,

Just Dropped In – Anita Paolicchi x Astarte Edizioni

Intervista a cura di Annachiara Mezzanini

 

Seduta nell’aula studio all’ultimo piano dei Tolentini, ad uno dei banchi dal cuore nero – fuori, il primo temporale dell’anno non lasciava più intravedere il campanile dei Frari e mi ricordava che non avevo portato con me l’ombrello – conobbi Astarte Edizioni per la prima volta. Era l’instabile lasso di tempo che mi separava dalla laurea; periodo durante il quale avevo già un’idea, una relatrice, una prima bozza, ma non ancora un tirocinio. Lessi alcuni titoli online proposti dalla casa editrice e capii immediatamente che il loro filo poteva condurre tranquillamente anche a me e alla mia ricerca.
Donne, lotta, Iran, immagini. Una parte del loro tutto mi stava chiamando e quella moltitudine di voci a cui volevo dare ascolto mi stava, finalmente, fornendo uno spunto da cui partire. E, ancora, mare, mito, presenza, resistenza. Ogni testo, ogni ricerca, conducevano a prospettive spesso taciute, ma di profondo interesse. Successivamente, terminato il mio personale peregrinare lungo le rive scoscese dell’università, approdai a quest’isola fatta di lettere e sguardi – da un’isola, Venezia, a un’altra isola, il mio mondo – e ritrovai Astarte.
Fu Testo, a Firenze, a farci rincontrare. Questa intervista, confluita in JDI, nasce da quell’incontro casuale e dalla necessità, mia, di poter descrivere attraverso le parole degli altri un mio momento di formazione.

 

 


 

A.M: Partiamo dall’immagine. Il vostro nome evoca immediatamente una figura antica e nei secoli venerata, la dea Astarte, e una serie di rappresentazioni a lei collegate, capaci di creare un insieme visuale molto potente e suggestivo. Le radici del termine penetrano in profondità l’immaginario specifico di una fetta di mondo, quella che – in parte – avete scelto di raccontare e plasmare attraverso le vostre pubblicazioni. Ma chi è Astarte, per voi? In quale forma della dea vi riconoscete?

A.P.: Astarte è una divinità fenicia diffusa in tutto il mondo semitico ed attestata nell’intero bacino mediterraneo con diversi nomi. Ci è sembrato quindi che incarnasse perfettamente due concetti-chiave del nostro progetto editoriale: in primo luogo il desiderio di raccontare un Mediterraneo composto da identità diverse ma con una storia comune, in secondo luogo il fatto che si tratta di un progetto a conduzione interamente femminile. Assimilata talvolta ad Afrodite Urania, talvolta a Iside o a Cibele, Astarte è una dea creatrice di vita e la stella del mattino, che porta la luce nell’oscurità, proprio come immaginiamo noi che possano fare i libri.

A.M.: Il Mediterraneo fa da cornice a molti dei vostri testi. Anch’esso ricorda, nella sua travagliata storia, una divinità oramai abbandonata; altra immagine che ha abitato gli scritti e la fantasia di innumerevoli popoli che vi si sono affacciati, susseguendosi nel tempo sulle sue rive. Oggi, il mar Mediterraneo è spesso confuso con una zona di conflitto, assimilato all’idea di naufragio più che di viaggio di scoperta – come poteva essere invece in antichità. Da culla di variegate narrazioni,
letterarie, mitologiche, fantastiche, a gorgo fatale per chi spera di trovare una vita diversa oltre le sue onde. Vorrei sapere, per voi, quali immagini restituisce tale mare?

