Anche Carver ha scritto poesie | Daniele Gennaro, LietoColle 2009

La capacità che questi versi hanno di evocare l’in truglio misterioso di amore sensuale e punti di vista opposti, con artifici quasi metafisici adatti alle solite domande assillanti, questa capacità ci viene offerta come un dono, come in certi limoni rivieraschi nella cui spessa scorza sta la dolcezza, e la polpa sembra un contorno, o un sup porto adatto al nutrimento ininterrotto. L’amore dunque, e la carne, di cui si sfiorano i teneri sapori, senza contare la gioia dimensionale della fami glia, dimensionale perché queste poesie narrano di eventi, di concretezze certe, in un mondo che ha iniziato a vantarsi della propria incertezza. Non si ha paura d’essere provinciali, d’altronde bisogna anche essere capaci di costruire la propria mitografia, e non solo per conquistare un popolo di aficionados, ma se mai per poter affermare un giorno ai propri figli: “guarda qui, non sono nato a Denver, Colorado, ma tuo padre ha saputo cantare il tuo calcio al pallone o il tuo disegno colorato, e sai cosa ti dico, a qualcuno è piaciuto”. […] Dovremmo essere cosmonauti, per inten derci sulle parole, e d’altronde anche questo è un sogno naufragato. Ma la poesia resta pur sempre la miglior parabola possibile, con la sua azzurra “terrestritàe l’energia di cui è capace rende consistente il volo più ardito: in definitiva è proprio dall’alto che si riescono a vedere i segni determinanti del nostro mondo, le cicatrici più profonde, le vastità stupefacenti della superficie. Un poeta vitale come Daniele Gennaro ha questo di bello, ha i passi traballanti eppure sicuri del proprio cammino, senza alcun timore di sperimentare, prima virtù e segno di buon carattere per chi voglia ancora aver a che fare con la poesia, oggi.

dalla nota introduttiva Storie o non storie, questa è poesia di Elio Grasso

dalla sezione
Non sono, solo storie

Scherzetto in fa maggiore

Zoppico felice nel mio cappotto marrone
raggiungo canticchiando la piazza dove
vedo passare, parando aquiloni,
ricche signore in pelliccia e pavoni
leccati a moritura memoria.
Sollevo il naso, annuso la pioggia,
saluto il soldato che annuisce:
cappello di nuvole il cielo alabastro.
Mi vedo allora in piedi sul tetto
chi passa da sotto mi informa del mondo.
Sorrido e apro, levantino, le braccia
parrebbero ali, azzurre e tremanti.
Parrebbero, non sono, solo storie (stelle)
filanti formaggio da che spingo la fame.
Traveggolo e affabulo al primo che passa,
bruco insalate e cadute di stile.
Sorride Lazzaro da dietro il portone:
era un sosia il cadavere,
un sosia burlone.

Assenzio

Ribolle il tuo ridere bello di sole
mi sbellico anch’io e arieggio la stanza
dal pensiero del lupo cattivo che viene
miscelo ingredienti che profumano d’acqua
assenzio, cardamone, anice giallo
di turca azzurra speranza dipingo
sensazionale intensità dolcezza e tremore
mi aliti addosso la tua neve di maggio
evapora spenta in una clessidra di indaco smalto
scrivo, declino e mi sbaglio
sintatticamente ti amo poesia di natura
sei un dono, e applaudo all’aurora
che volteggia nel pallido mantello di ghiaia
che schiarisce, da grigio stellato al rosa brunoamaranto
magnifico appare al mio sguardo lucente
un mercoledì qualunque di un giorno cosacco
scorre la vita dall’occhio sinistro al mio naso
uno starnuto a chiudere il quadro
un bacio, sillabo arcuato
al piccolo secondo rubato.

Dalla sezione
Anche Carver ha scritto poesie

Legge

Legge con occhi di festoso incanto,
ormeggia il sogno a lato del mistero
con Iside che oltraggia il fitto, serio,
punzecchiare le ore.

