi. E conta soltanto vedere,
con gli occhi spalancati, se l’aria che la muove
è brezza lieve o fiato di treno marcio d’olio
e di distanza. Tonnellate di ferro corrono costanti,
e, nell’attimo in cui ti sembra di cogliere una mano,
uno sguardo dal finestrino, ti distrae il grigio
e il viola, la venatura quasi pulsante della tua foglia,
che appare anch’essa, per un istante, intrisa
della stessa lontananza.
***
Se questa tregua inattesa del tempo
Se questa tregua inattesa del tempo sia affanno
o euforia, lo dirà forse il respiro di carne che abita
nel buio di ossa umide, oscure come grotte di Matera.
Se saperti distante e vicina, prossima alle braccia,
alle dita, remota come isola bianca in atolli di palme
e corallo, sia quiete o cerchio di acque infestate
da ilari squali, è corrente ancora incerta, verdetto
inespresso del mare, capriccio di rottami e maree.
Se ascoltarti giurare che oggi più che mai mi ami
sia premio o condanna, bacio o ferita, è come cercare
nei versi un profumo di donna sincero di vita, deciso,
malioso. E’ assurdo, sbagliato, frustrante. Ma un mattino
ti svegli e assieme al passo malfermo del cuore e alla corsa
della barba da rifare, c’è un profumo insistente che aleggia
nella stanza. Dolce da far ridere, da incutere timore.
Non è tuo, non ti appartiene. Eppure ti segue, ti alita
accanto. Dolce e tenace da fare urlare di rabbia. Dolce
e tenace da inorridire. Dolce e tenace da farti vivere,
provando a respirare.
***
Quale amnistia?
Quale amnistia? Per quali peccati mortali?
E’ cosa da poco, in fondo, la morte, banale,
veniale o giù di lì, di sicuro scontata,
garantita come una sentenza, o un elettrodomestico
Philips con controllo illimitato di qualità.
Perché tarda allora l’indulto al vizio comico
del vivere? Qualcuno lo disse “assurdo”,
questo abuso, tale misera esuberanza, ma
fu solo mirabile tautologia.
Almeno allora uno sconto di pena alla pena
dell’essere, una via di fuga, d’ingresso, d’uscita,
il lusso di un carcere aperto alla speranza
della redenzione, il crimine antico di ritrovarsi
colti clamorosamente sul fatto, nel sacco entrambe
le mani, in piena flagranza di reato, nell’atto doloso,
e recidivo, di essere ancora vivi, ancora umani.
***
Sandokan
Abbiamo rivisto insieme, tu ed io,
passato a tarda ora, su una rete infima,
minore, “Sandokan”, lo sceneggiato
a colori di una gioventù ruggente.
Abbiamo provato di nuovo a sognare
album di figurine da riempire
a poco a poco a scuola, durante le lezioni,
lasciando una sola casella vuota, quella
che manca, per fortuna, la Perla di Labuan,
da cercare domani, sperando
di non trovarla mai.
Ora però, neppure gli occhi della Tigre
cerchiati di kajal, sanno più ipnotizzare,
è sbiadito il rosso del sole, l’India domestica,
chiosco abusivo di Cinecittà, sa di zucchero
caramellato andato a male.
Passa adesso, eterna, inesorabile, solo
la réclame. La segue e la incalza una canzone
anni settanta; “la piazzetta del mercato è ancora
là”, sì, ma il sorriso da contratto del cantante
biondo tinto somiglia troppo, ora, a un ghigno;
o forse a un pianto.
***
Quando neppure la rabbia
Quando neppure la rabbia basta
a riempire il vuoto di cera e candeggina,
lindo il parquet, a specchio il vetro
e il tavolo, mentre nel solaio pasteggia
tronfio il grasso sorcio nero, ineluttabile.
Solo un diaframma di muro sbiancato
appena sopra la testa a separare
lo sterco dalle foglie tenere,
laccate a lungo con lo spray
apposito: il geranio e la gardenia
esposti agli occhi e al vento
davanti alla finestra spalancata.
***
Ascoltare
Scorre piano il fiume che non vedo,
flusso muto nell’ipotesi di vite
fluttuanti. Braccia soffici di puttane
stringono sogni strozzati
nel cellophane.
Manchi tu,
inutile bere brodaglie colorate,
aspirare a bocca aperta l’aria
rimescolata a vuoto dal ventilatore
che si agita e si scuote come una testa
enorme che fa segno di NO.
Manchi tu,
stasera più che mai. La stanza
è ferma, trema, nella nuca, il mondo,
sospetto, certezza che domani
la finestra di aprirà sul nulla,
la coscienza del fluire annegherà
in se stessa. Restarai tu,
Ofelia serena, folle di saggezze
antiche assetate di rose e sospiri
lievi di menzogne d’amore
che senza te non so e non voglio
ascoltare.
