Rubrica a cura di Annachiara Atzei
Quando, tre anni fa, è stato istituito il Premio Strega Poesia, la speranza di molti, o almeno la mia, che amo la poesia visceralmente, era che finalmente quest’arte trovasse un luogo non dico di legittimazione – perché la poesia è “immaginazione incarnata in un qui e ora senza date”, per dirla con Octavio Paz – ma almeno di ribalta, considerato che si tratta di una forma letteraria ancora ritenuta di nicchia (o, senza falso romanticismo, poco venduta o vendibile). In un mercato all’interno del quale le case editrici di sola poesia non traggono nessun evidente profitto ed è difficile farsi notare, soprattutto per gli autori emergenti o che pubblicano con piccoli editori, ipotizzare uno spazio che catalizzi l’interesse dei lettori (gli addetti ai lavori conoscono già bene i meccanismi di nascita e diffusione dei libri) e che diventi centro di propagazione della parola poetica appariva e appare, quindi, urgente e necessario.
Non che non esistano altrove eventi, festival, riviste o librerie che diano ai poeti e alle loro opere il rilievo che meritano ma – si sa – il Premio Strega è fin qui, almeno per la narrativa, una istituzione: dal 1947, infatti, al netto di polemiche più o meno recenti che hanno a che fare con la genuinità e la trasparenza della manifestazione, tutti i più grandi nomi della letteratura italiana hanno ricevuto questo storico riconoscimento. Quale migliore occasione, dunque, per creare un indotto intorno agli editori minori e ai meno noti scrittori del genere?
Forse è presto per tirare le somme, ma un’analisi pur breve di ciò che è accaduto in queste poche
edizioni è possibile, per provare così a capire se davvero la poesia (tutta) cominci ad avere maggiore attenzione (e trovi maggiore spazio negli scaffali delle librerie) da quando è entrata a far parte dei generi premiati dallo Strega.
Nel 2023, la prima a vincere è Vivian Lamarque – che, di certo, non ha bisogno di presentazioni – con L’amore da vecchia (Mondadori). L’autrice concorre con nomi come quello di Silvia Bre, Stefano Simoncelli, Umberto Fiori e con Christian Sinicco. L’anno successivo, ottiene la vittoria Stefano Dal Bianco – docente di Poetica e stilistica – con Paradiso, edito per Garzanti. Insieme a lui, entrano nella cinquina Daniela Attanasio, Gian Maria Annovi, Giovanna Frene e Roberto Cescon.
Quello che palesemente appare, oltre al fatto che le raccolte premiate sono state pubblicate da grosse case editrici, è che i poeti vincitori siano autori esperti e ormai maturi d’età. E se, da un lato, non può dubitarsi del loro valore e della loro maestria, viene d’altra parte da chiedersi se l’intento del premio (almeno in origine) non fosse o non sia quello di omaggiare chi ha fatto della poesia (a pieno titolo, si badi) la sua carriera e che è ben rappresentato dagli editori che dominano il mercato. Questo parrebbe andare a svantaggio di scrittori più giovani e forse maggiormente capaci di sperimentare nuovi argomenti e linguaggi (o più audaci per farlo), salvo affermare che già il solo inserimento nella cinquina (o addirittura trai primi dodici classificati) sia motivo di prestigio, occasione di pubblicità o opportunità di diffusione più capillare del proprio lavoro. E, in effetti, in un ambiente in cui è così complicato essere ammessi e affermare una propria identità e poetica, la chance deve ritenersi di non poco conto.
Magra consolazione?
Chissà.
Quest’anno, le cinque opere rimaste ancora in gara sono: Diario di un autodidatta, scritto da Alfonso Guida per Guanda; La materia del contendere, di Giancarlo Pontiggia per Garzanti; Sorelle di confine, edito da Marco Saya Editore e scritto da Jonida Prifti; Cinema Persefone, per Arcipelago Itaca, di Marilena Renda e Il brusio, di Tiziano Rossi, per Einaudi.
Accanto a nomi meno conosciuti, ma non per questo meno significativi e degni di nota, spiccano quelli di poeti importanti, dei quali certamente l’opera è stata, nel tempo, più letta e apprezzata e che sembrano avere tutte (le sole) carte in regola per ottenere lo Strega.