Leggero e ficcanaso, in punta di piedi,
attorni parole ferrate di cavilli dubbiosi:
il Costarica dov’è?
Ove l’avorio finisce,
in qualche angolo di mondo,
il caldo equatore riscalda la stanza,
con trombetta e calzini,
cioccolata sul naso e gridolini di gioia,
per una pazza, sorniona
frittata di tempo
premuta sulla dormeuse bambino.

Se soffi sul dorso del cipriato visino,
vedrai stelle e natale a rivoli,
bagnare di lacrime il delicato ricordo.

Anche Carver ha scritto poesie

Fotografami e bevi il mio sbocciato amore
nel primo intermezzo di questo fiore avana
filigrana di stelle il tuo prudente sorriso
mi scolla di dosso la pregiata baldanza,
resta il tuo nulla,
in lontananza.
Anche Carver ha scritto poesie
masticato tabacco e pianoforti
misteriosamente monco di aggettivi
il suo stelo magico rende giustizia al giorno.
Per come dardeggia spalancando corride di polvere
per come danza sui talloni consumati,
sfiancati dal rye.
Mi ricorda una piccola buona cosa il suo scritto,
mi ricorda una piccola strana cosa quel coma inatteso.
Anche Carver ha scritto poesie,
seduto in macchina,
distratto da canzonette alla radio,
fino alla fine del grigio dei giorni,
malinconiche ciambelle il mattino,
verde dei prati e voliere spalancate,
parole listate a lutto nell’alba che torna
parole libere, stalagmitiche, eleganti,
segnano il passo
per un nuovo racconto.

Dalla sezione
Psichiatra di giorno

Psichiatra di giorno

Traballo e mi espongo tenue di cose
scafato filippico stanco sillabo spento
nell’occhio trovato nel posto che non
dico e ti ascolto frappè di malinconiche
note sprimacciato invalido di sentimento
amputato lo sguardo che ammicca e si
inoltra il sentiero del dire e non fare
ex adjuvantibus è la prova del nove
minaccio un ricovero, ma poi non lo
faccio.
Son buono e cattivo
terribile e scaltro
psichiatra di giorno
e vattelapesca di notte.
Mi inebrio di zucchero d’uva pinnacola
stancata al lumino della sera sterrata:
dormicchio e il sogno che arriva
rappresenta il fine ultimo e sacro.
l’impossibile storia
riprende, seduta,
nell’angolo morto di un esagono di luce.

Alba

Solo, filtro aurorali vizi, sto limpido appeso alla finestra
l’inferriata ha bisogno di essere riverniciata, penso.
Di ombre non ho traccia nei pensieri, noleggio palme,
allestisco baie di acque rotonde con delfini lucenti nel sole.
Amici, vi vorrei con me, a gioire, rimbalzando parole
fra leccornie e meravigliosi frutti giallo-arancioni,
fragole e divani, arabeschi anfratti umidi e sipari di seta.
Solo, filtro pittoreschi paesaggi di brillante azzurro,
nuvole basse attutiscono il precipitare in mesto
silenzio, ronzio basculante nel docile andar di pensiero.
Foglie tenere, insalate verdi di profumo, olivastro egiziano
indosso guanti per non rovinare, rovistando nel cespuglio,
le timide parole del buongiorno.

Dalla sezione
Prima di te c’è l’amore

Lei è in continuo movimento

Solo e mattiniero mi alleno alla fine del giorno.
Quando il sonno dimentica il passo del tempo
aortico respiro l’acqua tiepida e sospiro il mio
primo pensiero danzante.

Raccolgo i vestiti e meraviglio lo specchio
con tiepidi sguardi rosseggio sospetti boscosi.
Profumo di legna bagnarola la notte e
fotografo te che, portuale perfetta, camalli da sola
una veranda fiorita:
gerani, genziane, vermigli perniti e radiosi buganzi
osservano nitidi fanfulli ubriachi colore del vino
violette assuefatte di profumi stregati e limoni
cedrati di sicula gialla risata splendente
nel verde del sole profondo di ottobre.

