Una rubrica di Annachiara Mezzanini
Mora, bella, bionda. Pulita, ordinata, forte. Piccola, aspra, bambina.
Rincorrevi a piedi scalzi una prospettiva, un alito di vento, un qualcosa che dimostrasse a tutti
quanti la tua devozione.
Casta, ribelle, stanca.
Pensavi che la morte potesse essere solo un briciola di tempo, un intrattenimento prima del vero
salto.
Illusa.
Il tuo nome rimbomba ancora tra gli incensi e le muffe; una parentesi brevissima che fa rimbalzare la lingua sul palato una volta sola, sul finire del tempo. Spinge sui denti e poi scompare, come gli effluvi di un vaticinio mancato.
Sola, isterica, paziente.
Quante volte ti sei sentita rincorrere nella notte? Quel bruciore in fondo alla gola, quella caduta che mozza gambe e fiato. ‘Melanconica’ era il tuo soprannome, beffarda sentenza, scritta in caratteri scarlatti su di un foglio a quadretti blu. Mai più uscita da quel corridoio, San Servolo tuo compare.
Noiosa, facile, bruttina.
E poi grassa, anoressica, da cambiare. Migliorabile, perfetta così, una stronza. Puttana, santa, una
bestia. Nevrotica, ansiosa, controllabile. A volte irritabile, molto più spesso semplicemente
mestruata.
Mani pelose ti hanno incoronata, mentre insanguinata e nuda eri inginocchiata al suo cospetto. Un filo d’oro invisibile si proietta sul tuo capo, sottolineando di te un unico attributo. Ti calza a pennello? Lo senti troppo stretto? Chi ha scelto al posto tuo quale nome dovevi avere in vita così
nella morte? Sei solo un pretesto, una fra tante, anche tu martire, anche tu priva di una parte di te.
Come te non c’è nessuna, canticchiava distratto, mentre tagliava il tuo costato.
A te manca il seno, ad un’altra lo sguardo, ad alcune la voce, a talaltre la pelle. Sottomesse a leggi
divine, naturali, sociali sono le presenze-femmine che abitano le carni, ancora integre o smembrate, che aleggiano sul tempo, nei secoli dei secoli.
Vive, morte, inarrestabili.

