Cosa succede all’interno di una redazione come la nostra quando arriva una studentessa di diciassette anni, che è lì davanti a te, con le sue prime folgoranti letture, che sono tali perché ne mancano ancora tantissime, così tante che nemmeno una vita intera potrà esaurirle tutte (e qui non importa quanti anni tu abbia, vale per ogni età)?.
Succedono molte cose, la maggior parte di queste inaspettate, ma facciamo un passo indietro.
Quando a inizio anno Annalisa Grulli mi ha proposto di accogliere una studentessa all’interno del nostro lavoro quotidiano, di farla partecipare non come presenza simbolica ma come parte attiva del processo redazionale, ho accetto senza riserve perché Poetarum è anche un laboratorio e dentro i laboratori creativi c’è sempre bisogno di sperimentare, non vedo alternative.
L’idea alla base nasceva da una collaborazione precisa, quella tra Poetarum Silva e il Premio Didot, ma solo qualche mese dopo ho capito che tutto questo metteva in gioco qualcosa di più sottile: noi membri della redazione e la necessità di far dialogare tempi diversi della lettura e della scrittura, lasciando che l’urgenza delle prime scoperte incontrasse lo sguardo più stratificato di chi, con i testi, lavora da anni.
Il percorso di Clelia Ciccarelli, studentessa della classe 4ªG dell’Istituto Meucci di Carpi, iniziato il 13 ottobre, si è intrecciato fin da subito a un confronto reale e continuo.
Abbiamo affidato a Clelia una lista di titoli suggeriti, l’obiettivo era di immergerla in una lettura specifica e lavorare su quella. A sorpresa, Clelia ha scelto Biglietto di sola andata di Muriel Spark, orientandosi verso un romanzo che elude deliberatamente le convenzioni del thriller per inoltrarsi in territori più inquieti e ambigui dell’esperienza umana, mettendo radicalmente alla prova categorie interpretative consolidate. Non proprio un testo facile ma, attorno a questo breve e denso libro, ha preso forma il suo primo articolo culturale, sviluppato attraversando tutte le fasi del lavoro redazionale: dall’analisi critica alla definizione di un punto di vista, dalla stesura alla riscrittura, fino all’editing finale.
Il processo è stato scandito da momenti di confronto costante: call di discussione, telefonate, mail, scambi ravvicinati in cui il romanzo veniva smontato e rimesso insieme, interrogato nelle sue zone d’ombra, nelle ambiguità morali, nelle scelte narrative più perturbanti. Questi momenti non sono stati semplici passaggi di verifica, ma veri e propri spazi di riflessione condivisa, in cui la lettura di Clelia, libera da molte sovrastrutture critiche, ha spesso aperto piste inattese.
Per chi accompagnava il percorso, questo ha rappresentato una sfida reale: rallentare, rendere esplicite le proprie categorie interpretative, accettare che alcune risposte nascessero prima delle domande. In questo dialogo, non sempre lineare ma fertile, abbiamo compreso quanto una voce in formazione, se ascoltata con pazienza e senza pregiudizi, possa diventare un interlocutore pienamente legittimo.
Non si è trattato di trasmettere un metodo, quello verrà col tempo e Clelia scriverà (e questo è un mio sincero augurio) ancora tantissimi articoli imperfetti, forse ingenui, talvolta discutibili, e non c’è nulla di più naturale: provate a rileggere i vostri primi scritti, capirete di cosa parlo.
La scrittura critica e il giornalismo culturale non nascono già risolti e questa è una benedizione: prendono forma nel tempo, attraversando tentativi, esitazioni, errori necessari, testi che servono soprattutto a capire cosa non si vuole ancora dire.
È proprio questo accumulo, fatto anche di prove fragili, a costruire una voce riconoscibile e una responsabilità verso le parole.
In una telefonata con Clelia, che porterò dentro di me con affetto, le ho detto che linguaggio e scrittura sono strumenti potentissimi perché quando trascendono la pura capacità di descrivere il mondo, finalmente lo plasmano.
Con la pubblicazione del suo articolo, il nostro calendario editoriale del 2025 si chiude, segnando il risultato tangibile di un percorso condiviso e intenso. È la conclusione di un anno sorprendente per Poetarum Silva, pieno di crescita, di sfide accolte e di scoperte inattese.
Ringrazio di cuore i nostri lettori e le nostre lettrici per averci accompagnato in questo cammino: la vostra attenzione e il vostro entusiasmo sono parte viva di tutto ciò che facciamo.
Ci rivediamo online a partire dal 7 gennaio 2026.
Giulia Bocchio

Lise, ma chi sei davvero?