Tutto questo mi irradia, più dell’oro del Congo,
più del manto di strasse di una strada viennese,
più del dolce più sacher più marrone del mondo,
più del quadro picasso-dalì-mirò del mio Prado,
più di un parto per Boston andata e (forse) ritorno.

Tutto quello che aspetto è la linea, perfetta ed acuta
del tuo andare rotante, circolare e remato,
come un cargo abissino il mio cuore trainato.

L’amore

Solo chi ha l’amore capisce l’amore
vulnerabile rissoso aprire le porte
all’amore
insisto sul cuore amore e dolore
invano fuggire da queste parole
non carrucola fune né dispensa
fame
solo finestre aperte sul fresco mattino

solo chi ha l’amore detesta l’amore
quando soffoca e soffia delicato
armeggia col fuoco fiammato sul legno
scacchiera sbilenca di passeri uccelli
spiumati al livello del fosso più fondo
del pallido scavo del mondo

ma chi ha l’amore sopravvive all’amore
con tiepidi balzi si incurvano sentieri
caracollano pollici e indici assieme
si stringono vene ingrossate di fango
si accolgono imperi di egizi ricordi.
Saluto gli amanti e finisco la notte
licantropo sorriso, unguento di stelle.

Dalla sezione
Jazz

Jazz

Stiletto colpo su colpo
iris e pruni perduti
memoria celata nel gioco di perle
caffè nitidi e francesi,
ancora.
Asfalto bagnato riflette
pensieri bagnati
(come sarebbe possibile il contrario?)
Mi chiudi in nicchia
mi piace pensarti riflessa (ripeto)
nell’occhio che brilla di pollini dolci.
Primato di rara bellezza
mi piaci
e amaranto il mio umore
solleva con brio
le note azzurre del pomeriggio
d’estate
che occhieggia, permaloso,
al limite-specchio
del libero cielo.
Tetti spioventi le tue spalle,
amo il modo che hai
di guardarmi.
Avessi tempo:
avessi tempo sarei astratto
e Chagall
con alberi e fiori assolati
musica jazz.
Musica.

Marta colora

Da quale paradiso,
aggiustando le ali,
profondamente
voli?

Non mi interessano
le candele azzurre,
né le robuste agavi
di Eleuthera,
navigherò a vista,
Montevideo e
Creta, con labirintici
attenuati sguardi.
Navigherò a vista,
nel salire tritone,
profondo di corallo
e nebbia,
assorto nell’acciaio
vetro di un bel
sogno arcodistelle,
spuntato di matite
colorate nel cielo,
di Marta,
con nuvole
e soli che ridono,
gialli di
senape,
sesamo e
rose.

Dalla sezione
Wallpaper

Wallpaper

Rotoli di carta avvolgono il cuore pensiero
mistral e scirocco soffice spuma di Cassis
lamento barbaro di cuci e ricuci le ali
spazzola e pettine per limare per bene
le fronzolanti appendici del dono sfogliato
come prima, originale prova d’attesa.
Sale l’angoscia da dietro il muretto
spinge il davanzale duro contro la schiena
mi mancano le forze forse ma non svengo no
probabilmente sono padrone di me stesso,
non dirlo troppo forte però.
Mi voglio mettere di buzzo buono e remare
la barca fino alle stelle grigie
fisse e pendule nel breve tramonto
che separa l’essere qui e altrove.
Che pellicani e nuvole di primule nere
annuncino felici la pioggia di terra e
sabbia,
un’onda selvatica piena d’odore di morte
ristagna l’acqua in pozze di sole.

Ombre

Questa mattina nel mio solito modo
ho scaricato la lavapiatti al profumo
del caffè
tu mi aspetti assonnata
ho contato quattro biscotti
nella ciotola di legno
quattro timidi biscotti
per iniziare la giornata
vale la pena amore mio
toglier di mezzo tutta la fiandra odorosa?
Delicata la pioggia dopo il temporale
luce bianca rende il verde brillante
occhiali per me
vedo chiaro ora e ti guardo
appollaiato su un ramo un uccello
mi guarda a sua volta
giro piano i miei occhi e mi perdo
nel pensiero che un giorno (questi occhi)
non sapranno vedere il brillante del sole
e le mele saranno ombre gialline
nell’ombra nera del prato.