***
Nella fame vorace
Finché faremo ombra al sole
su scale di marmo esile, quasi
chiaro, livido di passi d’acqua
e polvere, torneremo a chiederci
dove, in quale tana di serpe, quale
mistero di occhi incrociati
per sbaglio è celato l’enigma
della luce, trama d’acciaio e refe
calata su ossa rose da lente ferite.
Se ci vede, ci cura, ci consola, o se
invece serenamente ignora,
il chiarore sublime, la molecola,
il circuito di neuroni che piangono
e ridono fuori tempo, fuori luogo,
ai margini di ombre in cui finisce
sempre per raggiungerci. Eppure
nell’occhio sbarrato, nella retina,
resta un’immagine, ramo sfiorato
da una carezza di sole, mano calda
sul cuore, sul costato.
E la luce si perde, e si ritrova
in un tepore che nega la domanda
nell’atto di ripeterla, afferma un nulla
che nessun tutto potrà annientare,
un tutto che contiene una scommessa
persa con qualche spicciolo di gioia.
Sogno veloce, tenace, nella fame
vorace del risveglio.
________________
Ivano Mugnaini si è laureato in Lettere presso l’Università di Pisa, è autore di testi di poesia, prosa e saggistica. Cura il sito letterario “Dedalus, corsi, concorsi, testi e contesti di volo letterario”, http://www.ivanomugnaini.splinder.com
E’ socio e collaboratore del Gruppo Internazionale di Lettura di Pisa.
Collabora, come autore di testi, con alcune associazioni culturali, tra cui “Il Teatro di Campana”.
Alcuni suoi racconti e poesie sono stati letti e commentati in trasmissioni radiofoniche di Rai – Radiouno e di Radio Alma di Bruxelles.
Fa parte della Giuria di alcuni Premi letterari, tra cui il Concorso nazionale di poesia “L’Astrolabio”.
Il suo racconto “Desaparecidos” è stato inserito dell’Antologia “Parole di Carta”, edita da Marsilio.
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E’ stato premiato o segnalato in alcuni concorsi letterari, tra cui:
Premio “Eugenio Montale” (Roma) – Sez. Inediti Italiani – Premio “Leopardi” , Recanati ; Premio “Lerici-Pea” (SP) ; Premio “Nuove Lettere” Istit. Italiano di Cultura (NA); Premio “Teramo” (TE).
Ha pubblicato la silloge “CONTROTEMPO” e la raccolta di poesie “INADEGUATO ALL’ETERNO”, (Felici editore, Pisa). In prosa ha pubblicato le raccolte di racconti “LA CASA GIALLA” e i romanzi “IL MIELE DEI SERVI” e “LIMBO MINORE” (Manni, Lecce).
Tra i critici ed autori che si sono occupati della sua attività letteraria o hanno scritto note o commenti sui suoi lavori, ricordiamo: Vincenzo Consolo, Gina Lagorio, Ferdinando Camon, Paolo Maurensig, Giorgio Saviane, Michele Dell’Aquila, Walter Mauro, Andrea Camilleri ed altri.
Segnalo, inoltre, alcuni lavori di Ivano Mugnaini, pubblicati a cura di Francesco Marotta su La dimora del tempo sospeso:
- Inadeguato all’eterno:
http://rebstein.wordpress.com/2008/07/21/inadeguato-alleterno-di-ivano-mugnaini/
- La congiura dei pazzi:
http://rebstein.wordpress.com/2008/09/11/la-congiura-dei-pazzi-di-ivano-mugnaini/
- L’amigdala:
http://rebstein.wordpress.com/2008/11/19/lamigdala-un-racconto-inedito-di-ivano-mugnaini/
- Il palcoscenico naturale:
http://rebstein.wordpress.com/2009/02/18/il-palcoscenico-naturale-di-ivano-mugnaini/
- Viale Voltaire:
http://rebstein.wordpress.com/2009/02/18/il-palcoscenico-naturale-di-ivano-mugnaini/
- Il mondo nuovo:
http://rebstein.wordpress.com/2010/01/26/il-mondo-nuovo/
- Panta rei:
http://rebstein.wordpress.com/2010/03/05/panta-rei/
- Il faro di Ustica:
http://rebstein.wordpress.com/2010/03/26/il-faro-di-ustica/
- Nota critica a “Ritorno alla spiaggia” di Lucetta Frisa:
http://rebstein.wordpress.com/2010/06/19/una-lettura-di-ritorno-alla-spiaggia/

4 risposte a “Ivano Mugnaini – poesie (post di natàlia castaldi)”
Grande poesia,davvero
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Ringrazio Natàlia per l’ospitalità in questo suo spazio e ringrazio chi ha letto i miei testi. Un caro saluto, e a rileggerci, Ivano
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ringrazio io te, Ivano. ci ritroveremo qui con la tua prosa entro pochissimi giorni.
grazie per la tua scrittura.
n.
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