A partire da Prifti, albanese trapiantata in Italia vent’anni fa, che quasi inventa una nuova lingua e nuove sonorità, passando per la riflessione di Marilena Renda sul dolore e la violenza troppo a lungo taciuti, fino al diario “osceno” e ancestrale di Guida, per immergerci nel “Panta rei” di Pontiggia e, infine, nella poetica fenomenologica di Tiziano Rossi, Poetarum Silva pubblicherà interviste e approfondimenti sulle opere e gli scrittori in concorso, in vista dell’ assegnazione del premio che si terrà il prossimo 8 ottobre 2025, a Roma, alla Casa dell’Architettura di Roma presso il complesso monumentale dell’Acquario Romano.

Se è vero – come si diceva all’inizio – che la poesia ha già una sua pertinenza e non ha bisogno di legittimazione o di consacrazione che provengano da circoli o caste, poiché è il lettore ad avere il solo potere di eternarla, non si confondano gli onori calati dall’alto e l’autoreferenzialità con la pratica faticosa della parola in versi. In questo confine che appare (per ora) fin troppo definito e stretto, in cui si scrive – spesso magari snaturandosi – con la giusta aspettativa di entrare in un mondo dai canoni prestabiliti e oggi probabilmente privi di senso, è giunto il momento di credere che una scrittura che non sia l’esito di ispirazione regressiva o inconsapevolezza, ma che sappia penetrare l’attualità nei temi e nelle forme, anche al di là di regole fisse, sia, insieme a una lettura attenta e non meramente occasionale, l’unico vero segreto della circolazione e della conoscenza da parte di un pubblico sempre più vasto (e competente) dei libri di poesia. Che sia, in altri termini, motivo della loro auspicata moltiplicazione. Nel bel saggio Il metaverso – Appunti sulla poesia al tempo della scrittura automatica (Quodlibet), Gilda Policastro, nel ragionare su una coincidenza possibile tra orizzonte pragmatico e orizzonte ideale della poesia, scrive: “Sembra questa la preoccupazione più resistente della poesia che andiamo scrivendo in questi decenni: farla stare nello spazio ristretto di un codice, contenere il pensiero in una sola, visibile indicazione, prevedere coordinate che ci facciano geolocalizzare. Scriviamo versi, trovateci”. Questo obiettivo – che, chi scrive, non stenta a comprendere – perde di significato davanti alla domanda: “ma qual è il canone?”, oppure: “chi è il vero poeta?” e “Chi può decretarlo?”.
Si tratta, a ben vedere, di quesiti capaci di rimettere tutto in discussione, a cominciare dall’ assegnazione dei premi, anche prestigiosi.
Probabilmente, il vincitore dell’edizione 2025 del Premio Strega Poesia sarà in linea con i precedenti – quasi ricevesse una sorta di “premio alla carriera” – mentre i tre outsider avranno quantomeno potuto godere del vantaggio che si discuta intorno alle loro opere non solo da parte dei tecnici (che potranno recensirli e criticarli) ma – si auspica – anche da parte dei fruitori. E sembra che, giunti appena alla terza edizione, già si definisca un ingranaggio impossibile da scardinare, sia dall’interno che dal di fuori: che i “piccoli”, gli sconosciuti, non possano competere (e non perché non ne abbiano il passo) con firme più illustri. Ma lasciamo il beneficio del dubbio, proviamo a non rovinarci il finale.
E soprattutto, lasciamo che la parola vada ai lettori. A loro non resta che fare esercizio di immaginazione attraverso la lettura delle raccolte che più susciteranno curiosità.
In fondo – ben oltre le questioni che riguardano il sistema e il mercato – è questo il vero privilegio.
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Ecco, nell’ordine, quando potrete trovare online i nostri approfondimenti:
Venerdì 12 settembre dialogheremo con Marilena Renda del suo Cinema Persefone;
il 15 settembre ci occuperemo de La materia del contendere, di Giancarlo Pontiggia;
il 22 sarà invece la volta di Tiziano Rossi, con Il brusio;
il 29 è il turno di Diario di un autodidatta, di Alfonso Guida;
venerdì 3 ottobre chiuderemo, infine, con l’intervista a Jonida Prifti a proposito di Sorelle di confine.
Non perdeteveli.
In copertina: La cinquina di quest’anno (fonte foto: sito ufficiale del Premio Strega)