Di Clelia Ciccarelli
«Lise è magra. È alta circa un metro e sessantacinque. Ha i capelli castano chiaro, probabilmente tinti, con una ciocca chiarissima nel mezzo che parte dall’attaccatura e arriva fino alla sommità della testa; i capelli sono corti ai lati e alla nuca, cotonati. Potrebbe avere ventinove anni come trentasei, ma è improbabile che sia più giovane o più vecchia. È arrivata all’aeroporto; ha pagato il taxi in gran fretta e con una sorta di astratta impazienza, come se non vedesse l’ora di essere altrove. Lo stesso col facchino, mentre la segue con la valigia al check-in. Sembra che nemmeno lo veda. Ci sono due persone davanti a lei. Lise ha gli occhi distanti, grigio-azzurri e spenti. Le labbra sono una linea dritta. Non è né bella né brutta. Ha il naso più corto e più largo di come apparirà nell’immagine ricostruita, in gran parte grazie al metodo dell’identikit e in parte grazie a una fotografia vera e propria, che a breve sarà pubblicata sui giornali di quattro diverse lingue».
Muriel Spark anticipa, attraverso il primo di numerosi indizi disseminati nel testo, l’informazione attorno alla quale si sviluppa Biglietto di sola andata (Adelphi, trad. di Monica Pareschi): la morte della protagonista Lise. La scelta di rivelare subito l’evento che genera più tensione confonde il lettore, ma questa scelta è calcolata e vuole spingerlo a una riflessione sui fatti collaterali; non si tratta, quindi, di un thriller tradizionale che accompagna chi legge alla soluzione. In questo romanzo si crea un vortice di eventi, sensazioni ed indizi all’interno del quale il lettore viene condotto, poi disorientato ed infine abbandonato completamente a se stesso. Solo, fin dal secondo capitolo, e privato del proprio ruolo di investigatore interno al lettore non rimane altro che osservare la narrazione di Lise nel suo ultimo giorno di vita, giudicandola e chiedendosi il perché dei suoi comportamenti. Viene rovesciata la posizione rispetto al tipico coinvolgimento all’interno della trama dei gialli più classici.
Succubi della narrazione distaccata di Spark i fatti appaiono talvolta assurdi, le scelte difficili da comprendere e condividere, e così da un personaggio così eccentrico, appare quasi naturale la disposizione alle bizzarrie. Fin dalle prime pagine Lise risulta completamente estranea al resto della società; controcorrente rispetto ai gusti e alle abitudini tipici dell’Europa dell’inizio degli anni Settanta e come tutto questo non le importi.
Tuttavia, questa donna è dilaniata da continue contraddizioni: sa di essere differente da tutti e si compiace di questa sua posizione, ma la sofferenza che prova in questa condizione si trasforma in una profonda solitudine che la spinge a desiderare, nello stesso tempo, di poter essere come le altre persone che la circondano. La sua è una personalità totalmente frammentata; per il lettore è difficile, nonostante la sua morte, empatizzare con lei perché, nel corso della narrazione, è Lise stessa ad essere artefice delle proprie disgrazie, utilizzando quasi un meccanismo di autodistruzione. Lise è consapevole delle conseguenze per proprie azioni: Muriel Spark crea un personaggio ambiguo e mai equilibrato, un personaggio che oscilla in continuazione tra il ruolo di vittima e carnefice. L’ago di questa bilancia, in moto perpetuo, non si arresterà mai, nemmeno nell’epilogo, lasciando il lettore perplesso di fronte a una donna incapace di distinguere il bene dal male. Ma quanto può essere difficile determinare questo confine? Forse la verità sta nel centro e l’obiettivo non è schierarsi dalla parte della vittima, né da quella del carnefice; ma leggerle entrambe, cercando di comprendere il più possibile, in modo da formare un’unica visione completa. Forse l’obiettivo non è separare ma unire e questa è l’idea dietro il personaggio di Lise, che non diventa più una donna da compatire, né da giudicare; semplicemente una donna che non è riuscita o probabilmente non ha voluto scegliere solo una parte di sé.
Il processo narrativo di Muriel Spark, con la sua schiettezza, freddezza e impersonalità, non mirava tanto a far immedesimare il lettore nella protagonista, quanto piuttosto a coinvolgerlo nella narrazione e nella mente di Lise, inducendo un’empatia così intensa da confonderlo.
Tutto pensato in modo tale da porre il lettore al fianco della protagonista e poi, nel momento più concitato, allontanarlo bruscamente. Così l’autrice contrappone al punto di vista di Lise, quello esterno della polizia che indaga senza sosta sul suo omicidio, fin dalle prime pagine; utilizzando le due prospettive quasi come facce della stessa medaglia. Un momento prima si è sopraffatti da tutto ciò che accade; mentre l’attimo dopo si arriva ad estraniarsi da tutto, quasi vedendo davanti a sé il quadro generale della propria vita. Un metodo per far continuare a girare su se stessa quella medaglia, creando un ritmo costante e stabile, in modo che non si fermi mai appoggiandosi su di un lato e facendo prevalere l’altro.