Vicini

Mi sono infilato nottetempo
nella casa accanto.
Ho svegliato i vicini
abbiamo bevuto assieme un bicchiere.
Mi hanno raccontato la loro vita
che sfiatava fumo.
Abbiamo visto foto
raccolto immagini
abbiamo riso
stabilito regole di buon vicinato.
Allegro sono tornato assonnato
al mio letto
mia moglie dormiva spenta nel buio
ho riempito i miei occhi di sole
e raggiunto la sesta dimensione barocca
del soffio fatale
che rende le cose assemblaggio di musica,
odori
e coltivata speranza.

Life

Ho letto di Chatwin oggi, come amava viaggiare,
come non sapeva di poter morire, giovane.
Ho l’età in cui Chatwin morì,
ho quasi l’età in cui mio padre morì.
Voglio muovere i miei occhi,
voglio dipanare trecce di folgori,
voglio riparare porte divelte dal niente
che ride.
Voglio incontrare il bersaglio perfetto,
e, ancora, mirare, sparare e cadere
se la mira non viene.
Voglio tenere la mano di mio figlio
per mano alla mia.
Voglio tornare alla casa di quando
cadevo bambino dalla scala del mondo.
Voglio rincorrere il mio cane e spiarne
le mosse e capire il movimento del cuore
che palpita.
Voglio abolire parentesi, virgole, maiuscole
e regole.
Voglio sparare a quel bersaglio ancora,
voglio la vita che muove altra vita.
Voglio la testa, qui sul piatto,
di chi, avido,
toglie vita
alla vita.

Genova

Intanto stai stirando
un vestito leggero a fiori
fuori canta il sole di un
esterno cortile ombroso
ritagli barchette e aereoplanini
mentre docile imprimi passi
tovaglie a quadretti lise ai bordi
ospitano tazze e pezzetti di carta
scontrini e biglietti scaduti del tram
così lasci un ricordo del tuo nuvolato ieri.
Allineo scodinzolii di primavere e cinquantamila lire.
Quando a Genova sfollavano i vicoli tristi gabbiani grigi
sudati ritiravano i passi alla Panteca Volante dove per la prima volta
ho amato ubriaco il tuo timido non eludere il mio più puro, teso e profondo
chiederti in prestito al mondo.

Svitol

Oggi non ci sono per nessuno
nemmeno per la palestra attrezzata
dei miei più sordidi vizi.
Arrembo coste mai viste
desideri urbani e pedoni distratti
attraversano la tua bellezza
e ingombrano, con i loro piedi,
enormi barili di nebbia
posa la penna e fai tesoro di ciò
che ti dico adesso:
“Temi di più il non esserci o
l’elegante dubbio della vita?

Una raccolta comprendente 50 poesie abbastanza brevi, divise in sei sezioni. L’autore, Daniele Gennaro, classe 59, è uno psichiatra di quel Piemonte alessandrino che guarda a media distanza le selve e i mari della Liguria. Genova fa ben sentire la sua influenza, così che possiamo parlare di una terra lieve e mesticata. Gennaro scrive con la sua penna affilata versi veloci e fortemente impressionistici, poco attenti alla sonorità. E’ un rifarsi, il suo, a una poesia prosastica che appunto canta poco e solo per avventura, e che secerne immagini spesso impreviste accostando parole desuete con altre a noi molto vicine nel tempo; e anche, spesso usando verbi inventati traendoli da certi sostantivi. Il titolo richiama alla poesia in forma di prosa (o viceversa) del grande scrittore di racconti americano e forse è la cosa meno riuscita di questo buon esordio. Apre le danze una bella prefazione di Elio Grasso.

Franz Krauspenhaar