A.P.: Il nostro obiettivo è raccontare il Mediterraneo in tutte le sue sfumature, sperando così di contribuire alla riscoperta di un’identità mediterranea di cui facciamo parte, perché siamo certe che attraverso la conoscenza reciproca possiamo scoprirci e riscoprirci più simili di quanto apparentemente possa sembrare. Per esempio, attraverso la collana Azzurra, dedicata alla poesia e alla narrativa straniere, cerchiamo di restituire la pluralità di letterature dei Paesi che si affacciano su questo mare, così che pagina dopo pagina anche chi è meno familiare con le culture del nord Africa o dell’Oriente mediterraneo possa scoprire somiglianze o affinità con il proprio mondo e progressivamente magari riscoprire la propria identità “mediterranea”. Come l’ha definita la direttrice di collana Barbara Sommovigo, la collana Azzurra è “traghettatrice di storie”, una specie di moderno Caronte, non intento a spostare le anime da un mondo all’altro, ma desideroso di far conoscere nuove storie da una sponda all’altra. Con la saggistica raccontiamo invece l’attualità del Mediterraneo. Per esempio la collana Hurriya (che in arabo significa “libertà”) tratta di fenomeni migratori, cercando di sfuggire allo sguardo pietistico per indagare invece le identità e le prospettive delle soggettività che si spostano fra i continenti. La nostra visione di un Mediterraneo comune, attraversato da mobilità diverse, si scontra con la realtà di uno spazio che si è trasformato in un’enorme frontiera sempre più militarizzata: una frontiera che attrae, respinge, uccide: le ricerche raccolte dalla collana sono accomunate dalla critica verso l’attuale regime dei confini e dall’interesse per le molteplici forme in cui rivive la più antica libertà umana: quella di scegliere dove vivere.

A.M.: Leggendo il vostro Manifesto, non ho potuto fare a meno di notare una certa somiglianza con il codice dei beni culturali, tutt’ora in vigore in Italia. Il vostro primo punto si impegna a valorizzare la cultura mediterranea, intesa come una miscellanea di immagini, un vero e proprio patrimonio materiale e immateriale, fatto di arti, voci, storie e – soprattutto – di persone. Alla luce di questa bellissima prospettiva, cosa significa per voi creare un libro?

A.P.: Quando si guarda un libro si tende a vedere solitamente solo il suo autore o autrice. In realtà quello del libro è un mondo complesso, in cui si incontrano tante professionalità. Per noi si tratta di un lavoro di squadra a cui teniamo moltissimo, dai comitati che selezionano e curano i testi, agli editor che li perfezionano, ai correttori, e poi alla parte di comunicazione e ufficio stampa, fino ai librari e le libraie. Sono reti preziose fatte di persone, che sorreggono il mondo del libro in Italia e all’estero: una catena in cui ogni anello svolge un ruolo fondamentale.

A.M.: Voi vi state misurando con una realtà, quella italiana contemporanea, che spesso non si sofferma a lungo sugli immaginari mediterranei e mediorientali. Molte altre forme di narrazione, in primis quella visiva delle immagini che navigano i social e le televisioni, cui siamo in un certo senso ostaggi, hanno formulato specifiche teorie nelle menti della folla che sta al di qua del mare (tornando alla presenza del Mediterraneo). Nel campo dell’arte contemporanea, soprattutto estera, c’è già da qualche anno l’idea di de-costruire questo sguardo fatto di stereotipi e immagini deformate. La decolonizzazione dell’arte è riuscita, in qualche modo, ad insinuarsi nelle grandi manifestazioni internazionali, come quella di Venezia o di Kassel, attraverso personalità dirompenti come Okwi Enwezor, ma come può la letteratura prendere spazio in questa battaglia culturale? In merito a questo, dove si pone il vostro punto di vista e di partenza?