È un gioco di equilibrio quello che ci insegna indirettamente Muriel Spark, che trascende le epoche, le generazioni e le mode. Un insieme di istruzioni per il dosaggio che ci porti a riflettere su come concentrare al meglio i nostri sforzi nell’eterno bilanciamento di quelle due facce. Uno stile che fa da collante all’interno del racconto e che, inconsciamente quasi per osmosi, ci funge da esempio di quanto ci si possa far trasportare dai propri sentimenti e quanto, invece, sia sano distaccarsi, sporadicamente, dalla tempesta di emozioni che è la vita.
Quando si presenta un personaggio così estremo come lo è Lise, all’interno di un libro, diventa particolarmente semplice suscitare critiche da parte di chi legge. Ci si ritrova ad osservare dall’alto verso il basso la protagonista, come fossero chiare le scelte sbagliate e quelle più giuste da prendere; come se si sapesse distinguere in un modo migliore il bene dal male.
Questa posizione viene negata da Muriel Spark e la nostra abilità di giudicare gli altri entra definitivamente in crisi. Davanti ad ambiguità e concetti che non possono essere definiti solamente in due semplici categorie, la nostra mente lineare diventa impotente. Ci ritroviamo messi all’angolo, l’epilogo elimina ogni certezza: nonostante non si tratti di un finale aperto, restiamo con più domande che risposte.
Chi di noi può considerarsi il vero maestro nel bilanciare quella medaglia? Nessuno. Nessuno può, in fondo, arrogarsi il diritto di tracciare linee generali cui tutti debbano attenersi.
Ci restano solo esperienze ed esempi, come quello di Muriel Spark, ma anche di tanti altri autori, da osservare, interrogare e interiorizzare. La letteratura, con le sue infinite sfumature e prospettive, diventa un laboratorio di esperienze umane: guide silenziose da cui trarre insegnamenti, riflessioni e strumenti per navigare l’incertezza della vita, senza mai illuderci di possedere verità assolute.
Ogni opera e ogni voce rivelano, ciascuna a modo proprio, la complessità dell’esistenza e la vulnerabilità delle nostre convinzioni. Non forniscono risposte definitive, ma offrono opportunità di ascolto ed interrogazione, invitandoci a sostare nell’ambiguità senza ricorrere a scorciatoie. È in questa tensione persistente, più che nelle conclusioni, che si deposita il valore più duraturo dell’esperienza.

Ringraziamenti
Lavorare e scrivere per una rivista culturale significa convertire un atto intimo come quello della lettura. Leggere ci attraversa, le parole entrano letteralmente dentro di noi: occhi, mente, corpo. Siamo noi e un’opera fino a quando diventiamo noi e un’idea, una pagina word, una redattrice o un redattore e una scadenza. Quello che decidiamo di condividere spesso nasce da una parola nel testo o dalla sensazione che di quel testo si possano dire molte altre parole; si cita la grande letteratura come succede ancora oggi per l’Ulisse di Joyce, se ne rintraccia una nuova come fu con New Italian Epic, si ricordano i classici, si stronca un titolo, si tenta un collegamento con l’attualità.
Quella che avete letto è la prima pubblicazione di Clelia Ceccarelli, studentessa dell’istituto Antonio Meucci di Carpi, con lei ha inizio il progetto di Poetarum Silva per le scuole in collaborazione con il Premio Didot.
Clelia è una studentessa che si è distinta per impegno e serietà all’interno della comunità scolastica; quando si è confrontata con la redazione, non aveva ancora trovato la parola che l’avrebbe guidata fuori dalle sue letture. Il lavoro svolto insieme a lei riflette esattamente ciò che Poetarum fa ogni giorno: un percorso di ascolto e confronto che rispetta la pluralità delle voci e delle prospettive che animano questo progetto culturale.
Leggere non basta, bisogna ascoltare le opere, scoprire in quale luogo possono condurci, immaginare di raccontare la stessa storia con una voce diversa, studiare, leggere, rileggere tutto quello che ci permette di sviluppare un pensiero e scoprire cosa ci appassiona di uno scrittore, un genere o un romanzo.
Clelia ha saputo mettersi in discussione, ha accolto gli aiuti e i pareri che l’hanno guidata alla stesura di questo pezzo, è stata curiosa e capace di andare avanti.
I làttimi di Bassani sono stati la mia parola, il luogo dal quale non sono più tornata, auguro a Clelia e a tutti i futuri studenti che parteciperanno di trovare la loro.
Ringrazio Giulia Bocchio, Gisella Piccagliani e tutta la redazione di Poetarum Silva.
Ringrazio professoresse Valeria Pignalettli e Manuela Barbaro.
Uno speciale ringraziamento alla dirigente Viviana Valentini.
Annalisa Grulli
Sei un insegnante? Candida la tua classe
Sostenere i giovani significa anche fare rete con chi li guida e li accompagna, con chi sa riconoscere una voce inedita e incoraggiarla. Se desiderate proporre la partecipazione della vostra scuola all’edizione 2026 del progetto, potete scriverci all’indirizzo silvapoetarum@gmail.com, con oggetto ‘Poetarum per le scuole’.