A.P.: Pensiamo che il primo passo sia rendere accessibili a chi legge voci che altrimenti non potrebbe conoscere: per questo motivo abbiamo cominciato il nostro percorso pubblicando traduzioni dal francese, dall’arabo e dall’inglese di romanzi da Algeria (Maïssa Bey, Samir Toumi), Libano (Charif Majdalani), Marocco (Hassan Aourid), Siria (Omar Youssef Souleimane), Palestina (Hala Alyan)… Il nostro sogno è poter fare un viaggio intorno al Mediterraneo attraverso la letteratura. Per questo un progetto che ci ha molto entusiasmato è stata la pubblicazione di La luna nel pozzo di François Beaune, una raccolta di centocinquantasette storie vere che raccontano la vita intorno al Mediterraneo. Ogni persona intervistata ha raccontato un episodio significativo della propria esistenza e dalla Grecia alla Palestina, dalla Sicilia all’Algeria quello che emerge è l’enorme somiglianza di queste voci, che compongono così una sorta di grande biografia collettiva che definisce l’esistenza di quello che potremmo chiamare “homo mediterraneus”.
Un secondo passo che abbiamo fatto è stato nella saggistica, scegliendo di pubblicare saggi (inediti o in traduzione) che abbiano uno sguardo decoloniale, che rovescino la prospettiva eurocentrica e ci aiutino a rimodulare il nostro sguardo. Personalmente uno dei momenti più rivelatori è stato lavorare alla pubblicazione del saggio Il trauma coloniale della psicanalista algerina Karima Lazali: nella cultura latina in cui siamo immersi normalmente raccontiamo l’espansione di Roma con lo sguardo dei romani, ma se ci spostiamo nell’ottica algerina è Giugurta che assurge a eroe, nel suo tentativo fallimentare di resistere al colonizzatore. Non a caso la figura mitica di Giugurta è stata “riscoperta” in Algeria negli anni della Guerra d’Indipendenza, creando la contrapposizione Giugurta-Roma come doppio di quella Algeria-Francia.

 

 

A.M.: Il superamento di un determinato sguardo e tipo di sapere riguarda anche la donna. Alcune collane da voi curate hanno proprio come obiettivo quello di dare voce alle molteplici esperienze e lotte femminili, ponendosi come nuove lenti attraverso le quali poter leggere il presente. Manifesta parla di questo e di molto altro…

A.P: L’idea alla base di Manifesta è quella di provare a raccontare le società, le comunità, i Paesi di un Mediterraneo allargato, che comprende l’area SWANA (acronimo di South-West Asia and North Africa) e che può comprendere anche i Paesi dell’Europa del Sud, attraverso la lente e la prospettiva di genere e un approccio femminista, decoloniale, queer e intersezionale.
La collana è nata nel 2023 e già conta varie pubblicazioni: abbiamo parlato di femminismo iracheno con Silvia Abbà (Il mio posto è ovunque), delle proteste in Iran con Rassa Ghaffari (Strade di donne in Iran), di queerness in Turchia con Deniz Nihan Aktan (Turchia queer), di nuova mascolinità arabe con Marta Tarantino (Uomini nuovi) e, da ultimo, di movimenti femminili e femministi in Palestina con Cecilia Dalla Negra (Questa terra è donna). Si tratta di pubblicazioni innovative per la loro impostazione e rigorose nella selezione delle fonti (spesso raccolte dalle autrici durante lunghe ricerche sul campo) e che per questo hanno ottenuto un ottimo riscontro dai lettori e dalle lettrici. L’entusiasmo con cui è stata accolta la pubblicazione
del libro di Marta Tarantino è per noi di incoraggiamento: sentiamo che – almeno in una parte di lettori e lettrici – c’è il desiderio di conoscere e ribaltare stereotipi, come quello che racconta “l’uomo arabo” come un’unità monolitica, patriarcale, mentre se osserviamo l’attualità con attenzione si può scoprire che ci sono grandi trasformazioni in atto nelle società del Nord Africa e dell’Oriente mediterraneo, dove stanno emergendo diverse forme di mascolinità positive che sfidano e ridefiniscono concetti e strutture di potere, sottolineando il cambiamento in corso e offrendo una prospettiva rinnovata su identità e ruoli.
Siamo convinte che i libri abbiano il potere di attraversare i confini, di unire voci distanti, di creare ponti là dove sembrano esserci solo muri. Curiamo i nostri libri con amore, ogni libro che pubblichiamo è per noi una sfida contro la narrazione uniforme e stereotipata dell’Altro che troppo spesso ci viene imposta. Ci immaginiamo un futuro in cui le storie di un Mediterraneo finalmente libero, plurale e autentico possano essere lette e comprese da chiunque, senza barriere né pregiudizi.

 

 

 


In copertina: La redazione di Astarte, composta da Anita Paolicchi, Carolina Paolicchi e Francesca Mannocci


 

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.